Coronavirus, gli artisti iraniani chiedono agli Stati Uniti la sospensione delle sanzioni
Gli ospedali iraniani sono al collasso e le sanzioni americane impediscono di importare medicine e dispositivi sanitari. Rakhshan Banietemad e Niki Karimi sono tra i firmatari di una lettera aperta che ne chiede la sospensione
Se si facesse un sondaggio su quali siano gli artisti iraniani più conosciuti in Italia sarebbe abbastanza scontato incontrare i nomi di Shirin Neshat, Marjane Satrapi, Mohsen Vaziri, di cui si è parlato anche in queste pagine, oltre ad un certo numero di cineasti, perché spesso a fare notizia non sono tanto le loro opere, quanto le conseguenze che il regime assume dopo averle viste, e questo accade spesso con i film. L’ultimo caso in ordine di tempo è quello di Mohammad Rasoulof, che pochi giorni dopo aver vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino con There Is No Evil è stato condannato a un anno di detenzione e due senza poter girare film per il precedente A Man Of Integrity, accusato di propaganda contro il sistema. È possibile però che non sconti la pena, sia per la mobilitazione dei colleghi in tutto il mondo, sia per l’emergenza Coronavirus, che sta obbligando il governo a liberare migliaia di prigionieri. Ma il simbolo per eccellenza della censura di Stato è Jafar Panahi. Dopo diversi arresti, nel 2010 per lui è arrivata una sorta di condanna definitiva: per aver manifestato più volte gli è stato vietato di dirigere film, rilasciare interviste a media stranieri e lasciare il paese per vent’anni.
CINEMA E POLITICA IN IRAN
I registi più noti possono contare su una solidarietà internazionale che permette loro di essere in qualche modo presenti ai festival, facendo arrivare i propri film e le proprie dichiarazioni via internet o tramite chiavette usb. Così con Closed Curtain nel 2013 Panahi ha vinto l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura a Berlino, con il successivo Taxi Teheran ha vinto l’Orso d’oro, e con Tre volti il premio per la miglior sceneggiatura a Cannes, dove aveva già ottenuto nel 1995 la Caméra d’or per Il palloncino bianco. Un’altra nemica del regime è l’attrice e regista Marzieh Vafamehr, che fu condannata al carcere e a ricevere novanta frustate per aver girato un film sulla libertà d’espressione, My Tehran For Sale, in cui non indossava l’hijab. Alla fine passò 118 giorni in prigione. Si è parlato a lungo anche di Keywan Karimi, che nel 2013 ha diretto un documentario sulla storia dei graffiti a Teheran, Writing on the City, costatogli sei mesi di carcere. Da allora non è quasi più intervenuto in pubblico. E questi sono solo alcuni dei casi più emblematici.
I film dei dissidenti sono ufficialmente visti più all’estero che in patria, dove le sale non li proiettano, con il risultato di una pirateria molto diffusa. Nei cinema si vedono invece film di propaganda governativa, o film in cui un occhio attento può cogliere il livello di autocensura, o viceversa film il cui messaggio critico è chiaro solo a chi sa coglierlo. A causa di tale esclusione diversi cineasti hanno boicottato l’ultimo Fajr, il festival controllato dal regime, dove qualche anno fa è stato celebrato il cinema italiano recente, e dove è abitudine censurare le scene di nudo, vietate in Iran, come pure certi particolari, come le scollature delle donne (presenti solo nei film che arrivano dall’estero).
