Se il nome di Dora Maar (Parigi, 1907-1997) è ancora sconosciuto ai più, e per pochi altri ancora legato a quello del celeberrimo Picasso, è perché l’eclettico lavoro di quest’artista-fotografa viene raramente esposto e Maar è ricordata solo per essere stata amante e musa del pittore spagnolo. Soltanto recentemente Maar sta ricevendo l’attenzione che merita, con un’appena conclusasi grande mostra al Centre Pompidou di Parigi che è da poco arrivata alla Tate Modern di Londra. La rassegna è uno straordinario excursus sulla carriera di Maar, la quale sembra aver vissuto svariate vite d’artista tutte legate da un profondo desiderio di catturare le stranezze di un mondo solo apparentemente ordinario.
L’artista comincia come fotografa per gli sfavillanti rotocalchi di moda nell’Europa degli Anni Trenta. Contemporaneamente frequenta i circoli comunisti di Parigi, Londra e Barcellona, dove immortala la povertà urbana figlia della Grande Depressione dello stesso periodo. Dopo l’incontro con i surrealisti del tempo, si appassiona all’esoterico e al mistico, firmando indecifrabili collage fotografici dai soggetti più disparati. È solo verso la fine di una già avviata carriera che si interessa alla pittura, spaziando da autoritratti di ispirazione cubista a colorati paesaggi astratti. Una delle opere su cui la mostra alla Tate punta di più è Conversazione (1937), nella quale Maar si ritrae seduta di fianco a Marie-Thérèse Walter, ex amante di Picasso, a testimoniare la tormentata relazione con il pittore. Alla tela viene riservato un posto d’onore all’interno della mostra: una parete interamente dedicata che affaccia su svariati ritratti di Dora Maar firmati da Picasso e una serie di autoritratti della stessa artista. La conversazione che queste opere avviano è un interessante spunto sulla complicata relazione tra amori e amanti e la percezione di sé stessi attraverso i propri occhi e quelli dell’altro. Conversazione riceve molte attenzioni anche perché esposta al pubblico per la terza volta dalla sua creazione, ma è sicuramente nei lavori fotografici e surrealisti che l’estro di Maar emerge con più evidenza.
DORA MAAR FOTOGRAFA DI MODA E POLITICA
Maar comincia la sua carriera da fotografa nel seducente mondo della moda parigina ed europea degli Anni Trenta. I suoi scatti, commissionati per campagne pubblicitarie, sono audaci, spesso al limite dell’allora socialmente accettabile o, più semplicemente, inusuali giochi di sovrapposizioni di immagini. In The years lie in wait for you (1935), molto probabilmente creato per pubblicizzare una crema anti-age, una ragnatela è sovrapposta al viso di una giovane donna così da creare uno spiazzante, a tratti divertente, ritratto dell’invecchiare. Disorientare sembra essere una parola d’ordine per Maar, prima artista donna a fotografare nudi di donne in inusuali pose plastiche e ambientazioni surreali, rendendole così statue più che modelle. Per questa ragione ritrovarsi di fronte alle fotografie che documentano la Grande Depressione economica degli Anni Trenta – nella mostra alla Tate collocate immediatamente dopo quelle di moda – è un’esperienza quasi destabilizzante. Questa parte della produzione di Maar, seppur mantenendo viva una ricerca estetica dello strano, del reietto, e del fuori dell’ordinario, immortala la miseria che travolse l’Europa nello stesso periodo. La povertà urbana che l’occhio della fotografa cattura ha le fattezze di mendicanti, ragazzi di strada, edifici decadenti e fatiscenti tra Londra, Parigi e Barcellona, dove Maar era legata a circoli intellettuali e rivoluzionari di sinistra.
IL SURREALISMO IN FOTOGRAFIA
Gli incontri con le avanguardie artistiche parigine di allora, specialmente il sodalizio con il fotografo surrealista Brassaï, sono di enorme importanza per la successiva fase della carriera di Maar, che giunge al suo apice diventando prettamente surrealista. Maar è geniale nell’esprimere lo spirito onirico, la commistione di immagini e mondi – che siamo più abituati a vedere in pittura rispetto alla fotografia – propri del Surrealismo. Le sue tecniche sono semplici ma incredibilmente efficaci: sovrapporre due fotografie al momento dello sviluppo su negativo oppure due o più ritagli di immagine attraverso il collage. Nascono così manipolazioni di scene di vita quotidiana, nuovi personaggi mistici come quello del Ritratto di Ubu (1936), enigmatico armadillo che diventa emblema del surrealismo fotografico di Maar. Incredibilmente sinistro e di difficile decodificazione è anche il fotomontaggio di una mano femminile che sbuca fuori da una conchiglia su uno sfondo di tempesta. La mano, leggiadra all’inverosimile, poggia stremata su un pavimento di sabbia, celando il contenuto della conchiglia e contribuendo così a rendere l’intera composizione, come tutta la produzione di Maar, impossibile da decifrare del tutto.
‒ Giulia Morale
Londra // fino al 15 marzo 2020
Dora Maar
TATE MODERN
Bankside
https://www.tate.org.uk
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