Saddie Choua – The Chouas. We are the movie!
Laveronica arte contemporanea è orgogliosa di presentare The Chouas – We are the movie!, la prima mostra personale in Italia dell’artista belga marocchina Saddie Choua.
Comunicato stampa
Laveronica arte contemporanea è orgogliosa di presentare The Chouas – We are the movie!, la prima mostra personale in Italia dell’artista belga marocchina Saddie Choua.
Cinque uomini costretti in un angolo di una stanza. Una foto. Trovata in un giornale. O in un album di famiglia dimenticato in soffitta. Una foto che fa nascere delle domande. Dove è stata fatta? Durante una festa? Una vacanza? Qual è la relazione fra questi uomini? E chi ha fatto la foto? Un fotografo? O una delle mogli dei cinque uomini?
“Sono la figlia dell’uomo nel mezzo, so che sono cinque fratelli. Questi sono gli Chouas. La foto è stata fatta in Marocco. Tre dei cinque fratelli sono emigrati in Belgio. Uno è tornato indietro. Due sono rimasti in Marocco. Ci sono tante domande a cui la foto non riesce a rispondere”.
Gli Chouas sono in equilibrio fra la realtà e la finzione, tra la sfera personale e quella politica.
L’epopea umana di una famiglia che l’artista mette in mostra attraverso una serie di video installazioni di diverso formato realizzate negli ultimi anni.
Combinando episodi autobiografici con la storia, la letteratura e la cultura popolare la distinzione fra la finzione e realtà scompare. Gli episodi danno forma alla soap opera The Chouas, ma questa è una meta-soap opera che invita lo spettatore a scoprire le strutture che formano un’immagine stereotipata, i codici predominanti e le storie non obiettive.
La sfida non è soltanto quella di mostrare la storia di una famiglia che ha vissuto l’emigrazione, ma anche di creare una situazione nella quale lo spettatore scopre i complessi meccanismi dei film e dello spettacolo (soap opera, documentari,... etc) per comprendere la vera natura dell’esistenza umana.
Quindi, The Chouas – we are the movie ! – non è un reality show o una soap opera su affari di famiglia con storie intriganti riguardo scontri di culture e religioni, o sulla superstizione... È piuttosto un ambiente nel quale io, come figlia di uno degli Chouas, cerco di trovare, di ristabilire, il linguaggio del migrante. Nella tradizione di “Seguendo il pensiero di Frantz Fanon, che è conosciuto come pensatore radicale dell’esistenza umana, sul tema della decolonizzazione e la psicopatologia della colonizzazione, sono cosciente del fatto che i migranti non hanno più controllo sulle loro ‘immagini’. Le immagini dei migranti che si vedono nei media non sono le loro immagini. Queste immagini creano una percezione falsata dell’ ‘altro’, che crea infine straniamento e alienazione. Il mio approccio è quello di creare una situazione, un ambiente dove le immagini, i suoni e gli spazi rompono con il linguaggio dei media contemporanei, con la folle fame per l’esotismo o peggio ancora con una pseudo realtà dove viene evocata una presunta quotidianità. Come Guy Debord ha promosso qualsiasi metodo per far si che uno o più individui analizzino criticamente la loro vita di tutti i giorni, e riconoscano e perseguano i loro veri desideri nelle loro vite, così io vorrei fondare questo continuo e infinito lavoro su dei presupposti di base, e andare oltre le atrocità della ‘Società dello Spettacolo’. “
Saddie Choua (Bree, 1972) Vive e lavora a Brussels
L’artista si serve di materiale meta-documentario, del senso dell’umorismo, di suoi materiali filmici, della riappropriazione e collage di formati interculturali popolari e elementi autobiografici per mettere al centro dell’attenzione il razzismo, la discriminazione contro le donne, le classi sociali, e i suoi gatti. Choua crea un nuovo immaginario pseudo-realistico che da un alto è molto riconoscibile ma dall’altro è completamente estraneo. È il suo tentativo di indebolire il linguaggio visivo dei nostri media e invece intensificare lo sguardo stesso del suo pubblico sotto il profilo critico e politico.
“Sono la sola ad essere così?” Questa è una delle domande più frequenti nella vita e nel lavoro di Saddie Choua. L’artista problematizza la posizione del solitario “io” che non è mai disconnesso dall’“altro”.
L’ordine precostituito che impone un “io” solitario è un altro dei suoi temi centrali. Dove si posiziona la diversità in questa gerarchia di potere? Dove è nascosta o resa esotica la sua oppressione?
Saddie Choua ci chiede di pensare su come consumiamo le immagini e su come discutiamo dell’”altro “ e come ciò condizioni l’immagine di noi stessi e la nostra coscienza storica. Come possiamo intervenire nelle immagini che scrivono la nostra storia e nascondono la lotta sociale? Dobbiamo inizialmente rifiutare la memoria per raccontare un’altra storia? O la rimozione e il rimodulare certe associazioni e riferimenti è già sufficiente a creare una storia diversa e un’altra immagine di noi stessi?
Il lavoro di Saddie Choua può quindi essere letto come un racconto visivo frammentato su se stesso che mette in discussione la relazione fra chi produce le immagini e le immagini stesse.
Come poter parlare e rappresentare in maniera diversa da una posizione subalterna, o è solo il concetto dell’"altro" che mi costringe a delle narrative e delle immagini dominanti?”
Saddie Choua sta facendo un dottorato di ricerca alla scuola d’arte RITCS ed è stata nominata recentemente al Belgian Art Prize 2020.
