Teatri di Vetro 13. Riflessioni su un festival che cambia forma
Teatri di Vetro, festival delle arti sceniche contemporanee diretto da Roberta Nicolai, sviluppa per il triennio 2018-2020 un programma rivolto all’esplorazione dei “residui artistici” che scaturiscono dalla costruzione di uno spettacolo, per indagare e stimolare le relazioni vitali tra scena e platea. Qui qualche riflessione su “Oscillazioni”, ultimo capitolo del festival che ha preso vita negli spazi del Teatro India di Roma.
Non siamo noi a rivolgerci alle immagini, diceva Paul Klee nel 1924, ma sono esse, prima di tutto, a rivolgere il proprio sguardo su di noi, rammentandoci che il loro statuto è quello di soggetti attivi e influenti. Ugualmente accade per le immagini create dal teatro o dalla danza. “Il teatro ci ri-guarda, ci restituisce lo sguardo, ci dice chi siamo. Andare a teatro è viversi, vivere la propria vita”, afferma Roberta Nicolai, direttrice artistica del festival delle arti sceniche contemporanee Teatri di Vetro, giunto quest’anno alla tredicesima edizione. TDV nasce da un’urgenza che viene dal basso, dal desiderio di ricercare ciò che muove la scena contemporanea, posizionandosi contro l’uniformarsi di codici e convenzioni, indagando tutti i processi artistici che portano a uno spettacolo convenzionalmente inteso e ponendo grande attenzione alla relazione vitale tra palcoscenico e platea.
Nel triennio 2018-20 il festival affonda ulteriormente nell’indagine degli elementi che compongono la creazione artistica e del dialogo tra attori e spettatori. Diviso in quattro capitoli progettuali, diramati tra la città di Roma e i suoi dintorni, TDV termina al Teatro India con Oscillazioni, una settimana di intensa programmazione in cui si apre al pubblico “una sequenza di oggetti scenici – spettacoli, performance, congegni”, oltre a incontri e spazi di confronto.
Gli artisti sono chiamati a presentare i “residui artistici”, i processi e tutto ciò che sfiora la costruzione di uno spettacolo, i campi laterali e le possibilità che non necessariamente confluiranno nel prodotto finale, ma che sono altrettanto degni di visione e di ascolto. TDV13 si compone così di cantieri aperti: studi, primi approdi, interviste, approcci ed esiti più o meno strutturati, più o meno performativi. Ogni artista o compagnia presenta uno o diversi lavori e formati, perseguendo l’obiettivo di far emergere i molteplici livelli della creazione, e rendere il pubblico partecipe della complessità della scena.
ELP DI PAOLA BIANCHI
Così, citando solo un esempio della programmazione che, come già sottolineato, è ampia e variegata, la coreografa Paola Bianchi presenta alcuni tasselli del progetto ELP – Ethos, Logos, Pathos, un’indagine sulla trasmissione della danza attraverso la parola descrittiva e, di conseguenza, dei corpi che la agiscono. ELP prende il via da un archivio retinico-mnemonico che la coreografa ha composto con l’aiuto di un gruppo eterogeneo di persone, cui ha chiesto la condivisione di “immagini pubbliche che si sono impresse nella tua retina e che anche dopo molto tempo continuano a essere vive nella tua memoria visiva”. Le posture estrapolate da una selezione di queste immagini vanno a comporre una “coreografia senza corpo”, da ascoltare, incorporare e infine incarnare. L’“audiodramma coreografico” in tal modo sviluppato parte dall’idea che “la danza – nelle parole dell’artista – è come una fotografia, la coreografia è lo sviluppo di questa cosa nello spazio e appartiene a chi la incarna”. La trasmissione della danza attuata con ELP presuppone quindi l’annullamento dell’ego della coreografa, l’esclusione del giudizio, per concentrarsi solo sui processi, unici e personalissimi, con cui il movimento viene incarnato. Con The undanced dance, primo tassello del progetto presentato a TDV, agli spettatori viene offerta la possibilità di sperimentare sulla propria pelle l’azione proposta. Energheia è invece un solo della stessa Paola Bianchi, fulcro del progetto in cui la coreografa per prima si immerge nelle immagini che compongono ELP, rendendole corpo e, così facendo, si trasforma in archivio vivente. Infine, a TDV si assiste al primo studio di Ekhfrasis, spettacolo che debutterà nella prossima edizione del festival di Castiglioncello. Qui l’archivio, sempre tramite la parola descrittiva, che è precisa e concreta, viene consegnato ai corpi di dieci giovani danzatrici e danzatori. Cominciando ancora una volta da un’azione interiore e individuale, il lavoro con i professionisti scava ulteriormente nelle possibilità di incarnazione della danza. I movimenti dettati dall’archivio vengono interpretati personalmente da ogni performer, ma la comunicazione coreografica con gli altri crea una struttura estetica e collettiva, che anche in questa fase embrionale mostra grande potenzialità. La trasmissione passa dall’ascolto della parola ai corpi in scena e tramite questi si propaga nella sala, continuando così a evolversi e incarnarsi nello sguardo e nel corpo degli spettatori.
PRO E CONTRO
Il progetto di Paola Bianchi fa emergere positivamente ed efficacemente l’oscillazione tra i ruoli – di attori, artisti, spettatori, operatori – di cui TDV si fa promotore. Azzardando modalità e dispositivi scenici disparati, il festival invita il pubblico a uscire da una posizione passiva per assumere il ruolo che gli spetta, di interlocutore reale e fondamentale della scena.
“L’assunto pratico-teorico è la parzialità dell’opera e la necessità di dover interrogare il processo di creazione”, asserisce Roberta Nicolai. “L’obiettivo non è mostrare qualcosa di incompleto o aprire il back stage. Piuttosto creare le condizioni per mettere gli spettatori a contatto con il centro, con quella zona intermedia che realmente ‘muove’ la scena”. Assumere la parzialità come fondamento del festival, tuttavia, se da un lato è stimolo di approfondimento e confronto, dall’altro rivela una debolezza, il rischio di divenire anche parzialità di sguardo. Le opere presentate a TDV trovano nell’incompiuto il proprio valore, ma esso acquisisce senso nel momento in cui riesce a creare una relazione fruttuosa per tutte le parti in causa. La dilatazione in più giorni di programmazione per progetti come il sopracitato ELP di Paola Bianchi può rendere difficoltoso seguirne tutti i passaggi e quindi cogliere appieno la valenza di tutte le fasi di un processo di creazione artistica. Difficoltà che rischia di acuirsi per un pubblico profano (e pagante), quello a cui TDV vorrebbe principalmente rivolgersi, da includere e stimolare in quanto parte del gesto artistico.
L’equilibrio è instabile e faticoso da mantenere ma a Teatri di Vetro con Roberta Nicolai si coltiva, “nella fiducia che alla radice di ciò che chiamiamo contemporaneo possiamo rintracciare un atto originario, capace di farsi fondativo e salvifico rispetto alla dispersione fenomenologica”. La fiducia nei moti della contemporaneità e della scena, e di potersi specchiare in essa, trovando completezza anche nel non finito.
‒ Margherita Dellantonio
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