Il merito di Annabelle Ténèze, direttrice degli Abattoirs, è quello di aver guardato, forse per la prima volta, a Peter Saul (San Francisco, 1934) attraverso la lente della storia dell’arte, cosa tutt’altro che scontata dato che lo si è voluto vedere quasi sempre alla luce della sola Pop Art, del fumetto o del cartoon. Nella mostra tolosana, in scena fino al 27 gennaio, l’artista è dunque “preso sul serio”, come nemmeno lui stesso ha mai fatto, approfondito con sguardo accademico, mediante un percorso cronologico che mette in evidenza l’evoluzione del suo linguaggio artistico nel corso dei decenni. Insomma, si è realizzata la più classica delle mostre per il più anticonformista degli artisti, con tanto di rigorosissimo catalogo, che mette ordine e chiarezza in un’esperienza artistica volutamente fuori dai canoni.
Una cosa, però, va subito chiarita: una retrospettiva su Peter Saul è veramente qualcosa di molto forte. È come recarsi in un fast food: si è sedotti dagli odori, dalle forme, dai colori del cibo preconfezionato e dal packaging, e si finisce per mangiare con gran rapidità e soddisfazione, in questo caso degli occhi. Per poi iniziare a sentire male. Ed è così che, nel percorrere le sale della più grande retrospettiva di Francia dedicata all’artista dal 1999, si è dapprima eccitati alla vista di colori e di forme audaci, al limite del grottesco, associati a temi molto spesso scabrosi o scomodi, e si finisce turbati, riflessivi e taciturni. Solo la particolare architettura dello spazio espositivo ‒ un ex mattatoio del XIX secolo, che richiama in verità una cattedrale romanica ‒ riesce ad attutire il colpo, concedendo il necessario respiro.
Peter Saul. Pop, Funk, Bad Painting and More è un’indigestione di quanto la società americana abbia prodotto, nel bene o nel male, dagli Anni Cinquanta in poi. L’artista è stato, e resta tuttora, uno dei protagonisti principali della scena artistica internazionale proprio per la sua capacità di rendere, senza mezze misure, uno spaccato della storia degli Stati Uniti, dai presidenti americani (da Ronald Reagan a Donald Trump) alle diverse forme di dipendenza, passando per la guerra in Vietnam, le lotte per i diritti civili, l’ecologia e il cibo spazzatura. È il racconto di un autore profondamente ancorato al suo Paese e che, proprio in virtù di questo attaccamento, e anche per un grande senso di responsabilità, ci ha fornito un ritratto della cultura americana al limite dell’impietoso.
LA MOSTRA SU PETER SAUL
Le tematiche trattate, sono affrontate da circa novanta opere (tra pitture, arti grafiche ecc.) che abbagliano il visitatore suscitando un’iniziale leggerezza e ilarità. Si inizia a fissare con aria divertita le tele fino a sentirsene ben presto disturbati perché sono “troppo”. Troppo insolenti, troppo irriverenti, troppo fuori dalle righe. Troppo vere, nella loro carica di deformato realismo. Peter Saul è l’ultimo contemporaneo della Pop Art, ma più che altro è un realista che, distorcendo le forme delle tematiche trattate, ne amplifica la portata di denuncia. Inizialmente gli organizzatori della mostra si attendevano un certo successo da parte degli addetti del settore, dato che si tratta di un artista poco mediatizzato, e di contro un minor favore da parte del pubblico generalista. E invece l’opera della mediazione museale è riuscita a conseguire risultati importanti anche in termini di visitatori proprio perché ognuno, in base alla sua età, alla sua preparazione e al gusto personale, ha potuto valutare l’artista sotto il profilo della storia dell’arte, della storia della società o per l’estetica delle sue opere.
La prima sezione espositiva è dedicata al periodo pop di Saul, il quale, a partire degli Anni Cinquanta, decise di rompere con l’Espressionismo astratto alla ricerca di un rinnovato rapporto con la vita e con la quotidianità. Fondamentale in questo senso furono dapprima il suo soggiorno a Parigi, dove s’ispirò alle copertine del magazine americano Life, e in seguito la conoscenza con l’artista surrealista Roberto Matta e il gallerista Allan Frumkin, che lo condurranno nell’universo del fumetto. Il nuovo linguaggio gli permetterà di rendere con maggiore incisività, ironia e disincanto la sua denuncia verso la società consumistica, la cosiddetta “American way of life”, a lui contemporanea. Il suo pop, da subito piuttosto violento e volgare, attraverso il richiamo a personaggi all’epoca famosissimi come Superman, Mickey Mouse e Donald Duck, mette in evidenza tutte le storture e gli eccessi del capitalismo.
I colori sporchi, le deformazioni e le distorsioni di scala annunciano, invece, il cosiddetto periodo funk, che coincide con il ritorno a San Francisco nel 1964, dopo un passaggio a Roma. La denuncia politica diventa ancora più seducente, tra colori fluorescenti e linee arrotondate che tengono gli occhi degli spettatori incollati alle tele. Peter Saul, attraverso le sue opere, dà voce alla contro-cultura che va formandosi in questi anni, ponendosi in polemica non solo con il consumismo della società americana, ma anche con la sua politica, in particolare contro la guerra in Vietnam. Il suo impegno politico e sociale, sempre più accentuato, va di pari passo con una crescente irriverenza e voglia di provocazione. Attraverso opere come Little Joe in Hanoï affermerà infatti che accettare di “non essere scioccanti equivale ad accettare di essere un mobile, di fare arredamento”.
