Due collezioni per un secolo. Alla galleria Bottegantica di Milano
Galleria Bottegantica, Milano ‒ fino al 29 febbraio 2020. Uno spaccato sintetico, ma di indiscutibile qualità, dell'arte del Novecento: questo l'obiettivo ambizioso di un gallerista che ha raccolto l'eredità di uno spazio in cui si sono sedimentati valori ed eccellenze, gli stessi che stanno alla base dei progetti più recenti.
Enzo Savoia, il gallerista, stacca un quadro dal muro, lo gira e indica con un certo orgoglio l’etichetta che testimonia come proprio quell’Autoritratto di Giorgio de Chirico del 1931 avesse già frequentato la sala che ora, per la seconda volta dopo il 1952, lo ospita. Eh sì, perché i locali in via Manzoni 45 a Milano – dove ha sede la Galleria Bottegantica – videro svolgersi l’attività della celebre Galleria del Naviglio che, grazie a Carlo Cardazzo, rappresentò un caposaldo nella diffusione e nella conoscenza delle avanguardie del Novecento e di quei pittori e artisti che oggi popolano le pagine di ogni manuale di storia dell’arte.
UN EXCURSUS NEL SECOLO BREVE
Ma il dipinto del maestro della Metafisica è solo una delle trenta opere riunite sotto il titolo Novecento privato e che provengono da due importanti collezioni, private appunto, acquisite dalla galleria e ora esposte al pubblico. A queste, che cronologicamente si collocano dal 1906 (data di Fides di Adolfo Wildt) alla metà degli Anni Sessanta, con lavori di Agostino Bonalumi, Emilio Vedova, Renato Guttuso, il gallerista ha scelto di affiancare alcuni “frammenti di altre vite, di altre storie, punteggiando il discorso con incisi (altre opere, ovviamente) che talvolta spiegano anche meglio il senso di quei due percorsi paralleli e diversi”, spiega Fabio Benzi in catalogo per collocare le presenze più recenti.
NUOVE SCOPERTE E CONFERME
La mostra non solo ha consentito alle opere di uscire dalle stanze segrete dove erano gelosamente conservate, ma ha altresì stimolato inediti percorsi di ricerca storico-artistica, aggiungendo piccoli ma importanti tasselli alla conoscenza del lavoro di alcuni artisti. Ad esempio è stato possibile aggiungere allo scarno catalogo di Umberto Boccioni il suo Paesaggio lombardo del 1908, di gusto ancora divisionista e conosciuto finora solo tramite un disegno preparatorio: fu “acquistato all’epoca da un amico di origine olandese dell’artista che sarebbe diventato uno dei maggiori fotografi argentini, trasferitosi a Buenos Aires nel 1911” – precisa ancora Benzi –, quindi costituisce un caso emblematico delle partenze e dei ritorni (rarissimi e pertanto preziosi) di tanti dipinti. E ancora la tela di Massimo Campigli che, rispondendo alla richiesta di reinterpretare un modello del passato per la mostra intitolata Omaggio agli antichi Maestri organizzata nel 1954 dalla Galleria d’arte moderna di Milano, scelse la Grande Jatte di Seurat, a testimonianza di un sentimento diffuso in “una larga parte degli artisti tra le due guerre, che vedevano il caposaldo della modernità (astrattiva, proporzionale, compositiva) in Seurat piuttosto che in Cézanne: così come teorizzato da Severini”. Non ci si può inoltre non soffermare sul grande cartone preparatorio per il mosaico a tema La Giustizia fiancheggiata dalla Legge realizzato nel Palazzo di Giustizia di Milano, sull’onirico e inquietante L’uomo oceanico di Alberto Martini (1929) e sulla sezione tardo-futurista con opere di Giacomo Balla, Tullio Crali e un poco conosciuto ma meritevole di rivalutazione Mino Delle Site. Un’occasione ghiotta per vedere dal vivo opere che verosimilmente, prima o poi, saranno cedute a fortunati collezionisti e accolte in altre stanze segrete.
‒ Marta Santacatterina
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