Fotosintesi. Lissa Rivera e l’indefinibile leggerezza del gender
Per il secondo appuntamento la rubrica “Fotosintesi” incontra la fotografa americana Lissa Rivera che, attraverso i suoi scatti, racconta una relazione (e una rivelazione) per una nuova identità di gender.
“Volevo mostrare il gender, l’identità sessuale come qualcosa che può essere usato per fare esperienza della libertà e non dell’obbligo”.
Lissa Rivera
Lissa Rivera, classe 1984, è fotografa e curatrice e vive e lavora a New York.
La prima volta che mi sono imbattuta negli scatti della sua serie Beautiful Boy mi ha colpito la sincerità e insieme la potenza evocativa delle immagini con cui veniva affrontato un tema complesso ‒ l’identità di gender ‒, lontano da ogni semplificazione e banalizzazione estetica.
Da quella prima serie Beautiful Boy è diventato un progetto in tre capitoli, acclamato internazionalmente e vincitore nel 2017 del Magnum Photography Award per la categoria Ritratto, punto di partenza di una ricerca culturale ed estetica che non si è più esaurita. Al momento Lissa è impegnata nel nuovo lavoro The Silence of Spaces, che sarà presentato a New York il prossimo luglio.
L’INCONTRO
La storia di Beautiful Boy è la storia di un vissuto personale e nasce dall’incontro tra Lissa Rivera e BJ Lillies, divenuto per entrambi l’inizio di una scoperta di se stessi svelata attraverso il racconto della fotografia. Quando iniziano a frequentarsi a New York, lei è una giovane fotografa e BJ sta completando un Phd in Storia americana. Entrambi lavorano al Museum of the City of New York e durante un lungo tratto di metropolitana scoprono di condividere qualcosa di più personale: un’identità mutevole, non binaria, non definita dalle categorie di gender, lontana dalle comuni classificazioni della cultura e della controcultura. La conversazione diventa uno scambio di messaggi, poi incontri, film, libri e spontaneamente una serie di scatti: è l’inizio di un rapporto artistico e di una relazione sentimentale che permette loro di esplorare e liberare attraverso la fotografia una visione di se lontana da qualsiasi schema precostituito.
LA BELLEZZA SENZA DEFINIZIONE
Nella serie di scatti che compongono Beautiful Boy la Rivera fotografa BJ come una diva retrò, in ambientazioni d’epoca, traendo ispirazione dal glamour raffinato degli Anni Venti, dalle icone del cinema hollywoodiano, dal vintage dei primi Anni Cinquanta, trasformando l’iconografia ideale di femminilità e seduzione in una nuova identità, maschile e femminile insieme, fragile ma seducente, libera da qualsiasi definizione o cliché. Lo svelamento della femminilità di BJ diventa una rivelazione intima e partecipata, quasi una conversazione sommessa tra amanti, che raccontano con uno sguardo emozionato ed emozionante la scoperta della loro libertà.
Poiché siamo quello che vediamo e i modelli estetici che impariamo a conoscere, la nostra idea di gender risiede nell’immagine veicolata dalla cultura di massa: il valore del progetto della Rivera non risiede soltanto nel portare alla luce la realtà genderqueer, ma sta nel farlo all’interno dell’estetica formale classica, modificandola là dove ha le basi l’immaginario collettivo. In queste immagini il confine tra ciò che comunemente vediamo come femminile e maschile si fa labile, indefinito, fluido. L’innegabile bellezza dell’esile figura diafana del corpo, l’equilibrio compositivo, l’uso espressivo del colore contribuiscono a riflettere l’immagine di una bellezza perfetta per rivelarci che è in realtà diversa da come potremmo aspettarci che sia: non ha etichette, non ha confini, ma si rivela senza scandalo nell’armonia di un’accettazione più profonda di sé.
TRA ARTE E VITA
La fotografia di Lissa Rivera si colloca così nel solco della fotografia americana che indaga il rapporto tra immagine e identità, con una prospettiva intima e personale capace di mettere in discussione con delicatezza e forza nello stesso tempo la visione preordinata del ruolo femminile e maschile veicolato dall’immaginario mainstream. È una fotografia che cambia il nostro modo di vedere il mondo e quindi la nostra realtà. “Io sono per la libertà” ‒ dice la Rivera. “Non abbiamo ruoli nella nostra relazione. Non c’è nessuna attività femminile che ci si aspetta da me. Io apro la porta per BJ. Lui lava i piatti. Dobbiamo vedere queste azioni come azioni svincolate dal gender”. E ancora: “Sono fermamente convinta che l’arte possa costruire la realtà. La mia vita è uno sforzo creativo e posso lavorare tutto il tempo fintanto che il mio lavoro include la mia libertà di esprimere me stessa. Possiamo veramente consacrare le nostre vite a esplorare i limiti della conoscenza e dell’esperienza, e lavorando insieme, sento veramente che questa può essere la mia vita e non una fantasia”
UNA CONVERSAZIONE CON LISSA RIVERA
La tua estetica è una combinazione di un intrigante mix di opposti: maschile/femminile, passato/presente, forza/vulnerabilità. Anche la bellezza è fragile e potente nello stesso tempo. Se dovessi scegliere tre opere d’arte rappresentative dell’idea di bellezza, quali sceglieresti?
