Pittura lingua viva. Intervista ad Alfredo Camerottti e Margherita de Pilati
Viva, morta o X? 74esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature. In occasione della mostra “Ciò che vedo. Nuova figurazione in Italia” alla Galleria Civica di Trento la parola va ai curatori Alfredo Cramerotti e Margherita de Pilati.
Che cosa rende la pittura figurativa così durevole come prodotto della cultura umana?
Alfredo Cramerotti: È quello che vogliamo scoprire con la mostra. L’arte contemporanea – in questo caso la pittura figurativa – è un sistema per offrire prospettive su questioni che riguardano la nostra vita contemporanea, né più né meno. Il progetto coinvolge posizioni artistiche che offrono spunti di riflessioni su identità, politica, società, ambiente, sessualità, lavoro, famiglia e altre questioni. Questi artisti pongono anche domande, oltre che offrire risposte in forma visiva e intellettiva. In ultimo, quello che il visitatore trae da questo progetto, come da altri eventi artistici, non è mai un “botta e risposta” diretto come siamo abituati dai dibattiti politici o su questioni civiche; è un pensiero che viene assorbito, metabolizzato, fatto proprio dallo spettatore che poi verrà ri-proposto in forma di opinione e storia personale, oppure di riflessione e memoria. Ecco, questo è quello che intendiamo per prodotto durevole della cultura umana.
Il concetto di resilienza è impiegato quale chiave interpretativa della pittura e della figurazione, in particolare parli di resilienza flessibile. Mi piacerebbe approfondire…
Alfredo Cramerotti: È la capacità non solo di sopravvivere, ma di svilupparsi nel corso del tempo in forme più attuali e rilevanti alla nostra situazione socioculturale, e di manifestarsi in aspetti anche lontani dalla sua tradizione. Possiamo pensare, in questo caso, all’animazione digitale che si ispira alla pittura realistica, all’estetica dei videogiochi che prende spunto dagli scenari post-apocalittici dei dipinti religiosi e ai social media come Instagram, dove quasi ogni singolo post promuove (e si basa su) un certo senso della composizione pittorica, in maniera che questo venga condiviso e ricircoli come immagine.
Parli di immagine digitale, di videogiochi e Instagram. In un periodo come questo, in cui appunto il virtuale e il digitale sono preponderanti e si assiste a una bulimia di immagini, come la figurazione pittorica si può porre, oltre al trarre ispirazione più o meno diretta da queste fonti? E come millenials e post-millenials recepiscono, e fanno, pittura?
Alfredo Cramerotti: La pittura non è semplicemente un continuare nonostante tutto, dopo che fotografia, film e video, e in ultimo i media digitali l’hanno dichiarata “finita” come forma della cultura umana; come si accennava prima, la figurazione pittorica è una manifestazione dell’evolversi stesso della cultura visiva, che si adatta, plasma e riconfigura il divenire umano attraverso pensieri, comportamenti e azioni visuali. I vari modi in cui oggi millennials e post-millennials coltivano relazioni passa attraverso la concretezza degli scambi, che è il risultato delle connessioni online; per esempio, il modo in cui la cultura musicale digitale stabilisce delle comunità globali (una volta si sarebbero chiamate “sub-cultures”) che si ritrovano regolarmente a concerti, festival ed eventi fisici e che poi continuano a rinforzarsi attraverso le conversazioni in rete. In maniera reciproca, il “moto emotivo” fornito da un’esperienza o una situazione fisica si trasla poi in comunità digitale globale. Ecco, questa reciprocità fisica-virtuale, questo collassare delle differenze, è esattamente quello che la figurazione pittorica offre. Molto spesso, in artisti emergenti e giovani, il lavoro passa prima da Internet e poi allo spazio fisico, e non viceversa. Questo continuo ricircolo di immagini e output visivi serve alla pittura perché, come le gigs musicali, “concretizza” delle comunità che poi proliferano in rete e rinforzano il senso di appartenenza.
