I Colori di Arlecchino
Esposizione del nucleo restaurato degli Arlecchini
di Giovanni Domenico Ferretti, di proprietà della Fondazione, assieme ad opere di altre raccolte italiane.
Comunicato stampa
E’ la maschera più famosa della Commedia dell’Arte la protagonista dell’esposizione ‘I colori di Arlecchino. La Commedia dell’Arte nelle opere di Giovanni Domenico Ferretti’, allestita dal 26 febbraio al 31 maggio presso lo Spazio Mostre della Fondazione CR Firenze (ingresso gratuito; aperta tutti i giorni – ad esclusione di 12 e 13 aprile, 1° maggio – orario: dalle 10 alle 18; Visite guidate per gruppi gratuite solo su prenotazione e fino ad esaurimento dei posti disponibili – INFO Tel. +39 055 5384 001, [email protected]).
L’inaugurazione (solo su invito) è martedì 25 febbraio alle ore 18.00 e alle 18.30 si terrà una performance teatrale degli attori Enrico Bonavera, erede del più grande Arlecchino di tutti i tempo Ferruccio Soleri e di Eleonora Marchiori. La rappresentazione, intitolata ‘Dalla tela alla scena’ e della durata di 15 minuti, sarà replicata intorno alle 19.30.
Il nucleo centrale della rassegna, a cura di Fabio Sottili, è rappresentato dalle 16 tele di Giovanni Domenico Ferretti, una delle figure chiave della pittura italiana del Settecento, raffiguranti i “Travestimenti di Arlecchino” e realizzate fra il 1746 ed il 1749. Furono richieste dal nobile senese Orazio Sansedoni, cavaliere di Malta e alto funzionario lorenese, che, per esporle, allestì uno specifico ‘Gabinetto degl’Arlicchini’ nella sua residenza fiorentina presso la Casa della Commenda di Ponte Vecchio. Le opere, ora appartenenti alla collezione d’arte della Fondazione CR Firenze, sono state sottoposte ad un complessivo intervento di restauro e pulitura che ha consentito una lettura assai più efficace di uno dei soggetti iconografici più amati del Settecento.
Prendendo spunto da spettacoli della Commedia dell’Arte, le tele mostrano scenette in cui Arlecchino è autore di burle o di fatti giocosi, eredi di quel filone della pittura ‘caricata’ che, fin dal Seicento, caratterizzava la cultura fiorentina. Per rendere più facilmente apprezzabili queste tele e comprenderne la portata innovatrice, sono affiancate nel percorso espositivo da documenti e repliche per complessive 39 opere che contribuiscono ad apprezzare la fortuna di tali soggetti, e l’amore dimostrato per le maschere soprattutto durante il Carnevale, poi ereditato da Giuseppe Zocchi e Thomas Patch. A corredo è stata pubblicata una guida all’esposizione edita da Polistampa (15 euro).
Anche questo momento si inserisce nel percorso di valorizzazione e di apertura al pubblico e alla città della parte più significativa della preziosa raccolta d’arte di proprietà della Fondazione CR Firenze, cominciata ormai quattro anni fa col programma ‘In Collezione’ e tuttora in corso con crescente interesse da parte del pubblico.
Giovanni Domenico Ferretti (1692-1768)
Figlio di padre orafo originario dell’Emilia e madre fiorentina (zia del noto erudito Anton Francesco Gori), Ferretti si formò a Imola presso Francesco Chiusuri, e a Firenze sotto Tommaso Redi e Sebastiano Galeotti, per poi concludere il suo apprendistato presso la stimolante scuola felsinea dal bolognese Felice Torelli. Tornato a Firenze “dotato di fantasia e spirito pittoresco”, nel 1717 entrò a far parte dell’Accademia del Disegno. Iniziò da quel momento una instancabile attività di affreschista per la nobiltà toscana che lo portò ad essere il pittore fiorentino maggiormente conteso del XVIII secolo. Infatti prese parte alle più importanti decorazioni toscane del tempo sia pubbliche, come vediamo a Firenze nella Badia Fiorentina, in Ognissanti e in San Salvatore al Vescovado, sia private, secondo quanto vediamo nei palazzi fiorentini dei Capponi, Ginori, Della Gherardesca, Panciatichi, Roffia, Rucellai, Pucci, ma soprattutto nell’imponente ciclo compiuto a Pistoia per gli Amati, e a Siena nella dimora dei Sansedoni. L’opportunità di vedere l’Autoritratto degli Uffizi in confronto diretto con quello di Casa Sansedoni permette di capire il percorso artistico del pittore, che vede innestare nella sua cultura fiorentino-emiliana le novità del Ricci e del Crespi, arrivando con “altra macchia, e maggior idea” a quegli anni quaranta del Settecento che rappresentano il suo momento di maturità, qui visibile nella felicità d’invenzione e nella sensibilità cromatica dei quadri con Nani e con Arlecchini, per la prima volta esposti insieme.