Arte Fiera 2020: è tempo di performance. Intervista a Silvia Fanti
Ci sarà spazio anche per la performance a Bologna, nel contesto di Arte Fiera. Ne abbiamo parlato con Silvia Fanti, curatrice del programma incentrato sulle arti performative.
Arte Fiera, la fiera dell’arte di Bologna, è alle porte e con lei il programma di performance che torna quest’anno dopo il successo del 2019. Sempre a cura di Silvia Fanti, curatrice di Xing, avrà luogo dal 24 al 26 gennaio negli spazi della fiera. Cosa, chi, in che modo e perché? Ne abbiamo parlato con lei.
Oplà. Performing Activities, “activities” e non “arts”: cosa indica la scelta di questo termine nel titolo?
Si tratta di un’esplicitazione del fatto che le ‘activities’ che stiamo presentando a Bologna ad Arte Fiera condividono con questa una certa durata. Sviluppandosi dalla mattina alla sera, si pongono come attività di creazione, come progetti in fieri rispetto ai quali si è liberi di affacciarsi, frequentare, partecipare, o meno. È uno spostamento di registro che accompagna la decisione di operare in un contesto dove le economie dell’attenzione seguono altre modalità rispetto a quelle del raccoglimento contemplativo, o della partecipazione a un momento ‘esemplare’. C’è anche un riferimento alle activities di Allan Kaprow, che mi hanno sempre interessato e che ho voluto riprendere e aggiornare per questo momento e contesto specifico.
In che modo la performance entra in un luogo di commercio dell’arte come Arte Fiera? Quale rapporto si instaura con questo contesto (e concetto)?
Oplà, come altri progetti del public program, non ha un risvolto commerciale. Fa parte di quelle operazioni collaterali che sottolineano una sensibilità curatoriale che accompagna l’aspetto mercantile proprio di una fiera. La scelta della direzione di Simone Menegoi di includere le performing arts nasce dal riconoscimento di Bologna come centro attivo da tempo in questo campo, e dall’evidenza che gli artisti del contemporaneo lavorano sempre più in modo trasversale. Da qui la necessità di offrire una piattaforma per presentare la complessità del contemporaneo. Gli artisti di Oplà non vengono proposti dalle gallerie, ma sono invitati a produrre un intervento specifico partendo dalla rilevanza del loro percorso nelle arti dal vivo. Il rapporto con il contesto/concetto è quindi ciò che i singoli artisti interpretano, grazie alla loro esperienza e alle capacità ideative e realizzative, a volte in termini di critica, a volte con una certa dose di giocosa autoironia. A monte, l’orientamento è di usare i varchi, gli interstizi, i dintorni della fiera, ovvero gli spazi e tempi liminali, inserendosi nel bioritmo dell’evento. Quasi una punteggiatura.
Cosa, chi vedremo a Oplà, e dove?
Saranno prodotti dei progetti performativi di ZAPRUDER filmmakersgroup, Luca Vitone, Alessandro Bosetti e Jimmie Durham, quattro protagonisti della scena contemporanea che affronteranno dinamiche relazionali e i meccanismi simbiotici affini al collezionismo, al possesso e alla produzione di valore.
Devla, devla… è l’azione pensata da Luca Vitone, il cui lavoro esplora l’idea di luogo attraverso la produzione culturale. Per accogliere la performance ha realizzato delle opere scultoree. Donne e uomini rom, seduti dietro separé disseminati tra i padiglioni, leggeranno il futuro a chi vorrà confrontarsi con la chiaroveggenza, una pratica della tradizione rom. All’interno del contesto fieristico le previsioni dei veggenti indirizzeranno i collezionisti nelle loro ricerche. Per Vitone la cultura romanì, oggetto del suo recente progetto Romanistan, rappresenta un ideale moderno e transnazionale di popolo, questione evidentemente attuale.
ANUBI IS NOT A DOG è un set-performance dove sarà possibile seguire il lavoro di making di ZAPRUDER filmmakersgroup, formazione sperimentale che lavora in direzione di un’esperienza visiva totale. Questo nuovo avvio progettuale proseguirà con altre tappe nel 2020-21, che porteranno a un’opera complessa, un film. Il pubblico potrà osservare la preparazione della scena, il ciak, ecc. in un dispositivo di visione/ascolto che gioca sulla separazione dei sensi: udito e vista restituiranno paesaggi diversi. Soggetto di questo film in fieri è il rapporto di affinità simbiotica tra cane e proprietario, tra possedere ed essere, tra spettacolo e gioco, in un rimando continuo di immagini riflesse.
