Un premio alla colonna sonora di Martin Eden: gli autori? I membri storici della 99Posse
Il film ispirato al romanzo di Jack London ha una colonna sonora strumentale (analogica) firmata da Marco Messina e Sasha Ricci, rispettivamente dubmaster e tastierista della storica band partenopea. Li abbiamo intervistati
Premiato alla Mostra del Cinema di Venezia e al Festival di Toronto, Martin Eden diretto da Pietro Marcello, riceve un nuovo importante riconoscimento: il Capri Music Award per la colonna sonora del film ispirato al romanzo di Jack London. Consegnato lo scorso 27 dicembre alla ventiquattresima edizione del festival Capri-Hollywood di Pascal Vicedomini – tappa importante per i film che concorrono alle premiazioni internazionali -, il premio è andato ai compositori Marco Messina e Sacha Ricci, autori delle musiche originali, ora raccolte in un album disponibile sulle piattaforme digitali: da Apple a Amazon a Spotify. Storici esponenti dell’altrettanto storico combo 99Posse, Marco Messina – in origine dj, poi compositore e producer elettronico, dubmaster della 99Posse – e Sasha Ricci – pianista jazz e compositore, tastierista nella 99Posse – condividono da anni, oramai, la scrittura di musiche originali per il cinema e per il teatro, con all’attivo già diverse collaborazioni con il regista Pietro Marcello. Li abbiamo intervistati.
Quali sono i presupposti estetici e visivi della musica realizzata per la colonna sonora di Martin Eden?
Sacha Ricci: Fondamentalmente si basano sulle esperienze che ci accomunano. Intendo le nostre esperienze anche storiche con Pietro, avendo composto le musiche per le sue precedenti opere: da La bocca del lupo a Bella e perduta fino a Il passaggio della linea e Il silenzio di Pelesjan.
Marco Messina: Io potrei dire che esistono dei presupposti tecnici. Uno dei principali è che sia Pietro sia noi due abbiamo un amore profondo per l’analogico. Per una estetica che, in un certo senso, pare tramontata a vantaggio del digitale. Nello specifico, Marcello gira in pellicola e noi realizziamo musiche originali con strumentazione analogica e limitiamo tantissimo l’utilizzo del virtuale. Questa non è soltanto una scelta filosofica, ma incide anche sul suono creato.
Qual è stato il vostro modus operandi, alla luce delle vostre esperienze di sound design, installazioni sonore e teatro?
M.M.: L’esperienza per il palcoscenico teatrale e l’esperienza di sound design intervengono, secondo me, nel fatto che spesso “less is better”. Cioè, che nel concetto di sottrazione ottieni di più. Troppi elementi creano talvolta un problema, e a noi piace essere iper-minimali. Mi spiego. Quando realizzi le canzoni per un album sai già che hai bisogno di determinate architetture musicali. Al cinema è diverso. Spesso ti ritrovi a scrivere suoni per scene in cui c’è un parlato degli attori, e in tal caso la musica deve accompagnare la recitazione. Non deve né distrarre né impossessarsi di quel che accade.
S:R.: Altre volte, al contrario, la musica deve davvero essere la vera protagonista dello schermo. Tant’è che quando ci tocca comporre per spettacoli teatrali dobbiamo badare anche alla presenza fisica di coloro che recitano. Bisogna anche fare i conti col fatto che non si può missare più di tanto un brano, e la conseguenza diretta è che devi “svuotare” parecchio la composizione sonica.
Parallelamente all’esperienza con i 99Posse, portate avanti dei progetti solisti che a volte s’intrecciano in un duo, come nel caso della colonna sonora per Martin Eden…
M.M.: In realtà io e Sacha abbiamo condiviso anche il progetto Fratelli Lumière per sonorizzazioni dal vivo di una serie di film muti. In qualche maniera, era tanto un modo per portare live la nostra esperienza di compositori/appassionati di cinema quanto un modo per portare contenuti cinematografici di un certo stile in spazi dove solitamente il cinema non entra. Tra i titoli sperimentati ricordo Nosferatu di Murnau, L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov.
Per quanto riguarda i progetti solisti?
M.M.: Sacha suona musica jazz anche con altri musicisti; io ho un progetto dal nome ELEM (che mescola musica e visual art), con Fabrizio Elvetico e Loredana Antonelli, e anche un duo con la chitarrista Anna Mancini. Abbiamo sempre sentito la rispettiva esigenza di fare musica che andasse oltre l’avventura 99Posse perché è molto rigenerante. Ti confronti con altre persone, altre estetiche, nuovi artisti, e cresci. L’incontro con altri mondi è sempre una via per imparare e per un artista tutto ciò è fondamentale.
Cosa c’è di diverso nel vostro approccio alla musica, rispetto alla produzione che solitamente fate con la band 99Posse?
S.R.: Tantissime cose. Abbiamo anzitutto meno vincoli creativi. Non sono necessarie le parole per cui l’impostazione è tutt’altra, creando brani interamente strumentali. Possiamo spaziare dalla musica “classica” a suoni-rumori spezzati … Un disco che si prefigge una sua comunicativa quali sono quelli pubblicati con la Posse non ti permette di fare certe cose, ma te ne consente molte altre.
M.M.: C’è certamente maggiore libertà, paradossalmente. Quando tu fai un brano pop – che non è soltanto roba mediocre – stai a ragionare sulla lunghezza, sulla durata dell’introduzione, eccetera eccetera. Questi discorsi, col passare degli anni, sono diventati sempre più invadenti nell’atto creativo. Da un punto di vista discografico e radiofonico, in particolare. Oggi, tendenzialmente, se fai un pezzo che dura più di tre minuti e un quarto quasi nessuna radio te lo passerà mai.
E nel caso specifico della colonna sonora per Martin Eden?
M.M.: Quando componi brani strumentali non ti poni limiti e siamo felici che il disco delle musiche di Martin Eden, disponibile su tutte le piattaforme digitali, sia assai ascoltato in Francia, Germania, Spagna. “Solo” quarta è la platea italiana. Nel caso della colonna sonora ovviamente c’è da confrontarsi col regista, che è pur sempre il master of puppet, ma comunque non hai vincoli di forma che invece hai quando scrivi una canzone. Al cinema ti senti libero come se fossi su un cavallo in piena campagna. Un disco con un cantato, per tenere la metafora, somiglia al prendere il bus per raggiungere una fermata prestabilita sulla mappa.
– Claudia Giraud
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