Trentatré Stelline
Il progetto è incentrato sulla storia dell’edificio di via Cuzzocrea che un tempo fu adibito a brefotrofio mentre oggi ospita il Palazzo della Cultura.
Comunicato stampa
Il 21 gennaio 2020, a Reggio Calabria, la Commissione Scientifica di Palazzo Crupi – composta da Angela Pellicanò, Paola Miriam Russo e Valentina Tebala – inaugura questo primo progetto di mostra a propria cura, al terzo piano del Palazzo ovvero all’interno della neonata sezione PiCo – Piano Contemporaneo.
Il progetto è incentrato sulla storia dell’edificio di via Cuzzocrea che un tempo fu adibito a brefotrofio mentre oggi ospita il Palazzo della Cultura. L’intento è quello di rievocare le memorie della città e al contempo riflettere sulle origini e sul ruolo del Palazzo all’interno del contesto cittadino, nel passato come nel presente. Proporre di fare ciò attraverso il filtro e la mediazione dell’arte contemporanea, con i suoi diversi linguaggi espressivi, ci permette di orientare la riflessione verso una lettura aperta e trasversale, suscettibile di visioni stratificate che vogliono e devono essere profonde e costruttive. In questo modo il progetto si fa portavoce, oltretutto, di una mission generale e allargata per Palazzo Crupi che mette al centro la storia e la cultura del nostro territorio – con l’obiettivo di tutelarla, valorizzarla e promuoverla in maniera attenta e lungimirante – attraverso un interscambio dialettico mai sterile con tutto ciò che esiste e vive la contemporaneità oltre i suoi confini.
*Quando l’indagine metodica dell’arte contemporanea entra in relazione con il passato, la testimonianza diviene impareggiabile documento. La grandezza sta nell’inarrestabile approccio tra la decadenza e lo svelamento dei luoghi vissuti, pregni di quella energia che necessita e sa cogliere ogni artista. I luoghi e le storie che loro possono riportare alla luce, rischiano di cadere per sempre nel dimenticatoio, se non si continua a progettare e restare vigili perché gli edifici nel frattempo sono stati riadattati all’esigenza fagocitante del tessuto urbano. Quando l’arte, strumento maieutico del ricordo, li recupera, ne celebra poeticamente la storia e li riscatta dall’oblio.*
Trentatrè Stelline vuole essere un esplicito omaggio alle trentatré piccole vite spezzate a causa del bombardamento che colpì il brefotrofio reggino il 21 maggio 1943, e a quelle delle loro madri-nutrici. Un omaggio alla delicatezza dell’infanzia e della vita.
Il termine “stelline” fu un appellativo con cui ci si riferiva alle orfanelle dapprima nella Milano cinquecentesca, divenendo poi uso piuttosto comune nel resto d’Italia. L’Arcivescovo Carlo Borromeo, nel 1578, prese in affitto il soppresso monastero delle Benedettine situato presso la chiesa di Santa Maria della Stella, nell’attuale Corso Magenta: nasceva così il luogo pio della Stella, destinato nel corso dei secoli a divenire l’Orfanotrofio Femminile delle Stelline, fino al 1971. Nel 1986, il Comune di Milano e la Regione Lombardia costituirono la “Fondazione Stelline” con l’obiettivo di conservare il Palazzo e di promuovere iniziative socio-economiche e culturali di rilievo nazionale e internazionale, in particolare negli ultimi anni con progetti dedicati all’arte contemporanea. Storia e mission che ci ricordano quelle del nostro Palazzo della Cultura ed ex brefotrofio.
Invece, dal punto di vista iconografico, la stella è un elemento ricorrente nella rappresentazione della Beata Vergine: spesso è presente sul manto blu oppure al posto della corona – o insieme ad essa – la Vergine presenta uno stellario sul capo. Uno dei suoi appellativi è anche “Stella Maris”: il culto della Vergine quale Stella del Mare – come Venere, stella del mattino e della sera – è utilizzato per enfatizzare il suo ruolo di guida nella comunità cristiana. Accadde allora che, all’interno degli orfanotrofi o dei brefotrofi, i fanciulli venissero chiamati “stelline” poiché – in sostituzione alla figura genitoriale – sarebbe stata la stella della Vergine a guidarli nel loro percorso di crescita.
Il percorso espositivo si suddivide in due sezioni, diverse ma complementari: una prima parte storica e documentativa, costituita dalla raccolta di materiale d’archivio relativo agli anni di attività del brefotrofio fino al tragico avvenimento del 1943; una seconda parte, conseguente alla prima, utilizza i linguaggi e le visioni poetiche offerte da cinque artisti contemporanei (Mustafa Sabbagh, Alberto Timossi, Elisabetta Di Sopra, Mandra Stella Cerrone, Giulio Manglaviti), i quali sono invitati a relazionarsi con la storia dell’ex brefotrofio e, tramite essa, a riflettere sulle dinamiche e i costrutti sociali e culturali inerenti i concetti chiave della mostra. I criteri da cui muove il progetto sono l’«infanzia» e la «cura», quella che naturalmente si riserva a questo periodo della vita di un essere umano; ma anche la cura rivolta alla vita stessa, come valore universale da proteggere e celebrare fin dal momento in cui si affaccia al mondo. Gli artisti, dunque, presentano al pubblico una mescolanza di vedute e di ricerche tra professionisti più giovani e professionisti già affermati, di fama nazionale e internazionale. Ciascuno con il proprio background e le proprie attitudini, ricerche e modalità operative, ha lavorato anche con la possibilità di concepire un’opera appositamente per l’occasione.
La mostra è stata realizzata grazie al sostegno della Città Metropolitana di Reggio Calabria nonché del Consigliere Delegato alla Cultura, Filippo Quartuccio.