La trasformazione di collezioni private in fondazioni aperte al pubblico è un trend ormai diffuso nel collezionismo americano, e che gioverebbe anche esportato oltreoceano. Infatti questo tipo di mostre non solo permette la fruizione di opere che altrimenti rimarrebbero nelle residenze dei proprietari, o nei loro magazzini, ma dà anche modo di comprendere l’estetica e il percorso di una collezione. Dopo la super-instagrammata mostra di Basquiat, che l’anno scorso ha inaugurato il nuovo spazio della Brant Foundation nell’ex studio di Walter De Maria nell’East Village, la fondazione decide di mostrare gli artisti cardine della raccolta, iniziata quasi cinquant’anni fa. Con nomi che vanno da Carl Andre a Urs Fischer a Maurizio Cattelan a Andy Warhol, e con un focus su sculture e installazioni, la Brant Foundation si conferma un punto cardine nel panorama artistico newyorkese.
Per approfondire questa tematica, abbiamo intervistato Allison Brant, direttrice della fondazione.
Come e quando la tua famiglia ha iniziato a collezionare?
Peter Brant ha iniziato a collezionare quando aveva vent’anni, comprando lavori da artisti come Andy Warhol e Franz Kline, e anche i primi esempi di sculture di arte minimalista e post-minimalista. Questo approccio al collezionismo è immediatamente percepibile nella mostra Third Dimension, dato che molti di questi artisti, come Dan Flavin e Claes Oldenburg, sono presenti nella mostra. La collezione è ovviamente cresciuta e cambiata in questi cinquant’anni, e Third Dimension è una rappresentazione della sua ampiezza e qualità.
Quant’è importante avere una relazione personale con gli artisti quando si costruisce una collezione, secondo te?
Per noi lavorare con gli artisti è molto importante, soprattutto nel curare le mostre. Avere la possibilità di interagire con gli artisti è una delle parti che preferisco nel lavorare alle mostre della fondazione, e ci dà l’opportunità di approfondire la pratica degli artisti e di discutere i lavori direttamente con loro.
Artista e opera che preferisci in mostra.
Ci sono talmente tanti fantastici artisti e opere tra cui scegliere nella mostra! Personalmente, una delle cose che ho preferito è stato avere la possibilità di mostrare lavori che non erano mai stati esposti prima, come 8 Shoeing Smith, Australia di Carl Andre e Warm Broad Glow di Glenn Ligon, ma anche vedere contestualizzate alcune delle mie opere preferite, come Gibbet e SLA Group Shot #1 di Cady Noland.
Come vedi il futuro della collezione?
Continueremo a supportare gli artisti che collezioniamo, ma vogliamo anche continuare ad avere una connessione con le nuove generazioni.
Che consiglio daresti ai giovani collezionisti?
Di comprare quello che amano e da cui si sentono attratti. Dimenticarsi del resto.
Quando organizzate le mostre, qual è l’approccio curatoriale della fondazione?
La maggior parte delle nostre mostre si basano sulla collezione, che già di per sé include artisti sia storici che emergenti. Quand’è possibile, lavoriamo a stretto contatto con gli artisti nel selezionare i lavori e nel processo curatoriale, in questo modo si espande il dialogo tra gli artisti e la fondazione, e anche la connessione fra l’artista e il suo lavoro. Un altro elemento per noi fondamentale, soprattutto nelle retrospettive, sono le opere che arrivano in prestito da istituzioni e fondazioni internazionali, e ci danno la possibilità di avere un panorama più completo sulla pratica dei nostri artisti.
Museo preferito a New York e perché.
Sono grata di vivere a New York e avere la possibilità di esplorare tutto quello che ha da offrire. Per me il MET non ha uguali nella qualità e diversità della collezione, e nella sua ricca storia.
‒ Ludovica Capobianco
New York // fino al 3 settembre
Third Dimension: Works from the Brant Foundation
THE BRANT FOUNDATION
421 East 6th street
brantfoundation.org
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