Tante per nominarle tutte! Su due piedi mi vengono in mente il cortometraggio di Kenneth Anger, Puce Moment (1949) Lo Specchio di Tarkovsky (1975) e il Ritratto di nudo del 1942 di Leonor Fini.
E quali sono i modelli ai quali ti ispiri?
BJ mi ispira! Anche Leonor Fini, Rainer Werner Fassbinder, Betty Dodson, Diana Vreeland, Mark Dion, il mio precedente capo Dr. Stanley Burns, il mio collega Serge Becker e di base chiunque scelga veramente di definire la propria vita a modo proprio e si impegni nel farlo.
Il tuo lavoro ci interroga sugli stereotipi identitari e sui modelli culturali e di conseguenza sulla nostra struttura sociale. Cosa vorresti fosse diverso in futuro?
BJ si identifica come non-binario, mentre io credo che tutti i generi possano beneficiare di maggiore libertà dagli stereotipi, specialmente dalle aspettative e dalle definizioni negative e rigorose. Nel futuro spero che più persone possano essere a loro agio con i loro lati maschili e femminili e che ci sia maggiore accettazione di se stessi e degli altri. Spero che ci sia meno pressione e vergogna nei riguardi del corpo e dell’espressione sessuale.
L’atmosfera dei tuoi scatti è spesso ispirata al glamour del secolo scorso. È un mondo immaginario che viene da molte fonti ‒ dalle icone hollywoodiane ai libri alla fotografia ‒, riportato alla vita attraverso il tuo sguardo e l’interpretazione di BJ. Cosa cerchi nel passato che manca al nostro presente?
Il presente non è libero dal passato. Non c’è nulla che manca ma forse troppo in sospeso. Il linguaggio visivo e i simboli del desiderio arrivano dal passato attraverso la cultura. Il mio tentativo è solo quello di tracciare il DNA dei miei desideri attuali in modo da poterli nello stresso tempo sia esaudire che esaminare criticamente.
L’energia magnetica di Beautiful Boy è anche il risultato del sentimento intimo e personale di due persone che si innamorano. Qual è il confine, se esiste, fra la tua arte e la tua vita privata?
Non c’è confine nel senso che troviamo fantasia e desiderio nell’essere una parte reale dell’esperienza umana. Il nostro lavoro è pensato e messo in scena ma nello stesso tempo è l’autentica espressione del nostro stato emotivo e della relazione tra i nostri corpi.
Oggi tutti abbiamo mezzi di comunicazione e network che possiamo usare per esprimere e condividere le nostre immagini nel mondo. Eppure hai definito Beautiful Boy come una confessione, che richiama l’idea di una verità nascosta. La comunicazione digitale è uno spazio o una gabbia per la libertà?
Credo che la comunicazione digitale abbia grandemente ampliato la libertà di espressione sessuale e di gender. È veramente incredibile vedere la crescente eterogeneità dei contenuti, specialmente quella prodotta e diretta a uso personale. Non c’è possibilità alcuna che il nostro lavoro potesse avere il medesimo successo vent’anni fa. Nello stesso tempo c’è una grande richiesta di condivisione di informazioni personali e non è ancora chiaro quali saranno le implicazioni su larga scala di questa cultura della sorveglianza.
Le persone si potranno sentire in gabbia se verranno risucchiate nell’esigenza di approvazione nei social media e se cambieranno il loro modo di esprimersi in relazione a qualcosa che potrà rivelarsi effimero. Il numero di follower che si hanno non riflette il valore o il successo di una persona come essere umano.
A cosa stai lavorando al momento? Hai nuovi progetti?
Sto continuando a lavorare al progetto The Silence of Spaces su identità e religione. C’è molto materiale, incluso un film! Sarà in mostra a luglio alla galleria ClampArt di New York.
‒ Emilia Jacobacci
LE PUNTATE PRECEDENTI
Fotosintesi #1 – Mari Katayama
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