LA POLITICA DEGLI USA SUL CINEMA IRANIANO
Non è però solo la censura ad ostacolare l’arte, lo fanno anche le sanzioni imposte dagli Stati Uniti, una prassi nelle presidenze da Jimmy Carter in avanti. Essendo di carattere economico, le sanzioni hanno ricadute su tutti gli ambiti della vita quotidiana, compreso il diritto alla salute, e nello specifico nel cinema provocano un calo della produzione, ostacolano la vendita e tagliano così le gambe ai film indipendenti. Ha fatto discutere anche il Travel Ban, o Muslim Ban di Donald Trump, che ha causato l’assenza di Asghar Farhadi agli Oscar del 2016, dove il regista ha poi vinto per Il cliente il premio al miglior film straniero, già ottenuto con Una separazione. Sono molti quindi a lasciare il paese: accanto a Neshat, Satrapi e Vaziri troviamo ad esempio la famiglia di Mohsen Makhmalbaf (Viaggio a Kandahar), Bahman Ghobadi (I gatti persiani) o Amir Naderi (Il corridore, Monte) e Abbas Kiarostami, morto tre anni fa (Il sapore della ciliegia, regista di culto anche per Scorsese, Godard e Nanni Moretti). Tra le attrici la più nota è Golshifteh Farahani, vista anche in Paterson di Jim Jarmusch.
IRAN TRA CENSURA, SANZIONI E PANDEMIA
Nel blog sul cinema iraniano ideato da Claudio Zito si possono trovare, oltre a recensioni, informazioni e interviste, alcune classifiche per iniziare a conoscere questa cinematografia: i film più belli secondo la critica iraniana, quelli più belli secondo esperti internazionali contattati da Zito, o i più belli diretti da donne. È sempre preferibile documentarsi sulla storia del paese per poterli capire meglio: ci sono molti contributi su Raiplay, ma c’è anche il libro da poco pubblicato da Paola Rivetti, docente di Politica e Relazioni Internazionali all’Università di Dublino. S’intitola Political Participation in Iran from Khatami to the Green Movement e analizza il periodo 1997-2005. È utile soprattutto per capire come l’attivismo e i movimenti di protesta nascano e si consolidino in un Paese semi-autoritario, nonostante i nostri media parlino pochissimo. Per avere un’idea basti pensare che – stando ad un’informazione ricevuta da Reuters – nelle proteste tenutesi in diverse città lo scorso novembre sono state uccise dalla repressione di stato 1500 persone (di cui almeno 22 minorenni secondo Amnesty International), e altre decine nelle proteste seguite all’abbattimento dell’aereo ucraino che causò 176 morti lo scorso 8 gennaio. Adesso il caos è amplificato dalla pandemia. Nella settimana del Nowruz (il capodanno persiano) si è registrato un numero di perdite altissimo, sebbene sottostimato, causato anche dall’impossibilità di ricevere tutti gli strumenti sanitari necessari, e le medicine a causa delle sanzioni.
COME VEDERE I FILM IRANIANI IN ITALIA
Tornando al cinema, a dispetto dei premi vinti ai più importanti festival internazionali, non è facile scovare sulle piattaforme di streaming operanti in Italia un film iraniano, ma possiamo suggerirne qualcuno: su Raiplay si possono vedere gratuitamente Monte di Naderi e Mattone e specchio di Ebrahim Golestan, e si può approfittare della prova gratuita di Amazon Prime per vedere I bambini del cielo di Majid Majidi. A noleggio (2,99 euro o poco più) su altre piattaforme come Chili, Google Play, Tim o Rakuten si possono trovare: Il cliente, Una separazione, Il passato e About Elly di Asghar Farhadi, Donne senza uomini di Shirin Neshat, Persepolis di Marjane Satrapi, Taxi Teheran di Jafar Panahi, Il dubbio di Vahid Jalilvand, Border di Ali Abbasi, Qualcuno da amare di Abbas Kiarostami, I gatti persiani di Bahman Ghobadi, Sotto le rovine del Buddha di Mohsen Makhmalbaf e My Teheran For Sale di Granaz Moussavi.
