Lettere dal fronte domestico: la quarantena da Madrid di Federica Lonati
Amici e colleghi condividono con la redazione di Artribune piccoli racconti ed esperienze dalla quarantena. Uno spazio di condivisione di idee, pensieri, speranze.
In questi giorni difficili, nei quali tutta l’Italia è bloccata, i musei sono chiusi, i luoghi di ritrovo scomparsi, a causa dell’emergenza Coronavirus, l’isolamento fisico necessario a proteggerci è indispensabile ma non deve limitare le nostre relazioni emotive, ancora più importanti per sostenerci l’un l’altro. Per dare un segno della nostra volontà di stare insieme abbiamo chiesto a tanti intellettuali di scrivere una lettera che inizi semplicemente con “Cari”, perché è rivolta a tanti, una lettera breve che dica cosa si sta facendo, che libro si sta leggendo o rileggendo, che racconti le difficoltà, le scoperte e le riscoperte. Abbiamo chiesto loro una visione e una idea per una vita futura. Dopo la prima lettera scritta da Antonio Mancinelli, Caporedattore di Marie Claire, sono seguiti i dispacci della giornalista e critica d’arte Alessandra Mammì, della curatrice Domitilla Dardi e dell’architetto Antonio Forcellino. Oggi a raccontarci la “quarantena” da Madrid e la corrispondente dalla Spagna di Artribune Federica Lonati. Ma aspettiamo tante altre lettere dal fronte domestico (Clara Tosi Pamphili).
MADRID, L’OMBRA DI UNA CAPITALE IN SILENZIO
Coronavirus, seconda settimana di chiusura totale in Spagna. Madrid con le strade deserte, i bar e i ristoranti chiusi, è davvero lo spettro di se stessa. Gli spagnoli, si sa, amano vivere all’aria aperta, complici il sole, l’aria frizzante e le temperature miti. Non c’è stagione dell’anno, non c’è giornata, anche in pieno inverno, anche la più grigia (e sono davvero rare), in cui la gente rinunci a una passeggiata in centro, a fare colazione a mezza mattina al bar o a prendersi una cañita al termine della giornata lavorativa, soli o in compagnia. La Gran Via, poi, non dorme mai: è trafficata h24, come Times Square o Chicago Loop, che non a caso ispirò gli spettacolari grattacieli della celebre strada madrilena, sorta a partire dal 1910. Da sabato 14 marzo il silenzio è sceso sulla capitale di Spagna, rotto solo dalle sirene delle ambulanze e dal battito delle mani che ogni sera, alle venti precise, la gente dedica da finestre e balconi ai professionisti della sanità, che combattono per tutti noi.
RISVEGLIARSI CHE DIFFICILE
È la mattina, per me, il momento più difficile della giornata. Vivo in un appartamento al primo piano che si affaccia su di una strada secondaria, piena di negozi e animata dal via vai quotidiano della gente del quartiere. Il risveglio nel silenzio mi ricorda subito l’emergenza che stiamo vivendo. Pochi anche i camioncini dei fornitori del mercato municipale coperto sotto casa. Per fortuna, come tutti i 45 mercati della rete municipale, è aperto tutti i giorni fino alle 15, è fornito per ora di ogni genere alimentare di qualità e non è mai affollato. Nei tanti quartieri residenziali del centro di Madrid, come Chamberi dove vivo, il coprifuoco è quasi totale anche di giorno, soprattutto a partire da metà pomeriggio. Molti i madrileni che hanno preferito lasciare la città (come i milanesi), alla volta del pueblo natale (magari solo a un centinaio di chilometri dalla capitale), delle fincas signorili, tenute di campagna, o verso le seconde case al mare. Tutto il mondo, ahimè, è paese. Chi è rimasto in città, resta rintanato e preoccupato come noi nelle proprie case, sperando in tempi migliori. Con l’aiuto di internet, di un buon libro, della tv on demand, o semplicemente accudendo alle tante incombenze domestiche. Per i miei figli – due adolescenti di 13 e 15 anni, abituati come la maggior parte dei loro coetanei ai ritmi frenetici di giornate tra scuola, studio e allenamenti di pallacanestro, muovendosi ormai soli in metro per la città – lo choc è stato notevole, ma hanno reagito bene. La scuola superiore spagnola, per fortuna, ha da subito attivato una modalità di studio guidato online, attraverso le diverse piattaforme offerte dalla Comunità di Madrid e già attive da qualche anno come complemento didattico. La mattina, perciò, tutti sui libri e davanti al proprio computer, ad eseguire quanto dettato dai professori.
LA PERCEZIONE DELLO STATO DI ALLARME
L’evento è senz’altro apocalittico. Lo è stato fin dall’inizio in Cina; e poi in Lombardia e nell’Italia intera. Ma finché non ti ci trovi immerso in prima persona, non realizzi ciò che sta accadendo da ormai un mese nel tuo Paese, ai tuoi stessi amici e familiari, con i quali è un continuo scambio di messaggi affettuosi. E’ una strana sensazione. Sei distratto dalla vita quotidiana. Leggi e ascolti le notizie, ma non percepisci l’allarme vero e proprio. La paura e il senso di impossibilità di difendersi sono arrivati all’improvviso, alla dichiarazione dello stato d’allarme del governo spagnolo, il 14 marzo scorso. E, se ci penso, sono quasi paralizzanti. Ad aumentare il disagio, devo ammetterlo anche su di me, contribuiscono l’allarmismo di certa stampa e le notizie confuse che si diffondono senza controllo sulle reti sociali, creando spesso una forma di terrorismo psicologico. Il tema, credo, meriterebbe un’accurata analisi critica post-epidemia, sul valore stesso del diritto all’informazione.
UN DIARIO DI BORDO PER NON DIMENTICARE
L’unica arma che abbiamo per non soccombere è reagire emotivamente: mettere in moto la psiche, per difenderci dal dolore, dall’orrore e dalla paralisi mentale che provocano attraverso la nostra stessa capacità di fare, di studiare, di continuare a lavorare, a vivere seguendo i ritmi quotidiani. E siccome io, per vocazione prima ancora che per mestiere, racconto storie, ho pensato che la cosa migliore da fare – per me, per i miei figli e per chi verrà domani – fosse scrivere giorno per giorno un diario di quest’emergenza sanitaria, che ci ha costretto anche, intere generazioni del secondo ventennio del Ventunesimo secolo a cambiare radicalmente i propri usi e costumi. Ci sarà qualcuno, magari un domani, a cui potrà interessare capire come esseri umani abituati a vivere in assoluta libertà – senza limiti né confini di luogo e di tempo, se non qualche convenzione sociale, principio etico, religioso o regola familiare sempre meno restrittivi – abbiano potuto o saputo sopravvivere a lungo in questa sorta di cattività volontaria, anche se comoda e domestica. Ho scelto così di scrivere il mio diario di bordo, annotando giorno per giorno (di solito la sera, prima di addormentarmi) qualche nota riguardante l’attività della mia, della nostra giornata; aggiungendo poi pensieri sparsi e qualche dato saliente circa la situazione nazionale o internazionale. Perlomeno servirà a me stessa, a non dimenticare gli stati d’animo e le reazioni di chi ha vissuto un momento tragico, unico nella nostra storia recente.
-Federica Lonati
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