Come sarà il 2020 dei Musei italiani? Intervista a Emanuele Guidi di ar/ge kunst
Si chiude a Bolzano l’inchiesta sui musei italiani, mentre ar/ge kunst ha appena inaugurato la prima personale italiana dell’artista di Singapore Ho Tzu Nyen
Ultimo appuntamento con l’inchiesta sui Musei Italiani. Oggi a essere sotto la lente è ar/ge kunst di Bolzano. Dopo le interviste che hanno riguardato la programmazione della GAMeC, del MAMbo, del Maxxi, di Palaexpo, di Punta Dogana e Palazzo Grassi, del Centro Pecci, del Museo Novecento di Firenze, delle OGR, del Madre di Napoli, il Museion di Bolzano, la Peggy Guggenheim Collection di Venezia ritorniamo in Trentino Alto Adige per parlare con il direttore Emanuele Guidi…
Come sarà la programmazione dell’anno 2020?
Come negli ultimi anni il programma di ar/ge kunst si svilupperà principalmente intorno a mostre personali di artisti emergenti e di metà carriera, articolando nuove commissioni e produzioni con progetti ripensati per i nostri spazi. Quattro mostre articolate da un programma pubblico e il One Year-Long Resarch Project, il nostro programma di residenza/fellowship. Porteremo avanti la politica di presentare artisti che lavorano su ricerche di lungo corso, favorendo l’approfondimento e offrendo l’occasione di aggiungere un ulteriore passo ai loro progetti, che tra l’altro non sono mai stati presentati in Italia. Da anni esploriamo la figura dell’artista come ricercatore e pensiamo l’istituzione artistica come luogo di produzione e messa in circolazione di conoscenza. In questo senso e sempre in una logica di continuità, anche i temi affrontati nelle diverse mostre offriranno prospettive nuove su temi indagati nel corso degli ultimi anni – dall’attualissimo dibattito che ripensa la centralità dell’uomo rispetto all’ambiente e altre forme di vita, alle implicazioni che un modello economico insostenibile portato avanti dai paesi del “nord” ha avuto sui “sud” del mondo. Quindi la traiettoria del 2020 sarà diretta a tracciare e rintracciare queste connessioni attraverso storie e regioni apparentemente distanti.
Entriamo maggiormente nei dettagli…
In questo senso la mostra “Hostile Environment”s (quarto episodio del programma di residenza) del ricercatore e architetto Lorenzo Pezzani (Trento/Londra) che si è chiusa il 9 febbraio, è un interessante modello proprio per la sua matrice di studio comparato tra varie aree del mondo per indagare il concetto di “ambiente ostile”. Il 31 gennaio abbiamo presentato il suo ultimo film prodotto in questa occasione, e lavorato sempre con lui a un simposio sugli stessi temi in collaborazione con la Facoltà di Design e Arte dell’Università di Bolzano e lo Z33 di Hasselt che co-produce la mostra dove viaggerà a Settembre 2020.
Il 21 Febbraio abbiamo aperto la prima mostra personale italiana dell’artista Ho Tzu Nyen (Singapore, 1976) la nostra prima esperienza di VR, realtà virtuale, per indagare l’idea di “risonanza” come proposta concettuale per pensare la complessità e l’identità di un territorio. Seguirà il progetto di Mohamed Bourouissa (Algeria/Francia, 1978) che apre una riflessione sulla funzione dell’istituzione (culturale, pedagogica, terapeutica…) attraverso la figura di Franz Fanon. Da Settembre ci sarà il progetto di Elena Mazzi (Italia, 1984) dal titolo Silver Rights, progetto con cui abbiamo vinto la settima edizione dell’Italian Council e infine chiuderemo a Novembre con la prima mostra personale dell’artista Jessika Khazrik (Libano, 1991) che guarda alla relazione tra Italia e Libano a partire dal traffico illecito di rifiuti tossici iniziato negli anni ’80. Katrin Hornek (Austria, 1983) sarà l’artista / ricercatrice invitata per la quinta edizione del One Year-Long Research Project, che nel 2020/2021 realizzeremo in collaborazione con l’organizzazione BAU (Simone Mair e Lisa Mazza) con cui abbiamo stabilito una nuova alleanza anche sul public programme di ar/ge kunst.
Ci sarà spazio per l’arte italiana? Se sì, in che modo?
Oltre a Lorenzo Pezzani con cui proseguirà il dialogo anche nel 2020 con il simposio, il film e la mostra itinerante, spazio per l’arte italiana sarà dato con il progetto Silver Rights di Elena Mazzi. Grazie all’Italian Council Elena avrà la possibilità di fare una residenza in Argentina e produrre un’opera in collaborazione con la comunità indigena Pillañ Mawiza dei Mapuche, indagando le forme di neo-colonialismo messo in atto da varie multinazionali, tra cui alcune italiane, nei loro territori. La mostra e l’opera saranno presentate in altre due personali a Buenos Aires all’Istituto Italiano di Cultura e alla Konsthall Södertälje in Svezia e molti altri eventi internazionali, oltre ad un libro con Archive Books.
