L’anniversario di Superstudio Più, il Coronavirus e il mondo che verrà. Parola a Gisella Borioli
Com’è cambiato il sistema design nell’ultimo ventennio? Che impatto avrà la crisi che stiamo vivendo? E Milano riuscirà a rialzarsi? Abbiamo rivolto queste domande, e altre ancora, alla fondatrice di Superstudio Più, che da vent’anni osserva questo mondo da un punto di vista privilegiato.
Ha lanciato l’idea del Fuorisalone diffuso, prima in un quartiere di Milano e poi in tutta la città, e avrebbe dovuto festeggiare il suo ventesimo anniversario in grande ad aprile se il Coronavirus non avesse scombinato le carte. Dalla sua nascita, nel 2000, a oggi, Superstudio Più è stato tante cose, ma soprattutto un formidabile osservatorio sulle dinamiche delle industrie creative. Qui una serie di allestimenti memorabili ha visto sfilare il meglio del design internazionale, da Ettore Sottsass ad Alessandro Mendini, da Marcel Wanders a Patricia Urquiola, da Arik Levy a Oki Sato/Nendo, in parallelo con un graduale cambio di paradigma nella comunicazione del design, nella quale i concetti di contaminazione, tra discipline e arti diverse, e di emozione, da procurare allo spettatore per farsi ricordare, sono diventati sempre più centrali.
LA STORIA DI SUPERSTUDIO PIÙ
Tutto è cominciato con un’intuizione, una scommessa su una porzione del tessuto urbano impoverita dalla fuga della grande industria ma ricca di potenzialità. Al giro di boa del millennio, la porzione di via Tortona che va da piazza Bergognone alla circonvallazione era per la maggior parte occupata da edifici industriali sottoutilizzati o già dismessi. Nel giro di poco tempo, l’area dell’ex-Ansaldo comincerà una lunga trasformazione che porterà per esempio alla nascita del MUDEC, il Museo delle Culture firmato David Chipperfield. Gisella Borioli e Flavio Lucchini ‒ moglie e marito, già fondatori di Superstudio 13, la “cittadella dell’immagine” della vicina via Forcella ‒ rilevano il complesso di capannoni al civico 27, che ospitava la produzione di macchinari della General Electric, con l’idea di farne un insieme di spazi espositivi dedicati al settore creativo. Il primo a credere nel progetto è Giulio Cappellini: durante il Fuorisalone 2000, Superstudio Più ospita una grande mostra alla quale partecipano designer affermati e giovani talenti legati al brand che porta il suo nome. Alcuni di quei ragazzi si chiamano Jasper Morrison, Tom Dixon, Fabio Novembre e sono destinati a diventare delle star. Da quel momento in poi, al 27 di via Tortona trovano posto produttori e designer che faticano a farsi notare in fiera o che desiderano esprimersi in maniera diversa e più sperimentale, associazioni, maker (oltre alla moda e all’arte contemporanea, con la concept gallery MyOwnGallery e le iniziative ospitate, per esempio Affordable Art Fair). Tra le presentazioni di maggiore impatto, anche scenico, degli ultimi anni ricordiamo il percorso luminoso di Rhizomatiks per Lexus e le proiezioni tridimensionali di Dassault Systèmes con Morphosis Architects (2019), il progetto esperienziale dell’architetto giapponese Kengo Kuma per Dassault (2018) e la mostra Forms of Movement, che nello stesso anno sintetizzava il percorso creativo dello studio Nendo.
A ridosso dell’anniversario di Superstudio Più, abbiamo chiesto a Gisella Borioli un ricordo dei primi anni e un punto di vista su come la crisi in corso cambierà il mondo del design e la stessa Milano.
L’INTERVISTA A GISELLA BORIOLI
Sono passati vent’anni dalla nascita di Superstudio Più e dalla prima presentazione di design, con Cappellini e una serie di giovani designer poi diventati delle star. C’è un ricordo al quale è più legata?
Ricordo con sorpresa quando ho chiamato Giulio Cappellini, con cui avevo collaborato in precedenza per la mia testata Donna, a vedere la porzione di fabbrica délabré appena acquista dalla General Electric. Era poco più di un mese prima dell’inizio del Salone del Mobile 2000, in cui pensava di far vedere i nuovi prodotti della Cappellini in uno stand come al solito. È rimasto folgorato dal fascino della grande sala centrale, che abbiamo poi chiamato Central Point, e ha deciso seduta stante di annullare la partecipazione in Fiera per portare al Superstudio, in modo scenografico, prodotti e prototipi di tutti i designer noti e meno noti con cui stava lavorando. Allora la via Tortona era considerata periferica e Superstudio era noto solo per gli studi fotografici di via Forcella. Il resto erano fabbriche, magazzini e laboratori in via di dismissione. E case di ringhiera per gli operai. Mi sono stupita io per prima del suo coraggio.
Superstudio Più è anche un osservatorio privilegiato sul sistema design. Come è cambiato in questi vent’anni?