E dal punto di vista iconografico quali sono le conseguenze? Quali i nuovi temi e immaginari da esplorare e come farli convivere con la tradizione? Mi sembra che il ritratto sia un genere fortemente presente…
Alfredo Cramerotti: Io leggo la forte presenza del ritratto nella nuova figurazione proprio come l’alter-ego della comunicazione digitale; pensiamo ai selfie, ai filtri che usiamo prima di postare immagini in Instagram o Tumblr, ai Memoji, e via dicendo. Sono strumenti con cui costruiamo un’identità altra, forse di come vorremmo essere in un mondo ideale, ma che non siamo nella realtà. Questi non sono altro che dei “codici estetici” condivisi dalla società, perlomeno quella connessa a Internet, che – va chiarito – non è ovunque e non ha lo stesso tipo di accesso alla rete. Questi codici sono poi ripresi dagli artisti e riproposti in forme di domanda, riflessione, prospettiva altra, anche risposta parziale se vogliamo. Ci sono delle altre iconografie che si possono tracciare: gli interni, le piante, il rapporto col sesso, le nostre attitudini psicologiche, ecc.
Secondo quali criteri sono stati selezionati gli artisti in mostra?
Margherita de Pilati: Sono tutti giovani e mid-career con alle spalle mostre, premi internazionali, ottime gallerie. Del tutto casuale invece il fatto che le scelte curatoriali abbiano composto un panel di 7 uomini e 7 donne. Ne sono immensamente felice: significa che finalmente si sta superando il fatto che gli uomini siano più bravi. Era anche importante che fossero tutti italiani, perché troppo spesso il nostro Paese soffre di esterofilia. In questa direzione anche la presenza di due artisti trentini non va vista come promozione del territorio ma come riconoscimento del talento. Un ente pubblico come il MART, di cui la Galleria Civica è parte, deve spaziare e indagare il mondo dell’arte contemporanea a 360 gradi, senza preconcetti e cercando – sempre e prima di tutto – la qualità.
Come le opere selezionate entrano in dialogo le une con le altre?
Margherita de Pilati: Il filo conduttore è la tecnica. È questa la base di partenza di ognuno dei 14 artisti presenti. Ognuno di loro ha solide basi e grandi capacità. Poi ovviamente ognuno di loro utilizza queste capacità in modo personale, cercando di rappresentare ognuno il proprio mondo alla propria maniera. Per questo motivo mi irrito quando alcuni colleghi trattano la pittura figurativa come qualcosa di vetusto, di noioso, di già visto. Questa mostra testimonia che anche ciò che è stato visto e fatto in passato può essere interpretato in chiave personale e contemporanea. Basta pensare alla lettura che Patrizio Di Massimo dà di un dipinto del Settecento e come, pur non cambiandone la composizione, lo interpreta e lo rende assolutamente personale e contemporaneo. È più difficile usare mezzi antichi e rinnovarli che inventarne di nuovi.
Perché proprio in questi ultimi anni l’attenzione verso il mezzo pittorico sembra essere più marcata?
Margherita de Pilati: Trovi? A me sinceramente non è parso che ci fosse una nuova attenzione verso la pittura, almeno non nelle sedi espositive o attraverso la critica. L’attenzione c’è, ed è sempre forte, a livello di mercato, perché alla fine è pur sempre il media che ha l’approccio più immediato e la collocazione più facile. Quando alcuni mesi fa ad Artissima ho parlato di questa mostra a un direttore di un museo di arte contemporanea, mi son sentita dire che fare una mostra sulla pittura figurativa era una scelta “coraggiosa”. Anche questo però mi sembra un po’ esagerato…
Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea, anche letta in relazione a quella internazionale? Quali le debolezze e quali invece i punti di forza?
Margherita de Pilati: Inizialmente, quando abbiamo cominciato a lavorare alla mostra, avevamo pensato di inserire anche alcuni pittori stranieri, Michaël Borremans, Mathew Cerletty, Thomas Eggerer. Alla fine abbiamo deciso di puntare solo sugli artisti italiani, perché la sensazione era che in alcuni casi i nostri non avessero proprio nulla da imparare. Mi piacerebbe che il detto “Nemo propheta in patria” smettesse di essere così attuale in Italia e si valorizzassero un po’ di più i nostri talenti. In particolar modo, la pittura fa parte del nostro DNA, ci siamo cresciuti in mezzo alla pittura.
Una domanda che pongo sempre nella mia rubrica: perché fare pittura oggi?
Margherita de Pilati: Mi viene da risponderti: e perché no?
‒ Damiano Gullì
LE PUNTATE PRECEDENTI
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Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
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