Lettere dal fronte domestico in epoca Coronavirus. Parla Antonio Mancinelli

Clara Tosi Pamphili invita gli intellettuali “in isolamento” a scrivere una lettera, un messaggio in bottiglia, degli appunti in questi giorni difficili dovuti all’emergenza Cornavirus. Si parte con Antonio Mancinelli, Caporedattore di Marie Claire, che indirizza il proprio messaggio ai giovani.

In questi giorni difficili, nei quali tutta l’Italia è bloccata, i musei sono chiusi, i luoghi di ritrovo scomparsi, a causa dell’emergenza Coronavirus, l’isolamento fisico necessario a proteggerci è indispensabile ma non deve limitare le nostre relazioni emotive, ancora più importanti per sostenerci l’un l’altro. Per dare un segno della nostra volontà di stare insieme abbiamo chiesto a tanti intellettuali di scrivere una lettera che inizi semplicemente con “Cari”, perché è rivolta a tanti, una lettera breve che dica cosa si sta facendo, che libro si sta leggendo o rileggendo, che racconti le difficoltà, le scoperte e le riscoperte. Abbiamo chiesto loro una visione e una idea per una vita futura. Il primo a risponderci generosamente è Antonio Mancinelli, Caporedattore di Marie Claire, che indirizza il suo messaggio ai giovani. Ma aspettiamo tante altre lettere dal fronte domestico (Clara Tosi Pamphili).

Carissimi della Generazione Z,

chi ti scrive è proprio antico, uno di quelli che oggi liquidate con un “ok, boomer”. Mi rivolgo proprio a te, ragazzo nato tra il ’95 e il 2010 che magari, per caso, sei capitato a leggere queste righe mentre trascorri una forzata prigionia, magari anche con i tuoi che ti vengono a curiosare in camera.  Sei cresciuto a latte e tablet, nuoti nella Rete come un pesce che non si fa pescare, ma fuori dal mondo liquido di social e selfie non vedi un orizzonte sereno già da un po’ di tempo. E adesso questa epidemia. Una cosa che avevi visto solo nelle serie distopiche di Netflix e Amazon che ti piacevano proprio perché in fondo, sono solo invenzioni di uno sceneggiatore visionario.

Dopo quei primi giorni, ti sarai sentito particolarmente a disagio con i racconti di mamma e papà sui favolosi anni Ottanta (credimi: era una fake news a tre dimensioni, non sono stati favolosi per niente) e ora pure ‘sta mazzata. Un’esperienza che però – e sarai d’accordo con me – riunisce tutti nella bolla degli stessi sentimenti: prima l’incredulità, poi lo spavento, ora questa noia trafitta dall’angoscia di non sapere quando e come potrai riprendere la vita di prima, quella che tu chiamavi, che noi chiamavamo, “normalità”.

IL PIANETA SCONOSCIUTO

Facciamo un gioco: come quando eri piccolo. Facciamo finta che tu sia sbarcato su un pianeta sconosciuto, che ti ricorda qualcosa di familiare, ma non conosci. Facciamo un missile ti ha dimenticato su un luogo ignoto, dove passerai chissà quanto, dove sarai costretto a cambiare abitudini: un luogo che un po’ ti piace, un po’ ti spaventa, un po’ ti annoia. Facciamo finta che questo strano posto si chiami “casa” e probabilmente sarà popolato da altri alieni catapultati lì come te, facce-corpi-gesti-parole che ti sembrano già visti, ma con cui non hai veramente comunicato.
Eh no, mi dispiace: non ci sono tutorial o YouTuber o influencer a poterti dire come e cosa fare devi cavartela da solo. Facciamo che tra questi alieni c’è uno che chiami “mamma” e uno “papà” e magari altri, accessori, che battezzerai “fratello”, “sorella”, e magari anche “cane” e “gatto”, se ci sono. Facciamo che di questa fottuta epidemia siete gli unici sopravvissuti, come in un episodio di Black Mirror, e tu debba stabilire per forza un contatto con loro.
Anche perché, nei loro sguardi così densi di empatia, scorgerai lo stesso nuvoloso panico che ora provi tu. E allora via, buttati, facci amicizia, vai a fondo nelle loro vite e lascia che anche loro facciano lo stesso con te. Chiedi del loro passato, fatti raccontare quello che sentono, che provano, che hanno fatto prima che tu planassi su quel pianeta semi-ignoto. Loro ci vivono prima di te.

