Artista, curatore e collezionista. Intervista al grande Nedko Solakov
L'artista bulgaro ha curato una splendida mostra alla Galleria Continua di San Gimignano. Lo abbiamo intervistato, con l'augurio che presto il Coronavirus sia soltanto un brutto ricordo e che si possa visitare l'esposizione nella cittadina toscana.
La Galleria Continua, nella sede storica di San Gimignano, fa da cornice alla mostra creata da Nedko Solakov (Cherven Briag, 1957). Il bulgaro ha riunito una serie di artisti contemporanei, molti dei quali presenti nella collezione dello stesso Solakov. Ne abbiamo parlato con lui, in attesa che l’emergenza sia conclusa e che la si possa visitare.
La sensazione è che la mostra sia frutto di un’urgenza. Varcando la soglia sembra di entrare in un miraggio, in cui si susseguono una serie di visioni, dove le proporzioni degli oggetti sono alterate, dove gli appunti mentali, i pensieri attorno alle opere, diventano visibili.
Sì, hai descritto piuttosto bene le mie intenzioni. Come in tutte le mie installazioni narrative, ci sono più livelli di percezione possibile per lo spettatore (se non c’è la quarantena per il Coronavirus!). Si può leggere il testo principale, comprenderne il significato e iniziare a scoprire questa o quella particolare storia.
Come ha scelto gli artisti?
Abbiamo lavorato a stretto contatto con la galleria per selezionarli, e tutto ciò è abbastanza gratificante. Gli spazi della galleria (il vecchio cinema di San Gimignano) sono perfetti per raccontare storie visive variegate e molto diverse tra loro. La base è una mia installazione del 2008 intitolata Some Nice Things to Enjoy While You Are Not Making a Living. Ho provato ad aggiungere un’altra cosa bella – la nostra, mia e di mia moglie, passione nel collezionare lavori di altri artisti, raccolti principalmente scambiando opere con amici artisti o con alcune delle mie gallerie. Nel testo principale della mostra scrivo in merito al mio attuale desiderio di possedere un altro, possibilmente più grande, lavoro di questo o quell’artista, tra i diciannove che prendono parte alla collettiva. Di tre di loro ancora non possediamo nulla.
Alcuni collezionisti intendono le opere come investimenti, altri hanno compulsione all’acquisto, alcuni ancora intendono le opere come compagni della loro quotidianità. Ogni collezionista ha la sua storia sul perché si attornia d’arte. Cosa rappresentano per te e tua moglie le opere di cui vi circondate?
Sono una parte essenziale della nostra vita. Non posso immaginare di vivere senza dare uno sguardo di tanto in tanto ai lavori (tra i quali la maggior parte sono disegni) di Jimmie Durham, Thomas Hirschhorn, Roman Ondak, i Kabakov, Karin Sander, Ceal Floyer, Emily Jacir, Yoshitomo Nara o Raymond Pettibon, che mi attorniano mentre sto seduto sul divano. O di andare a letto e non vedere sul muro davanti a me un’ottima selezione di “classici” artisti bulgari, nel mezzo dei quali c’è un meraviglioso testo disegnato con matite colorate da Jimmie Durham che dice “Nedko Solatiev is my favorite artist!”.
Il fatto che questa esperienza espositiva sia la tappa di un percorso, come se questa mostra fosse un diario oggettuale che aggiunge pezzi man mano, mi fa supporre che le opere che collezionate diventino dei raccoglitori, delle concentrazioni di momenti.
È una definizione incantevole, benché io non creda di collezionare in questo modo. Ogni lavoro nella nostra collezione possiede una storia, e le storie più ricche sono connesse con e intrecciate a storie personali: come abbiamo deciso con un amico artista di scambiarci il lavoro e quanto è stato/è appassionante lo scambio. È un momento fantastico quando apri il pacco e vedi per la prima volta il disegno che hai scambiato con Daniel Buren o Emilia e Ilya Kabakov o Erwin Wurm o i Gelitin, solo per menzionarne alcuni.
L’artista qui diventa una sorta di direttore d’orchestra che accomuna, secondo un suo disegno, diversi elementi per farli risuonare insieme. La differenza rispetto a un puro intervento curatoriale sono queste visualizzazioni del tuo pensiero, annotazioni, appendici visive tipiche della tua poetica, spunti testuali che si arrampicano tra un’opera e l’altra fungendo da fil rouge.
Questa è la ragione per cui, descrivendo la mostra, ometto “a cura di” e prediligo il più incisivo “creato da Nedko Solakov”. Sì, mi sento in parte come un produttore/direttore d’orchestra impegnato a dare la stessa voce a questi 19 + 1 (io stesso) artisti, facendo tutto ciò nel rispetto del lavoro e con amore verso tutti loro.
‒ Claudia Santeroni
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