Per fare una sintesi, il design, visto da noi, si è smaterializzato e tecnologicizzato. Le presentazioni, da commerciali, sono diventate culturali ed emozionali. La progettazione ha affrontato la nuova complessità col design digitale, parametrico, immateriale. Il panorama delle aziende si è globalizzato includendo sempre più Paesi lontani che da terzisti sono diventati produttori in prima persona. Gli arredi e gli oggetti sono diventati più eclettici, divertenti, sperimentali. La tecnologia ha portato nuovi materiali, ha facilitato nuove funzioni. L’attenzione si è spostata dalla casa all’ambiente, dall’estetica alla sostenibilità. Ai famosi architetti che collaborano con le grandi aziende si sono affiancati giovani maker che pensano, progettano, producono, comunicano e spesso vendono in modo indipendente. La motivazione d’acquisto non è più solo che quel prodotto assolva a una funzione ma che sappia anche raccontare una storia. E il design è diventato l’alibi che aggiunge plusvalore e appeal a ogni prodotto: non solo ai mobili, come una volta, ma a valigie, spazzolini da denti, pentole e stoviglie, automobili, casse acustiche, tappeti, cibo, moda, persino sex toy eccetera eccetera.
Il Salone del Mobile ha appena annunciato che l’edizione 2020 non si farà. Che impatto avrà questo stop sulla Milano del design?
Verrebbe da dire: drammatico. Ma il mondo del design e dei suoi creativi è imprevedibile, forte, entusiasta, intelligente. Sono sicura che aziende e designer reagiranno con vigore a questo momento di black out e ne trarranno motivo per ritrovare la strada e rinnovare il sistema.
E su Milano tout court? La città che non si ferma mai si è dovuta fermare per cause di forza maggiore, interrompendo quella che sembrava un’infinita ascesa culturale…
Milano si riprenderà. E lo choc la farà diventare più umana, solidale, migliore. I suoi architetti la stanno già trasformando in una smart city del futuro, integrando le nuove architetture ai palazzi storici. La lezione del dramma sanitario li renderà più attenti all’ambiente e alla sicurezza. Credo che saranno gli architetti i primi responsabili di una Milano capace di dare le nuove risposte.
Un comitato formato da diversi attori del Fuorisalone, di cui fa parte anche Superstudio Più, si sta organizzando per mettere a punto una proposta digitale condivisa nelle date in cui si sarebbe dovuta svolgere la design week. Voi su che cosa state lavorando?
Il comitato degli organizzatori indipendenti si sta attivando per non lasciare cadere l’attenzione sul design nel 2020 con le armi che gli sono proprie, quelle della comunicazione e degli eventi. C’è il progetto di un palinsesto digitale che possa offrire occasioni di visibilità coordinata e programmata ai protagonisti e alle aziende. E l’idea di creare un altro appuntamento “fisico” in città, in autunno. Non lo chiamerei però un Fuorisalone extra, ma una nuova occasione da battezzare in altro modo. Il vero Fuorisalone è e resta quello contemporaneo e complementare al Salone in fiera. La forza delle due manifestazioni insieme è quello che ha fatto diventare la Milan Design Week la settimana di maggior richiamo al mondo. Smembrarla per me non avrebbe senso. Per un eventuale progetto autunnale noi stiamo pensando a un “trailer” di quanto si vedrà nel 2021 dedicato alla creatività femminile.
A proposito di creatività femminile, nei mesi scorsi era già stata lanciata una call per la mostra, che a questo punto si terrà nel 2021. Ci segnalerebbe tre designer o artiste da tenere d’occhio?
La nostra ricerca per architette, designer e artiste è ancora aperta e non vorrei anticipare nomi adesso. Posso citare tre designer note che per me rappresentano la creatività al femminile, cioè un mix di razionalità, fantasia, funzione, visione, decorazione e anche romanticismo. Paola Navone, Nina Zupanc, Elena Salmistraro. Tutte e tre sono state gradite ospiti di Superstudio.
Non sappiamo quanto durerà questa crisi, ma c’è già chi si interroga sul dopo. Qualcuno ha proposto un ritorno alla vita attiva in tempi differenziati per fasce d’età, qualcun altro che a rientrare siano per prime le donne, che sembrano colpite in maniera meno grave dal Coronavirus. Che cosa ne pensa? Potrebbe essere un modo per cominciare ad appianare il gap di genere che esiste anche nel design?
La selezione in base all’età o altre differenze mi sembra un po’ razzista. Il gap di genere non si può forzare con artifici. Al di là della ripresa, bisogna invitare le donne a essere più presenti e direi insistenti nel proporre i loro progetti. Ma soprattutto incitare i capi d’azienda, uomini generalmente, a essere più coraggiosi e aperti e a capire quanto valore e quante possibilità possono esprimere le architette. Poiché sono le donne che poi scelgono principalmente cosa mettere in casa, quindi chi meglio di loro può interpretare i desideri e le necessità di nuovi prodotti?
Come sta trascorrendo questa quarantena?
Lavorando. Sto finendo il libro del nostro anniversario: 2000/2020 DESIGN SUPERSHOW/EVOLUZIONE E MISE-EN-SCENE DEL DESIGN AL SUPERSTUDIO DI MILANO. Una testimonianza di tutte le presenze più significative che abbiamo avuto in vent’anni. Io ne sono l’autore ma per il progetto grafico ho scelto… mio marito, Flavio Lucchini, che nonostante i suoi 90 anni (o forse proprio per questo) è ancora un grande maestro.
‒ Giulia Marani
http://www.superstudiogroup.com/i/home/home.html
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