Morto il writer Phase 2. Quale è la sua eredità?
Andrea Caputo ripercorre la storia di Phase, il writer recentemente scomparso. E spiega quale sarà la sua eredità
Lasciamo il ricordo di Phase 2 e delle sue idiosincrasie ai writer che l’hanno frequentato negli anni ’90. Sky4, Rae, Pongo, Drop-C e i CKC, Flycat, Shad e Alberto di Wag, Mace a Treviso, Rusty, Dado e gli SPA a Bologna, Polo a Napoli, Syd a Genova sono alcuni tra i pionieri della scena italiana in stretto contatto con un maestro di lettering unico, inventore e innovatore delle correnti stilistiche alla base del writing: dal bars & arrows alle bubble letters, fino a loops di ogni genere. Un vocabolario che ha indottrinato una intera generazione sull’idea del Wild Style, in primis concetto e poi linguaggio visivo selvaggio, irriproducibile. Il Wild Style recitato come un mantra, e l’impegno di Phase a diffonderlo quale attitudine, stile di vita urbano riportato in presa diretta, senza istruzioni per l’uso.
CHI ERA PHASE 2
Il 12 dicembre 2019 al centro di riabilitazione del Bronx Phase II è deceduto. Precursore del movimento hip-hop, Phase rientra nell’olimpo di quei writer morti senza alcun riconoscimento. Invisibile ai media, è stato un cardine per intere scuole da New York a Milano e Zurigo in un momento chiave per l’evoluzione della controcultura europea. Un leader con piglio violentemente critico ma comunque costruttivo, a modo suo didattico. Traumatico per chi lo affrontava su temi fondanti dell’hip-hop, fonte inesauribile per chi voleva conoscere a fondo le radici del movimento americano. L’eredità artistica di Phase in Italia è oggi svanita: le rare tracce di muri dipinti seguono la sorte comune di chi ne accetta il carattere estemporaneo. Tra le pareti più iconiche quella realizzata a Pisa, cancellata alcuni anni fa in un’ottica di abbellimento urbano che ha paradossalmente lavato via qualcosa di influente per i writer locali. E’ significativo se confrontato con la celebrazione pubblica per Keith Haring e il murales sulla canonica della chiesa di Sant’Antonio Abate. Da tutti accolto quale opera seminale del graffitismo in Italia, Tuttomondo – e in generale l’intera opera di Haring e Basquiat – non trova alcun riscontro nella comunità writing globale.
L’EREDITÀ DI PHASE
Di Phase resta però il contributo scritto di fanzine e progetti editoriali indipendenti. Style, Writing from the underground pubblicato nel 1996 da Stampa Alternativa ha segnato un momento fondamentale per il movimento europeo riproducendo immagini di tag e stili inediti che hanno immediatamente cambiato le regole del gioco. Il libro è divenuto il contraltare dei pochi volumi celebri (Subway Art, Spraycan Art) facendo emergere una scena newyorkese parallela, semi-sconosciuta: un nuovo – ma in realtà originale e avanguardista – modo di scrivere il proprio nome. Meno espressivo e colorato dei celebri scatti di Martha Cooper o Chalfant: dalla testimonianza di eccellenti fotografie professionali si passa a una raccolta di immagini sfocate e amatoriali. Phase sceglie scatti azzardati e di fortuna, prodotti dai writers per se stessi, volti a immortalare i treni della metropolitana in costante movimento. Immagini tecnicamente impubblicabili che celebrano composizioni straordinarie nel loro carattere primordiale e autentico. Il libro documenta, racconta e spiega le dinamiche quotidiane del Bronx negli anni ’70 in presa diretta. Co-pubblicato con IGTimes, prima e leggendaria fanzine prodotta da David Schmidtlapp e composta appunto da Phase II, Writing from the underground sposta l’attenzione dall’impatto visivo ed emotivo delle foto in posa a una narrazione tagliente dei fatti. Una presa di posizione rispetto il movimento stesso e i media che vi gravitavano attorno.
CONFRONTATSI CON PHASE
“Furono i media i primi a usare la parola graffiti, un termine che si legò alla cultura come un’appropriazione indebita del fenomeno, volta a stigmatizzarlo come un abominio nel dibattito che aveva suscitato davanti alla pubblica opinione. E’ sempre stato il tipo di situazione in cui il sistema ha interesse a screditare e tentare di invalidare qualcosa ancora prima di cercare una maniera per capirlo. La loro reazione di difesa è stata quella di assumere un atteggiamento negativo”. Confrontarsi con Phase II non è mai stato facile e diventava praticamente impossibile se appartenenti a una categoria di curiosi (giornalisti, fotografi) o ancor peggio galleristi e addetti al marketing additati quali avvoltoi e avvelenatori di un movimento che non poteva ammettere intrusi. Al tempo stesso i writer che lo hanno conosciuto a fondo ricorderanno un maestro di generosità straordinaria: un mentore che per le più improbabili vicissitudini si è visto catapultare in una Milano al tempo ancora ruvida, culla di culture underground ossessionate da chi come lui era capace di innescare generazioni di talenti fuori controllo. “Regardless to who’s doing it or where it is now, you come full circle, back to The Mecca, and here it’s that, Bread ta’ butter, Chitterlings, greens, and gravy, Goya beans, rice and plantains, Huey Newton, Che Guevara, Hippy dippy, Super Fly, Short Eyes, creative, deep down, Doo doo Brown, with a touch of John Woo, ghetto bastard shit. We know it’s the neutron. But, untill that changes (and that won’t happen), in this town, they’ll never give it its propers, its propers, its propers, its propers…
PEACE”.
– Andrea Caputo
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati