Il 7 maggio 1964, con il Discorso agli artisti, Paolo VI, facendo “coincidere sacerdozio e arte”, riconosce l’ostilità della Chiesa verso gli artisti moderni e contemporanei; Chiesa che preferisce ricorrere “ai surrogati, all’oleografia, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa”. Su questa linea, il 4 aprile 1999 Giovanni Paolo II, nella Lettera agli artisti, chiede a questi di “suscitare stupore tramite la bellezza delle loro opere”; e ancora, il 21 settembre 2009, Benedetto XVI nel suo Discorso agli artisti torna sull’argomento, sottolineando il rapporto tra bellezza e verità. Ciò a dimostrazione del fatto che il tema dell’arte sacra, o meglio la questione del rapporto tra arte moderna e contemporanea e Chiesa, continua a mostrare una sua problematica attualità.
Insomma, la Chiesa sembra rendersi conto che deve superare la sua tradizionale posizione di rifiuto del contemporaneo sul quale si è arroccata a partire soprattutto dal XX secolo. Non è che non ci siano stati dei tentativi ben riusciti: basti pensare alla Cappella di Vence di Matisse, o alla chiesa sul monte Tamaro di Botta e Cucchi, o a Dan Flavin alla Chiesa Rossa di Milano, o ancora ai recenti interventi di Kounellis, Nagasawa, Parmiggiani, Spalletti nel Duomo di Reggio Emilia, o alla collaborazione di Mario Airò e Stefano Arienti per altare e ambone della cinquecentesca chiesa di san Giacomo progettata dal Codussi a Sedrina (Bergamo). Ma si è sempre trattato di casi isolati e coraggiosi.
Che ci sia una volontà di affrontare la questione, è dimostrato anche dal fatto che la Chiesa ha recentemente mostrato il desiderio di avere un Padiglione Vaticano alla Biennale di Venezia, che a mio avviso non è prioritario. Intendiamoci, non sto dicendo che il Vaticano non debba avere il suo padiglione, sto sottolineando che la vera questione è l’arte nelle chiese, nei luoghi di culto che, se concretamente riattivata, varrebbe a mio avviso più di cento biennali. Certo il cammino è complesso e certe opere che spaventano a torto la Chiesa – come La Nona Ora di Cattelan, che tuttavia non è un’immagine contro, ma un’opera pro, come ha poi riconosciuto il cardinale Brambilla – non è che aiutano a sbrogliarlo… Anche Leonardo e Michelangelo non erano poi stinchi di santo.
La questione non si esaurisce solo nel rapporto fra arte e monumento, o fra arte e architettura. La questione si può dividere in linea generale in due grandi tronconi: arte moderna e contemporanea in chiese di nuova costruzione e arte moderna e contemporanea in chiese antiche, ma va allargata anche ad altri elementi liturgici come paramenti, libri sacri e molto altro, come dimostra il dono del nuovo Evangelario Ambrosiano che il cardinal Dionigi Tettamanzi ha voluto fare alla sua città prima di lasciare l’incarico di vescovo di Milano.
In questo libro, dove naturalmente permangono gli eterni testi degli evangelisti Giovanni, Luca, Marco e Matteo, vi sono immagini appositamente create da Giovanni Chiaramonte, Nicola De Maria, Mimmo Paladino, Nicola Samorì, Ettore Spalletti e Nicola Villa, che dimostrano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che gli artisti contemporanei non sono il diavolo, ma che sanno perfettamente come entrare con la loro arte in relazione con la Chiesa e la sua filosofia, o meglio teologia. Sottolineando quella relazione tra Arte e Chiesa in cui sembra che qualcosa “eppur si muove”.
Giacinto Di Pietrantonio
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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