E per quanto riguarda Bosetti e Durham?
L’Ombra è una sound performance di Alessandro Bosetti, artista che ha declinato la sua passione per la sonorità del linguaggio parlato attraverso molteplici forme. È un reportage poetico che attinge da un archivio sonoro in crescita. Microfono alla mano, Bosetti raccoglie e restituisce un corpus di frammenti vocali, registrati muovendosi tra la comunità effimera di voci che per tre giorni abita la ‘situazione’ fiera: una polifonia di voci diverse di visitatori, espositori, tecnici, artisti. Ogni giorno poi interviene negli interstizi del programma dei Talk curati da Flash Art con delle brevi performance in cui la voce dell’artista va a interpolarsi alle voci raccolte in una serie di ghirlande verbali surreali: una sorta di flusso di coscienza che ingloba le parole degli altri, in cui domande e risposte si fanno ombra. Le restituzioni performate dal vivo saranno anche ascoltabili a fine giornata sul sito di Arte Fiera, e l’intero archivio verrà rielaborato successivamente per dar vita a un’opera radiofonica.
THE BUREAU è il re-enactment di Smashing, una performance iconica di Jimmie Durham del 2004. Durham (che si è meritato il Leone d’Oro alla Carriera nella scorsa Biennale di Venezia, e che tra l’altro ha una relazione con l’Italia da lungo tempo) è un artista trasversale con alle spalle un lungo percorso di critica delle logiche del pensiero occidentale. Seduto a una scrivania, con una pietra in mano, per diverse ore distruggerà ‘ufficialmente’ gli oggetti che gli verranno presentati dal pubblico ed emetterà i certificati di eliminazione. Un’affermazione critica sugli oggetti, il valore monetario e l’idea di autenticità. Nei giorni successivi alla performance, il set e i resti dell’azione resteranno installati come un’opera di scultura espansa.
In un momento di grande successo per questa forma d’arte, mi piacerebbe fermarmi a riflettere con te, che con Xing porti avanti da tempo un lavoro sui linguaggi interdisciplinari, sul ruolo della performance nel panorama culturale e artistico oggi. A cosa dobbiamo questo crescente successo? Alla metà del Novecento, la performance rompe gli stilemi dei linguaggi artistici, dà vita a collaborazioni interdisciplinari, crea un legame particolare con il quotidiano, dei gesti semplici e del contesto politico. In che modo sono cambiate le estetiche e le pratiche della performance oggi? Quali sono le tendenze, se ce ne sono?
Per essere sintetici, il performativo ha funzionato in questi ultimi venti anni come termine di interscambio tra danza, teatro, arti plastiche, visive in un processo di trasformazione dei principi della ‘rappresentazione’ in quello di ‘presentazione’. Oggi il termine che coagula l’appeal per il vivente è ‘esperienza’, ovvero soggettività e fisicità della memoria, coinvolgimento e incorporazione di un passaggio: un progresso mentale, un incontro fisico, un rapporto. Le avanguardie non ci sono più, e in questo momento non vedo nuove tendenze, ma riproposizioni più o meno derivative. Forse si tratta di una fase. E forse l’ostinazione di alcuni, in questo scenario, ci permetterà di addentrarci in altri territori.
E nell’ambito di Xing quali sono le direttive del nuovo anno?
Nei giorni di Arte Fiera siamo coinvolti in Art City Bologna, un programma di eventi pubblici in cui presenteremo nella stazione dell’Alta Velocità di Bologna Centrale il progetto prodotto da Xing grazie al sostegno dell’Italian Council, Morestalgia di Riccardo Benassi, e sosteniamo la mostra di disegni/performance Sono dentro. L’essere ciò che è chiuso in un tratto di Silvia Costa alla Biblioteca Italiana delle Donne/Centro delle Donne di Bologna. Inoltre stiamo chiudendo la IX edizione di Live Arts Week/Gianni Peng, che si disloca in diversi luoghi a Bologna con un collegamento su Modena dal 26 marzo al 4 aprile.
‒ Chiara Pirri
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