UNA PAURA TRANSGENERAZIONALE

Sai, fuor di metafora, è la prima volta che generazioni diverse si trovano ad affrontare la stessa, identica paura. I nostri genitori, ovvero i tuoi nonni, hanno vissuto il terrore della guerra, lo stento delle privazioni: ma mamma e papà non ne hanno avuto di così forti, sono uguali a te. Certo, c’è stata la terribile epidemia dell’AIDS, ma era una malattia che si era sicuri di non beccare se seguivi regole precise, chiare, definite. Non era mai successo prima, negli ultimi cinquant’anni: genitori e figli asserragliati dal medesimo smarrimento. E allora, perché non colonizzate insieme il pianeta “casa” disseminandolo con le vostre storie? Magari le potresti anche scrivere, o anche no, ma l’importante è che tu ascolti e venga ascoltato. Vedrai, altro che Netflix, altro che storie sentite e risentite: riceverai racconti che non immaginavi e tu ne donerai altri che loro non si aspettavano. Coabiterete insieme con umori e amori alterni, ma sempre coscienti che l’epidemia regali uno spazio di scambio.
Tu chiederai loro come facevano a limonare prima delle app, loro ti romperanno l’anima perché da anni provano a caricare un video su Instagram e non ci riescono. Fatevi a vicenda tanti regali immateriali, e quindi ancora più potenti. Loro ti insegneranno, magari, ad avere più coraggio nelle decisioni che dovrai prendere, tu potrai restituirgli quel desiderio di lotta allo spreco alimentare, alla cura di sé, degli altri e della natura, alla giustizia, alla sostenibilità che fanno parte della cultura della tua generazione e non della nostra, un po’ sventata e sprecona. Facciamo in modo che questo tempo insieme non sia solo sprecato dietro il talk show scemo che rilassa mamma o il videogioco di guerra che rilassa te.

ESSERE INSEGNANTI RECIPROCI

Mettetevi insieme, fatevi domande, guardate insieme una serie o un film che piaccia a tutti e, se non piace a qualcuno, ditevi il perché. Parlatevi, magari leggendo un libro o scoprendo i mille segreti di una nuova app. Siate i migliori insegnanti reciproci.
Io credo nello scambio, anche se vivo solo, e mi nutro dei consigli musicali, cinematografici, artistici e politici di quelli che hanno la tua età, a cui – se richiesto – racconto un po’ di cose, del mio passato, di quello che so, delle mie passioni. O del mio amore per i romanzi. In questo momento ne sto leggendo tre: L’attrito del tempo di Martin Amis, Persone normali di Sally Rooney, ma quello che mi fa davvero impazzire è Il detective selvaggio di Jonathan Lethem. Però oggi mi sono guardato la fine di Fleabag , mi sono un po’ commosso, e poi ho lavorato ascoltando Mahmood e Bach, alternati. E ieri notte ho fatto le tre perché ho vagabondato tra i templi di Bagan, in Birmania, dove sono stato tre anni fa su https://artsexperiments.withgoogle.com/bagan. Mi è sembrato di tornarci di nuovo. Sai, credo davvero che tra noi due si possa conversare e, se non siamo d’accordo, scoprire perché non riusciamo a non andare d’accordo. Pian piano vedrai quel pianeta diventare finalmente “vostro” e non un deposito dei tuoi vestiti sporchi.
Che poi, in quanto a ordine, io non posso proprio dare giudizi. Insomma… Trasforma questa tragedia collettiva in una sinfonia pandemica di stimoli per te e per chi ti sta intorno, e chi se ne importa se anche oggi la lavatrice non si fa (ma domani aiuti a farla, a stirare e a mettere a posto). Insomma, fai sì che la cultura sia l’antidoto contro il morbo, perché solo lei mette le persone in connessione. Certo: poi stai attento che funzioni sempre la connessione del Wi-Fi.

Antonio Mancinelli

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Antonio Mancinelli

Antonio Mancinelli

Caporedattore di Marie Claire, è giornalista professionista dal ’91. Ha iniziato con il Corriere della Sera. Ha collaborato con molte riviste e quotidiani, da Vogue a Panorama, da Diario a Elle, solo per citarne alcuni. Ha scritto e condotto trasmissioni…

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