Umberto Bignardi – Sperimentazioni visuali a Roma (1964-1967)
La mostra realizzata dalla Galleria Bianconi – che da anni si occupa della valorizzazione e dello studio dell’opera di Umberto Bignardi attraverso una collaborazione diretta con il maestro – si concentra su quattro specifici anni.
Comunicato stampa
Pioniere delle sperimentazioni visuali e multimediali sin dai primissimi anni Sessanta, Umberto Bignardi (Bologna, 1935; vive e lavora a Milano) in quel torno di anni è a Roma, protagonista di una stagione irripetibile legata alla Pop Art, affrontata mediante un approccio autosufficiente rispetto all’immaginario dei suoi compagni di strada Schifano, Festa, Angeli e Fioroni che pur frequenta con assiduità.
La mostra realizzata dalla Galleria Bianconi – che da anni si occupa della valorizzazione e dello studio dell’opera di Umberto Bignardi attraverso una collaborazione diretta con il maestro – si concentra su quattro specifici anni, assolutamente densi di indagini sperimentali e contrassegnati per una attività espositiva intensa, in contesti oggi ritenuti imprescindibili per la lettura delle vicende italiane e internazionali di quello specifico periodo. Ci si riferisce soprattutto alla sua collaborazione con L’Attico di Fabio Sargentini, la galleria italiana più celebre (anche in America) degli anni Sessanta per la sua vocazione avanguardistica. E proprio a questo irripetibile periodo sarà dedicato il talk tra Bignardi e Sargentini che si svolgerà nel corso della mostra in galleria a Milano.
In mostra grandi opere su cristallo e tela, un significativo nucleo di tecniche miste su carta e due opere – Fantavisore del 1965 e Rotor del 1967 – oggi considerati due capisaldi non solo del suo lavoro, ma all’intero della storia della storia dell’installazione multimediale. Opere e documenti editi ed inediti, provenienti dall’archivio personale dell’artista (compreso l’epistolario con Germano Celant, Mario Schifano e Claudio Cintoli), ricostruiranno filologicamente questa fase dell’indagine di Bignardi, anche grazie a un catalogo, edito per l’occasione, con testi inediti e un’antologia critica.
Ma cosa accade, in sintesi, in questi quattro fatidici anni per Bignardi?
Del 1963 è la mostra personale alla galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis, dove è anche tra i protagonisti della storica mostra 13 pittori a Roma, accanto a Angeli, Festa, Kounellis, Twombly, che è tra i suoi compagni di strada di questo periodo, ed altri; nel 1965 allestisce la sua personale a L’Attico di Sargentini, dove espone anche Grande gaine e Sud-Est Asia, due grandi opere che saranno esposte in Galleria Bianconi insieme al Fantavisore, una struttura in cui uno specchio consente la lettura in sequenza di un ciclo di immagini, primo passo di un processo che gli consentirà di mettersi in discussione muovendosi dalla progettualità del disegno alla pluralità dinamica della struttura “multimediale”.
Alberto Boatto, nel testo critico che accompagna la mostra da Sargentini, sostiene a proposito dei lavori su carta esposti: <
Il 18 giugno 1966 si apre la Biennale di Venezia, Bignardi partecipa con un ciclo di opere all’interno della sezione grafica; contemporaneamente Sargentini organizza una rassegna dal titolo Lavori in corso al Teatro La Fenice, dove Bignardi espone Prismobile.
Nell’ottobre è tra i protagonisti di Aspetti del ritorno alle cose, ad Amalfi, a cura di Renato Barilli.
Nel 1967 nel Padiglione d’Arte contemporanea di Milano Guido Ballo lo presenta con Angeli, Ceroli, Pascali, Schifano e altri artisti suoi contemporanei. È anche l’anno della personale alla Modern Art Agency di Napoli, per la quale si presenta con uno statement.
Ma il 1967 è soprattutto l’anno di Fuoco Immagine Acqua Terra e IM-SPAZIO. La prima è organizzata a L’Attico da Boatto e Maurizio Calvesi, probabilmente una delle mostre paradigmatiche di questi anni: per l’occasione Bignardi per la prima volta espone il Rotor (in mostra in Galleria Bianconi), che citando Muybridge presenta quella che oggi definiremmo come video-installazione, con i corpi in movimento e animati nello spazio, attivando un coinvolgimento sensoriale del pubblico. Sarà l’avvio di un lavoro complesso che negli anni successivi troverà ampio sviluppo in tutto il lavoro multimediale che concepirà per IBM nel ruolo di direttore artistico per convention e altri eventi.
La seconda è presentata da Germano Celant a La Bertesca di Genova, con Ceroli, Icaro, Mambor, Mattiacci e Tacchi. A proposito del Rotor, Celant nel catalogo scrive: << Come in un rotor si perde la dimensione ponderale e fisica del nostro corpo nello spazio, così col rotor vision, l’immagine “particolare”, i gesti primari, si centrifuga sulle pareti, sugli oggetti, sullo spettatore, perde la dimensione di immagine fissa, di quadro, di tela, di superficie immobile percepibile, diventa imspazio puro. La macchina-fulcro-nucleo della visione spinge, infatti, l’immagine nello spazio non si cura di invaderlo, di sovrapporsi ad altre immagini, come un’insaziabile image-machine divora, costruendo imspazio, ogni gesto ed ogni ambiente con cui viene a contatto>>.