Amiche, muse, amazzoni: le donne di Ubaldo Oppi. A Vicenza
Basilica Palladiana, Vicenza ‒ fino al 13 aprile 2020. Riscoprire un pittore dimenticato grazie a un progetto che mette al centro le donne, viste nel momento della loro emancipazione dai più grandi artisti degli Anni Venti. Ubaldo Oppi diventa allora il nesso che collega le tante storie e letture su cui è costruita una mostra suggestiva e ammaliante.
L’immensa volta a carena di nave offre riparo all’allestimento della nuova mostra nella Basilica Palladiana: e, per creare un percorso nell’altrettanto ampio salone, si è progettata una struttura flessibile, che verrà utilizzata non solo in quest’occasione, ma anche per accogliere le prossime due esposizioni – già circola la notizia di quella prevista per dicembre 2020, Dietro le quinte del Rinascimento, secondo un programma triennale a cui partecipano le principali istituzioni vicentine – nonché per narrare la storia della città nei periodi di passaggio tra una “puntata” e l’altra. Solidi pannelli che, grazie a tecnologie sofisticate, possono essere facilmente ricollocati, e una struttura sospesa che li unisce senza intaccare l’antico ambiente, dando al contempo l’impressione di uno spazio raccolto e ordinato, che guida i visitatori nel cuore delle tematiche affrontate.
UBALDO OPPI E GLI ALTRI
Le tematiche hanno per protagonista Ubaldo Oppi (Bologna, 1889 ‒ Vicenza, 1942), pittore dalla vicenda critica altalenante – come del resto, e la mostra non lo nega, altalenante è la qualità della sua produzione –, ma che ha forse pagato troppo caro lo scotto di essere stato scelto come esponente del “Novecento italiano” da Margherita Sarfatti, per poi doversi confrontare con l’opinione di Neri Pozza, politicamente impegnato e sostenitore dei valori della Resistenza, il quale nel 1967 giunse a stroncare i lavori del pittore in occasione di una retrospettiva organizzata dal Museo Civico di Vicenza. Lo riscopre ora Stefania Portinari, che ricolloca l’artista nel suo contesto storico e creativo, affiancando le sue opere a quelle dei contemporanei, tra cui i già da tempo rivalutati Felice Casorati e Mario Sironi, e ad altri artisti di cui si sono scelte in particolare le tele (e le sculture, le fotografie, i manifesti) che hanno per soggetto le donne, il loro ruolo nella società, la loro vita quotidiana. Una mostra che strizza l’occhio a una tendenza molto in voga, tanto da essere adottata anche dal Comune di Milano per la programmazione del 2020: l’esaltazione della figura femminile e la storia della sua emancipazione che affonda le radici in un passato non troppo lontano. Quello, appunto, degli Anni Venti. Ma a Vicenza una ricerca monografica su Oppi si trasforma in un grande progetto corale in grado di attrarre sia un pubblico specialista sia appassionati e curiosi.
Tutto comincia da un’indispensabile premessa: nel 1910 la Biennale di Venezia dedicò una sala a Gustav Klimt e per gli artisti italiani fu un vero e proprio choc, come dimostrano gli esiti di Vittorio Zecchin e dello stesso Oppi che, tuttavia, ebbe poi modo di confrontarsi direttamente con le tendenze viennesi, per poi trascorrere un lungo periodo a Parigi, incontrando Modigliani e Picasso – gli “rubò” la fidanzata, Fernande Oliver –, e partecipando allo straordinario laboratorio d’avanguardia che offriva la Ville Lumière di inizio secolo. Dopo la Grande guerra Oppi tornò in Italia, accettando prima la protezione della Sarfatti e poi di Ojetti, ma con l’inizio degli Anni Trenta si trovò smarrito, “come conseguenza delle sue vicende biografiche personali e dell’estraneità rispetto alle commissioni del regime fascista”, scrive la curatrice, finendo progressivamente relegato e isolato.
DI DONNA IN DONNA
La mostra ripercorre la sua carriera attraverso dipinti che, in un’avvolgente penombra, si distribuiscono, in compagnia di grandi nomi italiani di quel decennio “da sogno” , nelle sezioni dedicate ai diversi punti di vista con cui gli artisti hanno ritratto le donne: da muse ad amazzoni, dalla donna allo specchio alle amiche, dalle dive – non si possono non citare gli splendidi abiti di Chanel che si rispecchiano nelle tele – alle dee, fino alle donne reali, a un’Eva monumentale e trionfante e infine al simbolico L’Adriatico di Oppi, con tre donne alla deriva su una barca: “un viaggio misterioso che anche nel più cupo dei momenti, quando i flutti potrebbero far paura, porta miraggi, sogni e desideri di future felicità”.
‒ Marta Santacatterina
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