Momenti della verità e irritants nelle imprese culturali
Conoscenza, esperienza e racconto sono i tre momenti della verità all’interno di una filiera che anche le imprese culturali seguono. Lo spiega Irene Sanesi.
Chi si occupa di arte e cultura deve (assolutamente) conoscere i momenti della verità e gli irritants. Di cosa si tratta? Appannaggio del marketing, sono strumenti di conoscenza e possono con grande efficacia cambiare la consapevolezza del rapporto fra l’impresa culturale e i suoi portatori di interesse, gli utenti in primis. Ma non solo: finanziatori (utilissima la loro conoscenza nel fundraising, ad esempio: lo spiego nel mio e-book sulla raccolta fondi “give back”), soci, clienti, fornitori, collaboratori e operatori. Tutte persone e, in quanto tali, umani, con la loro sfera emozionale e le loro aspettative.
Il momento della verità rappresenta quel momento in cui l’utente (inteso in senso ampio come donatore, cliente, collaboratore ecc.) entra in contatto con l’impresa culturale. Quasi come nel Giano bifronte, gli irritants definiscono la reazione che scaturisce quando non viene soddisfatta l’aspettativa dell’utente.
“L’impresa culturale deve imparare a riconoscere i momenti della verità nella filiera: conoscenza, esperienza, racconto”.
I momenti della verità sono in particolare tre:
ZMOT o ZeroMOT (MOT sta per “Moment Of Truth”): è la fase propedeutica a una scelta, la fase della ricerca, quando si ricevono i primi stimoli e le prime informazioni sull’istituzione/impresa; questo momento può consistere nella biglietteria del museo, ma molto più spesso oggi lo ZMOT è rappresentato dal web e dai social con un’evoluzione continua (pensate solo a come si è ridotto il tempo dell’attenzione, sempre più visiva, con l’arrivo di Instagram). L’utente naviga, si collega, osserva, valuta. E poi sceglie, o non sceglie.
FMOT o FirstMOT: quando l’utente prende una decisione e fa una scelta (acquistare un bene o un servizio, fare una donazione ecc.). A seguito della scelta, l’utente vive un’esperienza, che può avere i suoi irritants, e decide di condividerla con gli altri in una cerchia più o meno ristretta (pensate sempre a Instagram e alle sue storie).
SMOT o SecondMOT: potrebbe anche tradursi nel WOM, “Words of Mouth”, quel passaparola che può essere una brezza leggera o un vento burrascoso a seconda (ancora una volta) della presenza o meno di irritants.
È come se fossimo continuamente sotto l’influsso di Eolo, in un circolo che si autoalimenta: il SecondMOT alimenta e influenza lo ZeroMOT del prossimo utente, e il giro ricomincia. Se già non l’ha fatto, all’impresa culturale non resta che imparare a riconoscere i momenti della verità nella filiera: conoscenza, esperienza, racconto. Una filiera che conta tanto nella costruzione di senso, reputazione e sviluppo dell’impresa stessa.
‒ Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #51
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