Su che cosa stanno lavorando da casa i grandi artisti? La parola a Salvatore Iaconesi
Continua con Salvatore Iaconesi un racconto in trincea dalle case dei grandi artisti. Su cosa stanno lavorando? Come stanno trascorrendo questo momento? Come questo clima interviene sulla loro ricerca?”. Le risposte in questi video
Come Artribune stiamo lavorando il più possibile in questi giorni per fare un’informazione civica e di servizio nei confronti dei nostri lettori e in sostegno al nostro settore, come altri molto colpito. Oltre a informare le persone e ad incoraggiarle a rispettare le prescrizioni sanitarie, stiamo cercando anche di offrire loro contenuti utili ed interessanti per passare nella maniera migliore il tempo in casa, distraendosi ma anche riflettendo. Come sempre gli artisti sono coloro che ci indicano la strada e che precorrono i tempi. Per questo stiamo ponendo proprio a loro una domanda semplice semplice: “su cosa stanno lavorando? Come stanno trascorrendo questo momento? Come questo clima interviene sulla loro ricerca?”. Abbiamo chiesto loro inoltre di risponderci tramite dei piccoli video. Il primo di loro a raccogliere questo invito è stato Alfredo Pirri . Oggi a risponderci con un video e con un testo è Salvatore Iaconesi che in questi giorni a contatto con il tema della pandemia torna fisiologicamente sul progetto La Cura nato nel 2012 (qui Valentina Tanni vi spiega tutto), in seguito ad un tragico evento: nel settembre di 8 anni fa Salvatore scopre infatti di avere un tumore al cervello. La sua battaglia per la guarigione diventa un progetto artistico che si fonda sul concetto di open data, al servizio di tutti, una Cura, appunto, open source. Come non riflettere su questi argomenti oggi? (Santa Nastro)
IL RACCONTO DI SALVATORE IACONESI
In un paradossale scherzo delle sincronie, mi è tornato il cancro.
Quella che nel 2012 era stata forse la più grande delle sfide della mia vita, La Cura, con cui ho preso la mia malattia e ho cercato di riposizionarla nella società usando l’arte, ha scelto di tornare insieme al COV19 – che, su questi stessi temi, rimescola nuovamente le carte in tavola, avviando scosse telluriche globali di cui sentiremo gli echi per anni.
Nel 2012 abbiamo più volte descritto La Cura come una “basagliata”: la cura può esistere solo in mezzo alla società, e per andare in questa direzione tutto va ripensato, rimediato, rimescolato, compresi i ruoli, le responsabilità e le interconnessioni tra scienza, tecnologia e società.
Io, per fortuna, sto di nuovo bene: mi sono operato il 4 marzo, e mi avvio a sopravvivere felice per un altro po’ di tempo.
Come nel 2012 ho di nuovo necessità di usare l’arte per conoscere e comprendere il mio mondo, esplorando il senso di questa sincronia e le sue implicazioni per la nostra società.
Il COV19 riposiziona con forza i temi della Cura nel nostro mondo: emerge la dimensione della tragedia che si verifica quando l’essere umano incontra l’ecosistema.
LA CURA INCONTRA LA PANDEMIA GLOBALE DEL CORONA VIRUS
La Tragedia, in quanto tale, non ha soluzione, è irriducibile: l’individuo e l’ecosistema non necessariamente si ricompongono, e addirittura possono essere in guerra aperta tra loro. Ne stiamo avendo precisa e completa percezione in questi giorni: come individui dobbiamo incontrare le esigenze dei sistemi, della collettività, della complessità, che spesso arrivano sotto forma di richieste inumane, incomprensibili, lontane dai desideri, le aspettative, gli immaginari e gli stili di vita degli individui.
Ma è proprio in questa tragedia che forse si nasconde la nostra opportunità. Perché ogni evidenza – dal cambiamento climatico alle misure di isolamento anti COV19 – descrive come questa tragedia costituisca anche la porta d’accesso alla complessità del nostro tempo: la coesistenza tra individuo (e le sue necessità intime, psicologiche, relazionali, emozionali, rituali…) ed ecosistema (e le sue necessità di logiche diffuse, ubique, sociali, energetiche, globali, iperconnesse, complesse, di accesso, di sistema).
