Scalpello e computer. Tony Cragg il materialista
Abbiamo incontrato Tony Cragg in occasione della sua personale a Lugano. Tra arte e filosofia, il "materialista radicale" parla di scultura e installazione, della fine della strategia duchampiana, del fascino inestinguibile del soggetto umano, della polemica Hockney-Hirst…
Tony Cragg (Liverpool, 1949; vive a Wuppertal) parla della scultura come di una missione, di un dovere civile. Sottolinea la necessità di indagare le infinite forme e possibilità della materia, e assegna alla scultura un compito che alla scienza è precluso: individuare i significati della materia, oltre che le sue strutture. Sul piano filosofico, un materialista radicale, come lui stesso si proclama. Lo abbiamo incontrato a Lugano, in occasione della sua mostra alla Villa Ciani.
Si discute molto della definizione di scultura e installazione. L’ipotesi preponderante è che la scultura non esista più, e che la nuova scultura sia l’installazione. Pensa che abbia senso questa distinzione?
Il termine installazione esiste dagli Anni Sessanta, quando si cercava di espandere le possibilità dell’arte ed era quindi normale che si inserissero le opere in un nuovo contesto, in particolare nel contesto spaziale. Negli Anni Settanta ho avuto anch’io l’opportunità di esporre in posti come un mattatoio in Francia o una fabbrica di biciclette nel nord dell’Inghilterra. Ma a un certo punto ho realizzato che non ero interessato a questi luoghi, la sola cosa che mi interessava erano le mie opere. Tuttora, mi sembra limitante che mi dicano come sarà lo spazio in cui un mio lavoro sarà esposto. Non voglio saperlo: le idee, le aspirazioni, i sogni, i parametri di chiunque altro sono limitazioni alle mie opere.
Così il mio lavoro divorziò in modo molto naturale dalla preoccupazione del contesto che avrebbe dovuto accoglierlo. Ho capito a un certo punto che dovevo passare a un altro livello: fare installazioni spesso si riduceva al fatto di sistemare oggetti, collocarli adattandosi al contesto…
La sua opera è caratterizzata da due movimenti contrari alle tendenze generali. Lei è passato dalla scultura all’installazione mentre tutti facevano il percorso inverso. E ha lasciato i materiali di recupero quando tutti li utilizzavano.
Il motivo è solo pratico, ovvero il senso di limitazione che percepivo, non sono state reazioni alla pratica degli altri. Parlando delle tendenze generali: l’artista più influente per tutto il XX secolo è stato ovviamente Duchamp. Il merito di Duchamp è di averci mostrato che un oggetto ha un’estensione fisica tridimensionale nello spazio. Realizzò che si può trasformare completamente un materiale non cambiandolo fisicamente, ma cambiando i termini a esso associati. Si può riconfigurare completamente il mondo materiale, cambiandone i termini.
Dopo Duchamp, tutti gli artisti si sono precipitati a portare oggetti non artistici nel campo dell’arte. Il problema è che la strategia di Duchamp non ha una validità infinita, funzionava in un mondo artistico ancorato all’idea di “fine art”. Già negli Anni Settanta e Ottanta cominciava a essere poco interessante portare un oggetto comune come opera d’arte in un museo, e in quel periodo gli artisti erano consapevoli di una forte crisi del processo duchampiano di nominazione. Io iniziai a lavorare proprio in quel periodo, e quindi abbandonai i materiali di recupero.
Cosa significa rappresentare la figura umana oggi? L’individuo è in crisi forse irreversibile: è una responsabilità raffigurarlo?
Non c’è oggetto più interessante della figura umana. Quello che è successo è che siamo diventati consapevoli di essere correlati a ogni organismo mai esistito su questo pianeta. Questo ci ha portato a un modo di pensare completamente diverso. La cosa straordinaria dell’essere umano – sono un materialista, come dico spesso – è che si colloca in cima a una gerarchia dei materiali. C’è l’acqua, la pietra, tutti i materiali basilari non organici. Poi quelli organici, gli organici viventi, poi gli organici viventi pensanti. Noi siamo in cima a questa gerarchia. Il più interessante materiale organico sono i neuroni umani, il materiale più sviluppato, quello capace di determinare più effetti.
Perché non dovremmo essere interessati alla figura umana? Da sempre è un soggetto fondamentale per l’arte, prendendo forme diverse. Ma sul piano fisico non siamo cambiati molto negli ultimi 100mila anni. Sul piano metafisico, invece, l’indagine sulla figura umana è totalmente incompleta, il lavoro resta da fare. È per questo che l’arte non può rinunciare alla figura umana, persino le opere di Donald Judd non hanno senso senza la figura umana…
Come si posiziona rispetto alla recente polemica tra Hockney e Hirst sulla realizzazione manuale delle opere d’arte?
Ho visto la mostra di Hockney alla Royal Academy, e tutti i suoi lavori recenti sono completamente fatti al computer. E devo dire che né Hockney né Hirst sono artisti rilevanti per la mia arte. Spesso mi chiedono se uso il computer per i miei lavori: lo uso come un utensile, ad esempio per gli ingrandimenti, ma non sviluppo mai una forma con il computer. In ogni caso, non ha senso fermarsi al passato, imporsi di usare solo lo scalpello. Perché non dovrei usare i migliori mezzi disponibili? Penso in fin dei conti che la polemica di Hockney si basi su un argomento irrilevante: è un falso problema.
Stefano Castelli
Lugano // fino al 12 agosto 2012
Tony Cragg
VILLA E PARCO CIANI
Viale Franscini 9
+41 (0)58 8667214
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www.mda.lugano.ch
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