La cultura nel Dopoepidemia: ricadute emozionali su accessibilità e fruizione culturale
Passato il COVID-19, alla riapertura molte cose saranno cambiate, in noi e attorno a noi. La domanda di cultura, ad esempio, non sarà (almeno immediatamente) come era pre Coronavirus, influenzata dal ricordo di una crisi senza precedenti che ha segnato il nostro quotidiano modo di vivere. Ne abbiamo parlato con Fabio Fassone, docente di Equilibrio Emotivo e Pratiche contemplativa del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Pisa.
Il COVID-19 ha colpito e sta colpendo duramente. La serrata ci sta mettendo a dura prova. Tuttavia, superata la primissima fase emergenziale, è il momento di prepararsi al dopo Coronavirus. Verosimilmente in molti ipotizzano un ritorno alla piena “normalità” entro sei/otto mesi. Ma se il “quando” è una domanda importante, il “come” è un quesito fondamentale: come torneremo alla normalità?
Come sarà tornare all’aperto, o in luoghi a stretto contatto, dopo mesi di fuga e isolamento?
L’esperienza reale quanto nuova che stiamo vivendo rappresenta, dal punto di vista emozionale e per almeno tre generazioni indietro, una “prima volta”. La specie umana entra violentemente in contatto con un pericolo “ancestrale” quanto precisamente inscritto nel nostro DNA: il pericolo concreto di essere contagiati da un agente patogeno che causa malattia e morte. A questo aspetto si somma la proiezione mentale che realizza lo scenario della “mancanza di sostegno”, legata alla potenziale possibilità di perdere persone care (sostegno affettivo) e il lavoro (sostegno economico). Questi aspetti, sommati, rappresentano gli inneschi universali dell’emozione propria della paura, emozione dilagante e che stiamo vivendo nella sua sequenza tipica: apprensione – paura ‒ terrore. Il nostro sistema emotivo si basa su un “database” degli allarmi emozionali che registrerà tutto questo, creando una mappa nuova per la futura sopravvivenza. Siamo stati colti di sorpresa, questo è un ulteriore catalizzatore dell’esperienza emotiva in corso.
E in tutto questo, per quel che riguarda l’accesso alle entità culturali (oggi stravolto), i pubblici si approcceranno allo stesso modo a musei e teatri o al cinema? Lo faranno seguendo i “vecchi” schemi o le persone ne “normalizzeranno” di nuovi?
La fruizione dei luoghi pubblici, in generale, e la modalità di comportamento verso quelle attività culturali che prevedono la presenza di persone a stretto contatto e in un unico posto sarà totalmente diversa da prima, stravolta. Facciamo un esempio concreto: il colpo di tosse o lo starnuto durante una performance musicale o più semplicemente al supermercato. Nell’era emozionale “prima del Coronavirus” i nostri sistemi di “allerta – pericolo/fuga” al limite si attivavano a causa di una percezione di violazione di norma sociale; la soglia di allarme era comunque molto bassa. Oggi la nostra mente ha riassegnato i valori di significato e sensibilità a un semplice starnuto, il quale assume carattere di innesco per una emozione sostanzialmente diversa: la paura di essere contagiato. Ci vorrà molto tempo, unitamente a un lavoro di consapevolezza, per sviluppare un’intelligenza emozionale che possa gestire questo nuovo panorama emotivo. In poche parole, nell’immediato futuro è ipotizzabile che si aggiungerà un nuovo elemento, di carattere viscerale tra l’altro, al processo cognitivo di valutazione se frequentare o meno un luogo pubblico.
Quindi non parliamo necessariamente di un aumento o di una diminuzione nella fruizione culturale, o nella partecipazione, o ancora nel coinvolgimento. Più verosimilmente la domanda culturale subirà una “ridistribuzione”?
La domanda di cultura, da sempre, è soggetta a due parametri: da una parte l’indurre nuove esigenze culturali da parte delle istituzioni pubbliche e private che hanno questa responsabilità; dall’altra come la fruizione di cultura (e il relativo impegno di tempo/denaro) da parte del singolo individuo risponda alla propria lista di bisogni e alle priorità assegnate a quest’ultimi. In un primo tempo prevedo una diminuzione concreta della frequentazione di eventi culturali “live”, qualsiasi essi siano e dove è necessario essere in contatto con altre persone. Ci vorrà del tempo, ognuno di noi da sempre deve relazionarsi con le proprie emozioni e sensazioni per adottare comportamenti non afflittivi.
Dunque come appagheremo la nostra voglia di cultura oggi repressa? Con un boom di presenze fisiche? O per l’allontanamento forzato, unito alle paure di un ritorno del contagio, asseconderemo le nuove modalità di accessibilità usufruite durante la quarantena?
Prima di tutto non voglio dare per scontato che, mediamente parlando, ci sia una voglia di cultura repressa. Molte sale da concerto e musei erano vuoti prima e lo saranno anche dopo, pandemia o non pandemia. Questa non interviene e non ha certo contaminato la capacità di progettazione culturale. Sicuramente stiamo osservando un “boost” incredibile relativo all’alfabetizzazione digitale (l’Italia non brillava, in effetti) e alla fruizione online di eventi e conferenze varie. Pensiamo al sistema scolastico che in questi giorni si è spostato in blocco verso la modalità digital video conferenza. Senza dubbio questo nuovo strumento di fruizione rappresenterà una grande novità da non sottovalutare. Naturalmente stiamo parlando di una modalità di fruizione diversa da quella classica sul posto. Senza dubbio alcuno le piattaforme digital diventeranno sempre di più un mezzo utilizzato per accedere ai contenuti culturali, con aspetti di costo e comodità molto allettanti. Lo ritengo un vero e proprio competitor da non sottovalutare, crescerà e verrà strutturato a tal fine sempre più.
Comprendere questo, e capire oggi l’impatto del Coronavirus sui cicli di pianificazione dei visitatori e sui modelli di partecipazione di domani, sarà fondamentale per favorire una reale fase di ripresa. Quali strategie si potrebbero mettere in atto, sia sul breve che sul medio periodo?
C’è un’unica strategia valida da sempre: ogni processo culturale deve indurre delle nuove esigenze culturali nel pubblico e per farlo deve tenere conto di tutti quei fattori socio-economici – molto più impermanenti di quelli relativi agli aspetti contenutistici ‒ tipici della progettazione di questo settore (e delle sue declinazioni di genere) nell’attualità del momento presente. Si deve ripartire subito da questo punto e tra le urgenze attualmente sul campo troviamo anche la necessità di convincere la gente che non c’è rischio nel frequentare un museo, un cinema o una sala da concerto.
Quindi servirà fin da ora definire non solo le strategie tecniche per il rilancio di un settore, che tocchino tanto gli incentivi alla domanda quanto i sostegni all’offerta, ma soprattutto iniziare a lavorare su una nuova (o rinnovata) empatia?
Non solo empatia, bisognerà tornare tutti ai nostri luoghi di lavoro e alle nostre famiglie con grande compassione verso noi stessi e nei confronti delle persone che ci circondano. Quella che stiamo vivendo è una grande occasione per comprendere bene che siamo esseri interdipendenti, sia tra di noi che con l’ambiente e la natura che ci circondano.
‒ Massimiliano Zane
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