Tre artisti espongono in un palazzo storico di Bologna. In filigrana
Palazzo Vizzani, Bologna – fino al 7 marzo 2020. Un edificio storico nel cuore di Bologna per una mostra tripartita e da prendere con lentezza. Si fonde l’errare in un ambiente carico di suggestioni, quello di Palazzo Vizzani, alla scoperta di un’opera via l’altra, ora una grande stampa fotografica di Stefano Arienti, spesso un’installazione a sorpresa di Maurizio Mercuri, ora un dipinto di Pierpaolo Campanini.
L’illuminazione soffusa gioca un ruolo fondamentale nel rendere la mostra fluida e coinvolgente, appassionante e senza retorica. La mostra è corpo abitante, fluido inquilino di un antico appartamento da cui prende e a cui cede energia, sulle cui sale si apre la porta di entrata che accoglie scenograficamente i visitatori ma anche gli usci degli atelier degli artisti in residenza. L’esperienza è immersiva: suggestioni artistiche da tre autori diversi tra loro, uno spazio genuinamente antico ed elegante che le integra e le lega, e la possibilità di fare incontri, di conversare, di conoscere nuove idee, nuovi artisti, nuovi progetti.
Anfitrione di Palazzo Vizzani è Alchemilla, associazione in cui è impegnato lo stesso curatore della mostra Fulvio Chimento, che apre un meraviglioso e centrale palazzo signorile del Cinquecento a contenuti di ricerca e creatività; lo slogan è “nuove contaminazioni nel contemporaneo”: la vocazione a innescare relazioni è nella natura del progetto.
LA MOSTRA A BOLOGNA E GLI ARTISTI
Il titolo della mostra è una metafora: come la filigrana è un manufatto prezioso che comunica attraverso una fruizione non superficiale, così il percorso, armoniosamente orchestrato, si svela alla ricerca dei segni. Il segno di Stefano Arienti, nella più recente produzione volta alla percezione visiva pura, fa emergere i colori contrastanti di dettagli di realtà nelle stampe fotografiche, e li lega talora ricamandoli a macchina sul supporto. Il segno di Pierpaolo Campanini è una pittura nobile che si specchia e su cui si specchia cromaticamente l’ambiente, e si integra nello spazio in maniera così naturale da incorporare la preesistenza di un’opera in situ di Luca Bertolo. Il terzo segno, di taglio decisamente concettuale, appartiene a Maurizio Mercuri, che ironizza e sorprende da ogni angolo della dimora: invitato a prendere confidenza con lo spazio, l’artista ha scelto di disseminare le proprie tracce non solo su piani e pareti, ma su maniglie, sotto un termosifone, rivelando addirittura la portata estetica della polvere domestica. Mercuri emerge a Bologna negli Anni Novanta, nel vivaio creativo della galleria Neon, e grazie a questa mostra ritorna nel cuore della stessa città restituendo un po’ di quel mood arguto e vivace tipico di quel periodo.
‒ Valeria Carnevali
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