TRASFORMARE L’INTRASFORMABILE
Come possiamo trasformare l’intrasformabile? Far diventare una tragedia una opportunità?
In questo scenario l’arte può essere lo strumento per la nostra evoluzione sociale e, quindi, per arrivare alla creazione di nuovi modelli: quei nuovi riti, abitudini, pratiche di cui abbiamo e avremo bisogno.
Voglio spiegare brevemente questo concetto proprio tramite due opere d’arte, che partono dalla considerazione che oggi la nostra maggior opportunità di avere esperienza dei fenomeni complessi del nostro mondo globalizzato risiede nella disponibilità di enormi quantità di dati – e nella computazione necessaria a raccoglierli, elaborarli, interpretarli e rappresentarli.
Queste due opere prendono questo concetto e lo spostano: da tecnico/tecnologico diventa materia esistenziale. Le due opere si chiamano Constrained Cities e Baotaz.
DUE PROGETTI
La prima, Constrained Cities, parla di separazione.
Usando in maniera critica dati e intelligenza artificiale, Constrained Cities è una opera d’arte indossabile. I dati di profilazione di chi indossa vengono usati da una IA per determinare quali luoghi della città sono dedicati a loro. Il mio reddito, i miei interessi, le mie relazioni, il mio profilo psicologico e tutte le altre forme in cui la mia vita può essere rappresentata con i dati, come possono essere messi insieme per determinare una mia nuova dimensione esistenziale, fino ad arrivare all’estremo: se, secondo l’IA, arrivo ad un punto della città che l’algoritmo non pensa sia adatto a me, il dispositivo indossabile mi dà la scossa, mi fa soffrire, mi comunica con forza che questo posto non è per me. Facendolo, trasforma la tecnica in senso esistenziale: tentando di rompere l’algoritmo, addirittura, soffro, mi becco le scosse. Constrained Cities dà vita a peculiari mostre passeggianti: indossati i dispositivi, i partecipanti passeggiano per la città e facendolo sentono l’algoritmo sulla loro pelle, sotto forma di scosse: perché io qui posso andare e tu no? In cosa siamo uguali o diversi? Come interpreta e comprende il mondo l’IA, e con quali conseguenze?
Con lo spostamento dalla tecnica all’esistenza in Constrained Cities ottengo un primo risultato: il sensibile, per iniziare a poter immergermi nella complessità del fenomeno complesso dell’abitare nella città. Diventa possibile esistere su un altro piano e, da lì, esplorare sé stessi e gli altri.
CRITICA E OPPORTUNITÀ
Se Constrained Cities parte dalla critica, Baotaz parte dall’opportunità.
Creato durante la Summer School della Cura, Baotaz è un “senso aumentato” il cui scopo è creare una nuova opportunità di abitare il mondo: indossare dati e computazione per poter avere una esperienza fisica di interconnessione planetaria, per esempio con le sensazioni di centinaia di migliaia di persone, o con fenomeni complessi tipo il cambiamento climatico. Come può il corpo diventare una piattaforma per la pubblicazione e la sensibilità di queste informazioni? E con quali implicazioni per la nostra possibilità di vivere ed esistere in un mondo per cui avere esperienza attiva di questi fenomeni complessi è così collegata alla nostra possibilità di sopravvivenza?
È ormai chiaro come dati e computazione sono la nostra maggiore opportunità di avere esperienza dell’ecosistema, e che questa è una dimensione troppo fondamentale per lasciarla come dominio della tecnica: è necessario che diventi una questione esistenziale, che ci aiuti a traghettarci verso il nuovo abitare di cui abbiamo bisogno per vivere insieme nel nostro pianeta. In questo processo l’arte avrà un ruolo strategico, nella collaborazione tra scienze, tecnologia e società: sarà il principale veicolo per la nostra evoluzione culturale, fino a raggiungere la possibilità di una Cultura Ecosistemica.
– Salvatore Iaconesi
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