Le mostre personali e di gruppo di Saddie Choua comprendono fra le altre: BOZAR, Brussels, 2014; WIELS, Brussels, 2015; Marrakech Biennial, Marrakech, 2016; Mu.ZEE, Ostend, 2016; Showroom, Sint Lucas School of Arts, Antwerp, 2016; KIOSK, Ghent, 2017; Festival Concreto, Fortaleza, 2017; Kooshk - Air Antwerp, Tehran, 2018; Kanal - Centre Pompidou, Brussels, 2018-2019; Savvy Contemporary, Berlin, 2018; Akademie der Künste der Welt - Richas Digest, Cologne, 2018; Villa Empain, Brussels, 2018; Laboratoire Bx, Bordeaux, 2018; Contour Biennal, Mechelen, 2019; Biennale Warszawa, Warsaw, 2019; Kunsthal Ghent, 2019; Croxhapox, Ghent, 2019; Kunsthalle, Wien, 2020.
Il suo lavoro è presente in collezioni private nazionali e internazionali e nelle seguenti collezioni pubbliche; Mu.ZEE Ostend, Kanal-Centre Pompidou, Brussels/Paris, Kadist Gallery, Paris/San Francisco, Cosmos, Brussels.
Saddie Choua
The Chouas - We are the movie!
Laveronica arte contemporanea is proud to present The Chouas – We are the movie!, the first solo show in Italy by the belgian maroccan artist Saddie Choua.
Five men pushed in a corner of a room. A photo. Found in a newspaper. Or in a family album lost in the attic. A picture that produces questions. Where has it been made? During a party? A holiday? What is the relation between these men? And who took the picture? A photographer? Or one of the men’s wife?
“Being the daughter of the man in the middle, I know: they are five brothers. These are the Chouas. This picture is made in Morocco. Three of the five brothers emigrated to Belgium. One turned back. Two stayed in Morocco. There are a lot of questions the picture does not answer”.
The Chouas is balancing between fact and fiction, between personal and political considerations.
On show the epic story of a family through a series of video installations of various format realized in the last few years.
Combining autobiographic stories with history, literature and popular culture the distinction between fiction and non-fiction fades away. The episodes form the soap series The Chouas, but this is a meta-soap that invites the viewer to discover the structures of stereotypical image- formation, dominant codes and partial histories.
The challenge is not only to present the particular story of a family dealing with migration, but to create a situation in which the spectator discovers the tricky mechanisms of film and entertainment (soaps, documentaries,... etc) in order to experience the true nature of human existence.
Therefore, The Chouas - A Work IN Progress - is not a reality show or a soap about family matters with juicy stories on conflict of cultures and religions, superstition... It’s rather an environment in which I, daughter of one of the Chouas, try to find, try to restore, the language of the migrant him/herself. In the tradition of Frantz Fanon, whose known as a radical existential humanist thinker on the issue of decolonization and the psychopathology of colonization, I am aware of the fact that migrants don’t have any control anymore over ‘their images’. The images of migrants as shown in the media are not their images. Those images create a fake perception of ‘the other’, which creates at last estrangement and alienation. My approach is to create a situation, an environment where images, sounds and spaces break with the language of contemporary media, break with the excited hunger for exoticism or worse, the pseudo reality shows where an assumed dayliness is evoked. As Guy Debord promoted any method of making one or more individuals critically analyze their everyday life, and to recognize and pursue their true desires in their lives, I would like to base this continuous and never-ending work on this basic assumptions, and go beyond the atrocities of the ‚Society of Spectacle’.
Saddie Choua (Bree, 1972) Lives and works in Brussels.
She uses meta-documentary tactics, humor, own (film)material, re-appropriation and collage of popular intercultural formats and autobiographical elements to put racism, discrimination against women and class, and her cats in the spotlight. She creates a new pseudo-realistic imaginary world that is at once highly recognizable and utterly alien. It is her way of undermining the (visual) language of our media and sharpening the critical and political self-reflective gaze of her audience.
Am I the only one who is like me? This is a question characteristic of Saddie Choua’s life and work.
It problematizes the position of the solitary I that is also never disconnected from the other.
The power order that conditions the solitary “I”, is another central subject. Where does this otherness sit in the hierarchy of power? Where is her oppression and exploitation concealed or exoticed? Saddie Choua asks us to think about how we consume images and dialogues about the other and how they affect our self-image and historical consciousness. How can we intervene in the images that write our history and conceal social struggle? Do we first have to refute memory to tell another story? Or is the removal or recombining of certain associations and references already sufficient to create a different history and self-image? Saddie Choua's work can therefore be read as a fragmented self-reflective visual essay that questions the relationship between maker and image. „How to speak differently from a subalternal position, or is it just the concept of "the other" that locks me up in dominant images and narratives?” Saddie Choua is doing a phd in the arts at RITCS School of arts and was recently nominated for the Belgian Art Prize 2020.
Saddie Choua had solo and group exhibitions including BOZAR, Brussels, 2014; WIELS, Brussels, 2015; Marrakech Biennial, Marrakech, 2016; Mu.ZEE, Ostend, 2016; Showroom, Sint Lucas School of Arts, Antwerp, 2016; KIOSK, Ghent, 2017; Festival Concreto, Fortaleza, 2017; Kooshk - Air Antwerp, Tehran, 2018; Kanal - Centre Pompidou, Brussels, 2018-2019; Savvy Contemporary, Berlin, 2018; Akademie der Künste der Welt - Richas Digest, Cologne, 2018; Villa Empain, Brussels, 2018; Laboratoire Bx, Bordeaux, 2018; Contour Biennal, Mechelen, 2019; Biennale Warszawa, Warsaw, 2019; Kunsthal Ghent, 2019; Croxhapox, Ghent, 2019; Kunsthalle, Wien, 2020
Her work is in national and international private and public collections; Mu.ZEE Ostend, Kanal-Centre Pompidou, Brussels/Paris, Kadist Gallery, Paris/San Francisco, Cosmos, Brussels.