L’arte ai tempi della sperimentazione tecnologica. Andrew Norman Wilson a Milano
Galleria Ordet, Milano – fino al 1° febbraio 2020. Andrew Norman Wilson porta nella galleria milanese la sua riflessione sulle tecnologie odierne. Attingendo da videogiochi e cartoni animati.
La galleria Ordet, situata vicino a Porta Romana, si attesta come uno dei maggiori spazi milanesi di avanguardia artistica contemporanea e videoarte con la mostra Andrew Norman Wilson: Lavander Town Sindrome. Infatti, proprio per questa mostra, la galleria si trasforma in una sorta di laboratorio di ricerca, promuovendo attivamente il lavoro di Andrew Norman Wilson (USA, 1983) su come la realtà viene percepita in tempo di costanti interazioni tecnologiche e costruzioni filmiche. Lo spazio è stato interamente riadattato per ospitare l’installazione dell’artista, offrendo un’esperienza di totale immersione in un ambiente che ricorda laboratori immacolati e futuristici. Il nuovo lavoro video Z = |Z/Z•Z-1 mod 2|-1, commissionato da Ordet per l’occasione, pone sotto i riflettori lo sviluppo tecnologico, l’atomizzazione e la simbiosi tra analogico e digitale, come temi caldi nel paesaggio contemporaneo.
LA MOSTRA DI ANDREW NORMAN WILSON
La mostra propone due chiavi di lettura, due fili rossi che si intersecano e toccano tutte le opere esposte. Il primo è la ricerca dell’artista su pratiche filmiche contemporanee e supporti digitali per creare il reale. Infatti, nella prima sala, il nuovo lavoro video multicanale avvolge lo spettatore attraverso schermi laterali che intersecano tecniche analogiche con forme di imaging digitali come le animazioni fotorealistiche di ray tracing e animazioni frattali. Il progetto ha lo scopo di attivare, attraverso il lavoro di film-making, nuovi mondi e profondità. Questo constante scambio tra l’analogico e il digitale fonde il nostro corpo fisico con quello tecnologico, messo in atto tramite l’utilizzo di estetiche comuni e della ripetizione. La seconda chiave interpretativa è incentrata sulla fusione tra corpo e tecnologia e la divulgazione di canoni, assorbiti dall’interlocutore in modo diretto o indiretto, coscientemente o no, tramite la commistione della nostra società con supporti tecnologici. Particolarmente rivelatrice è l’opera I Don’t Feel the Way I Am Supposed to Feel, ripresa dalla scena di apertura di Charlie Brown Christmas Special, qui resa digitale ed esposta in continua ripetizione su un iMac G4 del 2002. La sensazione di inquietudine prende il posto di quella di spensieratezza che solitamente le animazioni dovrebbero suscitare.
VIDEOGIOCHI E ALIENAZIONE
Elemento centrale della mostra è il personaggio di Pikachu rappresentato sia nel film a zoom analogico che in una copia in papier-mâché nella sala adiacente. Questa scelta non è casuale, dato che il titolo della mostra prende spunto da una teoria cospiratoria giapponese intesa a credere che in uno dei livelli del videogioco dei Pokemon fosse nascosta una traccia sonora studiata per toccare frequenze sonore che, secondo questa leggenda metropolitana, avrebbe portato al suicidio circa 200 bambini. Tutto l’ambiente circostante è stato inoltre ribaltato, mettendo in risalto proprio questa alienazione, come in una imminente premonizione.
L’artista non è nuovo a introdurre nel suo lavoro personaggi di cartoni animati o videogiochi ponendoli in ambienti dove queste creature immaginarie diventano alienate e alienanti. Una simile tattica mette in risalto come costruzioni tecnologiche comuni, all’apparenza innocue, possano nascondere interferenze più o meno costruite e quali implicazioni possono avere sui loro interlocutori. Continuando in questa ricerca, Wilson cerca di far emergere emozioni contradditorie scaturite da questi caratteri non-umani, antropomorfizzati al punto da sembrare reali, ma disturbati quel tanto da creare una sensazione di alienazione. Come per le precedenti, c’è da aspettarsi che anche questa mostra si estenda oltre lo spazio fisico, utilizzando il sito web della galleria per proporre un programma parallelo. Infatti, sotto il titolo di Johannes, Ordet propone una serie di podcast organizzati parallelamente al programma espositivo.
‒ Daniela Amolini
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