L’APPELLO DEGLI ARTISTI ITALIANI AGLI USA
Spiace non trovare (se non in dvd) nessun film di Rakhshan Bani-Etemad, che a Venezia ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura con Tales. È chiamata la “First Lady del cinema iraniano” e non smette di esporsi socialmente e politicamente. È lei la prima firmataria dell’appello che molti artisti iraniani hanno sottoscritto per chiedere che in considerazione dell’epidemia di Coronavirus Trump sospenda le sanzioni. È sostenuto anche dalla nostra Anac – Associazione Nazionale Autori Cinematografici, e lo pubblichiamo integralmente:
“Tutti noi, cittadini di qualunque Paese e di ogni nazionalità, siamo anche cittadini di un territorio senza confini e bandiere chiamato “Arte”, in un mondo chiamato “Cultura”, e nessun potere potrà mai privarci di questa cittadinanza. In questo territorio comune e da sogno, asiatici o europei, americani o africani, possediamo tutti il dono della comprensione culturale e della comunicazione, il talento per influenzare l’opinione pubblica, la capacità di analisi e l’opportunità di modificare le condizioni della società umana. Tutti noi, con le nostre opere, con i nostri gusti artistici, con le particolarità e le unicità delle nostre culture abbiamo immaginato e raccontato la fede e la miscredenza, l’amore e l’odio, la pace e la guerra, il sapere e l’ignoranza, la bontà e la cattiveria, la dannazione, la salvezza e il riscatto, ed attraverso queste opere abbiamo imparato a conoscere e fatto conoscere un mondo condiviso molto più grande dei paesi in cui viviamo. Più i potenti e le loro politiche, mossi dall’odio e dall’ intolleranza, hanno cercato di dividerci e di opprimerci, più noi siamo diventati uniti e forti e coraggiosi, più determinati e incisivi nel trasmettere i nostri comuni messaggi umanitari. In questo momento tutti noi, indifferentemente dalle posizioni geografiche e politiche, stiamo affrontando un comune nemico mortale che non importa da dove arriva, ma importa che s’introduce ovunque, in libertà ed in fretta, e che di fronte a questo minuscolo nemico siamo fragili e vulnerabili nella stessa misura, e non possiamo salvarci senza salvare l’altro.
Coronavirus non è soltanto un virus, ma una storica domanda, pure semplice, che sta ricevendo delle risposte complicate dalle nazioni ed i governi del mondo. Vi chiediamo: “può la risposta della nazione iraniana, soffocata dalle sanzioni, essere alla pari delle risposte di tutte le altre nazioni a questa storica domanda?”. Non è forse legittimo aspettarsi che la risposta degli artisti liberi ed indipendenti di tutto il mondo alla domanda “Coronavirus”, con il comune pericolo dietro alle porte, sia diversa e più efficace delle risposte dei loro politici e potenti?
Questa crisi prima o poi passerà, con più o meno vittime, ma resteranno i racconti, comuni o diversi, delle sue storie. Resterà la storia degli infermieri sfiniti che per tirare su il morale dei pazienti e colleghi si sono messi a ballare nei corridoi infetti degli ospedali, nascondendo dietro a questa finta allegria le proprie disperazioni per la mancanza dei mezzi e delle medicine. Resterà la storia dei medici rimasti fuori casa per settimane, senza mascherine e guanti, in mezzo ai malati in rianimazione, spesso curati per terra nei corridoi degli ospedali. Queste e altre storie resteranno indelebili nella memoria storica del mondo, e prima o poi, da voi o da noi, verranno raccontate. Magari prima che sia troppo tardi, prima che pure qualcuno di noi resti senza respiro, gli artisti impegnati ed influenti sull’opinione pubblica farebbero bene a raccontare la storia dell’oppressione e dell’isolamento ai danni del popolo iraniano, facendo appello ai politici ed ai potenti del mondo. Il popolo iraniano oggi affronta due emergenze, una comune che conoscete come “Coronavirus”, e l’altra che vi auguriamo di non conoscere mai: le “sanzioni”! Per noi artisti iraniani, in questo momento d’emergenza umanitaria, è di vitale importanza sapere cosa voi, artisti di tutto il mondo, pensate delle condizioni in cui si trovano i nostri cittadini contagiati, bambini ed anziani ammalati di Coronavirus… delle carenze disastrose della comunità dei medici iraniani e del sistema sanitario al collasso tra l’emergenza e le sanzioni. È fondamentale sapere come pensate di sostenerci”.
– Chiara Zanini
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