Inoltre sempre grazie all’Italian Council torneremo a presentare il libro in uscita Never Again di Elisa Caldana e Diego Tonus, che presentarono la prima fase di questa ricerca proprio da noi nel 2017 nella personale Topography of Terror.
Infine con Islands Songs – Nicolas Perret (Francia) e Silvia Ploner (Italia) – presenteremo, con il festival Transart, il vino che è stato prodotto nel corso della loro personale a settembre 2018 attraverso una loro installazione e performance in collaborazione con Charlemagne Palestine.
Su quali risorse contate?
Il nostro sostegno principale è dato dalla Provincia Autonoma di Bolzano e da altri enti pubblici e privati tra cui la Fondazione Cassa di Risparmio e la Città di Bolzano, così come la Regione Autonoma su dei progetti specifici. C’è un ottimo rapporto con alcuni sponsor privati che nel passato ci hanno sostenuto per mostre ambiziose e per il 2020 siamo molto felici di iniziare una nuova collaborazione con l’azienda Dr. Schär che ha il suo quartier generale a Postal in Sud Tirolo.
Un bilancio dell’anno che si è da non molto concluso?
È stato un 2019 estremamente impegnativo vista la scelta di avere cinque mostre invece di quattro con la doppia personale di Sven Sachsalber e Parasite 2.0. È stato anche un anno di relazioni che si sono progressivamente rafforzate, in particolare con la Facoltà di Design e Arti della UniBz, i cui studenti sono stati attivamente coinvolti nel progetto espositivo di Parasite 2.0 con un workshop di 24 ore che ha trasformato la mostra stessa. La scelta di rischiare e rinforzare il public programme creando una posizione curatoriale ad hoc, è stata premiata in termini di partecipazione ai workshops e sperimentazione stessa dei formati di mediazione con i vari fruitori. E su questa direzione continueremo nei prossimi anni.
Ma uno dei risultati più inaspettati direi che è stato vedere le opere di Slavs and Tatars e Otobong Nkanga commissionate e prodotte da ar/ge kunst nel 2018 essere incluse nella Biennale di Venezia di Ralph Rugoff, con la menzione speciale alla scultura Veins Aligned che Otobong ha realizzato pensando attraverso i materiali e il territorio sudtirolese e in attiva collaborazione con i suoi artigiani e aziende.
Un decennio si è appena concluso. Quale è la sfida che secondo lei i Musei e le istituzioni culturali italiani devono affrontare nel prossimo decennio?
Difficile generalizzare vista la varietà di ambiti e strutture, ma credo che la sfida principale rimanga la ricerca di un equilibrio tra il rapporto di reciprocità che le istituzioni devono avere con i propri territori ed il mantenimento di un alto livello di precisione e complessità nei propri ambiti di ricerca. Non amo la retorica del locale ma credo sia centrale per ogni istituzione domandarsi costantemente come la propria offerta culturale risuoni con il contesto in cui sono state “istituite” e come questa aiuti a produrre gli strumenti per guardare a quel contesto in modo sempre rinnovato. Credo che questo continuerà ad essere una delle principali forme di legittimazione per un’istituzione culturale, anziché la misurazione attraverso il numero del pubblico visitante. Soprattutto per chi opera fuori dai grandi centri. Inoltre, credo che la possibilità di rispondere ad una prossimità sia il modo per realmente contribuire ad un dibattito che sembra oggi così disperso oltre ad essere una forma sostenibile per orientarsi in una contemporaneità melmosa che procede tra crisi di varia natura e un incessante progresso tecnologico.
Quali sono le esigenze del visitatore che il Museo deve cercare oggi di soddisfare?
Continuando sulla linea della risposta precedente e parlando dalla scala della nostra istituzione, che non è un museo, mi interessa di più soddisfare le esigenze degli artisti che quelle del visitatore, nella convinzione che il giusto supporto a chi produce arte, ricerca, significato, forma, necessariamente avrà un impatto nella “produzione del pubblico”. Detto questo, è centrale che si lavori nello sviluppo di formati di mediazione, pedagogici e di approfondimento che espandano le pratiche artistiche presentate modellandosi su di esse.
E quali invece le problematiche del sistema dell’arte che oggi impattano sui musei?
Mi sembra ci sia una condizione di precarietà generalizzata dovuta da una cronica mancanza di risorse e stabilità (politica) che impedisce, non tanto le normali attività, ma una pianificazione nel medio e lungo termine necessaria ad una qualsiasi visione e investimento. Inoltre, pensare che esistono in Italia musei importanti con uno staff curatoriale di 1 o 2 persone, dove spesso una delle due coincide con il direttore, credo sia il giusto metro per misurare la scala dello sforzo che si chiede ad istituzioni che operano nel contemporaneo.
–Santa Nastro
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