UN’ARTE POLITICAMENTE SCORRETTA
Nell’esporre i lavori inerenti alla Bad Painting, a partire dagli Anni Ottanta, gli spazi espositivi degli Abattoirs di Tolosa si trasformano in una galleria dei ritratti. Caricature, volti deformati di presidenti (ad esempio Ronald Reagan), esponenti politici e personaggi di spicco, per scioccare, “che significa parlare a delle persone che non vogliono ascoltare”, come affermerà più volte nel corso della sua vita. Si è dinanzi al tripudio del politicamente scorretto, senza mezzi termini. Questa volgarizzazione portata agli eccessi coinvolge anche la rilettura dei grandi capolavori della storia dell’arte, ripresi in maniera sempre più violenta e disturbante. L’obiettivo è, ancora una volta, quello di disturbare i benpensanti invitando a un cambiamento generale della società.
La quarta sezione espositiva è consacrata, invece, al Museo di Peter Saul, in risposta a uno dei quesiti che maggiormente ha accompagnato l’autore: come porsi nei confronti della storia dell’arte? A partire dagli Anni Sessanta e Settanta e sino al 2000, Saul decide, attraverso la copia e la reinterpretazione, di riappropriarsi dei capolavori che hanno costellato la storia dell’arte, volendo dare risposta a un’altra spinosa questione: in un momento storico in cui l’arte è considerata un bene di consumo, come creare qualcosa che resti? Per l’artista statunitense la Gioconda, versione cartoon, vomita della pizza e degli spaghetti, con dei chiari riferimenti al consumismo alimentare.
GUARDARE AL FUTURO
La peculiarità dell’artista statunitense, ormai più che ottantenne, è quella di guardare costantemente al futuro, tanto è vero che è stata la direttrice degli Abattoirs a proporgli una sua retrospettiva, in cui egli ha potuto rivedere con meraviglia e stupore opere forse dimenticate. Una vita rivolta al domani e all’evoluzione delle tematiche trattate, in rapporto al costante divenire dell’attualità, e della tecnica pittorica. Ed è anche nella straordinaria qualità tecnica che risiede il genio di questo artista, la cui solida preparazione gli permette di usare l’olio e l’acrilico insieme, consentendogli colori forti, nitidi, brillanti e dalle innumerevoli sfumature. Le pitture presentano, inoltre, un vero paradosso in quanto l’iconografia del soggetto è al limite del Surrealismo, mentre la tecnica risulta essere quasi iperrealista, con l’uso del puntinismo a tracciare volumi e chiaroscuri. L’effetto d’insieme è esplosivo.
Nella sua prima fase di attività, l’autore statunitense si trasferì da Parigi a Roma, dove visse ed espose in alcune gallerie della città come La Tartaruga e, benché egli abbia sempre dichiarato di non essersi mai fatto influenzare dai luoghi in cui ha vissuto, nei suoi lavori romani la componente italiana è ben presente nell’uso dei colori (il verde, il rosso e il blu) che egli, grande appassionato d’arte, aveva potuto ritrovare nei quadri dei musei e delle chiese capitoline. Così come anche l’equilibrio e la composizione di matrice classica nelle sue tele, frutto dello studio di opere romane e parigine, e in generale classiche, accompagnerà tutta la sua produzione.
L’artista risiede dal 2000 a New York ed è esposto in alcune delle più importanti collezioni pubbliche mondiali, come il MoMA, l’Art Institut of Chicago e il Centre Pompidou di Parigi. Tuttavia, fino a tempi molto recenti, è stato quasi del tutto ignorato dalle istituzioni pubbliche, riscontrando un grande successo, invece, tra i collezionisti privati. Gli Stati Uniti, infatti, lo hanno sempre vissuto più per la sua componente pop, mettendolo però in ombra rispetto ad artisti come Andy Warhol e Robert Rauschenberg. I tempi adesso sono maturi per una completa rivalutazione dell’intero suo percorso artistico, che risulta essere molto variegato e dalle mille chiavi di lettura.
L’IMPEGNO CIVILE DI SAUL
La sua produzione, infatti, dietro gli apparenti eccessi, finisce con il rivelare la sua natura emotiva e psicologica, tanto complessa quanto lo è il suo artefice. Basti pensare che da bambino a scuola egli fu vittima di antisemitismo a causa del suo nome, benché la sua famiglia fosse, in realtà, atea. Questo contatto precoce con il rifiuto deve avergli aperto poi la strada verso la lotta a qualunque forma di conformismo e discriminazione. L’artista, con la sua inesauribile portata in termini d’impegno civile, ha ancora una grande influenza sulle nuove generazioni nonostante la sua coerenza nel non rendersi mai classificabile ed etichettabile; lasciando perciò agli storici dell’arte il compito di definirlo entro particolari correnti artistiche.
Dopo aver visto la retrospettiva tolosana non si può non prendere atto, con grande amarezza, che le battaglie intraprese da Saul, fin dagli Anni Cinquanta, sono le stesse di oggi. Il razzismo, la guerra, il consumismo, e molto altro ancora, sono fenomeni di pura attualità. L’artista dichiarò: “La cosiddetta buona pittura è come una parata di pensatori intelligenti. Sono contento di essere fuori da essa. Chiamatemi pazzo se volete”. Troppo modesto per uno che da oltre sessant’anni, energicamente, irrompe con la sua pittura nelle coscienze di chi la osserva, suscitando domande, turbamenti e riflessioni. Il compito a cui ogni artista dovrebbe assolvere, oggi più che mai.
‒ Arianna Piccolo
Tolosa // fino al 26 gennaio 2020
Peter Saul. Pop, Funk, Bad Painting and More
LES ABATTOIRS
76 allées Charles-de-Fitte
https://www.lesabattoirs.org
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