L’arte al tempo della Brexit. L’editoriale di Gabriella Belli
La direttrice dei Musei Civici di Venezia prende spunto dalla mostra in corso a Ca’ Pesaro ‒ sede museale ancora chiusa in seguito all’acqua alta eccezionale dello scorso novembre ‒ per parlare delle risposte dei giovani artisti alle contraddizioni del presente.
Nel panorama delle molte iniziative che Venezia oggi propone, vorrei soffermarmi per qualche riflessione sulla mostra che in questi giorni si è aperta nelle sale della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, Breathless (Senza respiro). L’interesse dell’esposizione sta certamente nei lavori esposti ma più fortemente nel particolare stato d’animo che coglie il visitatore all’ingresso delle sale, dove sedici giovani e giovanissimi artisti si presentano per la prima volta al pubblico internazionale.
La loro città è Londra, per alcuni città di nascita, per altri, invece, città d’adozione, ma per tutti luogo d’elezione, dove hanno deciso di vivere, studiare e intraprendere la carriera artistica.
Proprio per questa centralità di Londra nella vita di ciascuno di loro, la mostra acquista particolare significato e fa approdare in laguna un non troppo celato senso di malessere e disagio, dovuto ‒ non è difficile capire ‒ alla politica recente, che ha insinuato anche nelle vite di questi giovani un disorientamento e un senso di spaesamento che traspare evidente non solo dal loro lavoro, ma anche dalle parole e dai timori, espressi a nome di tutti da un veterano della critica d’arte, Sir Norman Rosenthal, e dal suo più giovane allievo, Harry Woodlock, a cui è affidata, insieme a Elisabetta Barisoni, la curatela della mostra.
L’arte ‒ si sa bene ‒ non ha lidi né frontiere, e supererà anche le barriere che gli uomini vogliono alzare per difendere se stessi e i loro privilegi dal mondo esterno che preme e chiede. Li ho osservati bene questi ragazzi e queste ragazze muoversi dentro le sale, uno sguardo all’opera appena installata, uno sguardo al lavoro dell’amico collocato lì vicino e poi tutti insieme attorno al vero guru di questa manifestazione, Sir Norman Rosenthal, il padre di Sensation, con la speranza che il successo d’allora si possa in qualche modo oggi ripetere. Ce lo auguriamo anche noi e forse quel disagio, neanche troppo latente, che questi giovani ci trasmettono, loro cittadini del mondo e assai poco convinti della chiusura delle dogane, dei nuovi dazi, dei passaporti che ricompariranno, delle difese dei mercati, sarà una leva per far ripensare le vecchie generazioni all’inutilità di tutto questo e alla sconfitta che tutti noi subiamo quando un muro si alza.
“L’arte supererà anche le barriere alzate dagli uomini”.
Con mezzi diversi, dalla scultura all’installazione, dalla pittura alla videoarte, questa giovane avanguardia londinese riesce a rivelare un proprio sguardo originale sulla vita contemporanea. Fatta di lacerazioni e spinte in avanti, tensioni del presente stemperate da programmi per un futuro a breve termine, visioni transitorie e angosciosi solipsismi. Ciascun elemento è indispensabile per mantenere l’equilibrio; si tratta tuttavia di uno stato precario e senza respiro, cui la mostra fa riferimento sia con accezione diciamo così positiva, come il restare senza fiato per lo stupore del mondo e la meraviglia delle cose, sia negativa, di un’esistenza portata allo stremo e condotta senza fiato e senza energia.
Il risultato sono opere che svelano le contraddizioni della nostra vita contemporanea e che non concedono risposte o soluzioni, mentre questi giovani artisti sembrano davvero tutti intenti a non cadere dal filo su cui, ognuno funambolo a suo modo, si esercitano ogni giorno.
‒ Gabriella Belli
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #19
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