Il futuro delle gallerie d’arte: da Torino parla Franco Noero
Come sarà il futuro delle gallerie d’arte contemporanea? L’emergenza coronavirus mette il settore a dura prova. La parola ai galleristi. Terzo appuntamento con Franco Noero.
Come sarà il futuro delle gallerie d’arte? E, insieme a loro, dell’intero settore dell’arte? La questione è importante e delicata e, su queste pagine, la stiamo affrontando con il contributo di curatori, collezionisti, giornalisti e critici d’arte. E naturalmente i galleristi. Le prime impressioni c’erano arrivate da Alfonso Artiaco, Galleria Continua, Monitor, Mazzoleni, Poggiali, Massimo Minini, apripista di questo dibattito. Poi avevamo interrogato Valentina Bonomo da Roma e i titolari della P420 di Bologna. Oggi “andiamo” a Torino e parliamo di tutto questo e degli sviluppi che sta prendendo il mercato dell’arte con la voce influente di Franco Noero, alla guida dei due spazi di Piazza Carignano e via Mottalciata.
Naturalmente questo è un momento estremamente difficile a livello umano e sociale, ma concentrandoci esclusivamente sugli aspetti professionali, quali sono attualmente i rischi e le preoccupazioni per una attività imprenditoriale come quella di una galleria?
Siamo sospesi, come se il grande concerto, la musica a cui tutti partecipavamo, fosse stato messo in pausa. Non so, non sappiamo quando e come e a quale volume e per quanti, la musica, il concerto potrà riprendere. Il rischio è economico. Il rischio è non sopportare le sollecitazioni fortissime del nostro mondo interrotto.
Come se ne può uscire? Di che tipo di aiuti avete o avrete bisogno?
Limitando i danni, minimizzando i costi, alleggerendo, pulendo dal superfluo, cucendo e curando rapporti, intercettando opportunità e sentimenti. Al momento questo approccio è essenziale. Ne usciremo però cercandoci. Siamo una comunità e possiamo dire anche coesa, certamente connessa. Dobbiamo farlo assieme, appunto. Il cambiamento è un abisso e non si è ancora arrestato. Aiuti? Una presa di coscienza e contatto, un’apertura di dialogo con le gallerie da parte delle Istituzioni governative, sarebbe un grande inizio.
State lavorando ugualmente con la vendita a distanza?
Sì, qualcosa, poco, abbiamo venduto e stiamo seguendo proposte e qualche richiesta, ma ci vuole tempo per immaginare, costruire, testare un modello di vendita così radicalmente diverso.
Che tipo di iniziative, anche culturali, state portando avanti per il vostro pubblico e con che obiettivi?
Ci stiamo divertendo su Instagram. Abbiamo chiesto agli artisti di partecipare e di mandarci un fiore che avevano fotografato, colto, curato. La risposta è stata spontanea e bellissima e cresce ogni giorno. Stiamo lavorando ad altri progetti, non solo per Instagram, ma è forse prematuro svelarli.
È un aspetto inedito nel tuo lavoro o utilizzavi questi strumenti anche prima dell’emergenza?
Utilizziamo i social da tempo, ma certo non vi eravamo concentrati come lo siamo ora. Abbiamo inoltre accelerato la ristrutturazione del nostro sito web, già programmata, e che doteremo di opportuna viewing room. Personalmente credo però che la galleria avrà sempre una centralità, sia per la sperimentazione dell’artista che per lo sguardo del visitatore.
L’intera stagione fieristica del primo semestre di quest’anno è saltata, con probabili ripercussioni anche sulla seconda parte dell’anno: pensi che le viewing room e le manifestazioni virtuali possano essere un buon compromesso?
Noi abbiamo fatto in tempo a partecipare con buon successo a Art Geneve e Frieze Los Angeles. Poi vi è stato Armory a NYC, a cui non prendiamo parte e dopo si sono spente le luci di tutto il nostro mondo. A essere sincero non confido al 100 per 100 nella programmazione fieristica dell’autunno, dipenderà da tante variabili che letteralmente si sovvertono ogni giorno. Le viewing room, come quella di Art Basel, sono tentativi importanti, necessari vorrei quasi dire. Però non riesco a pensare ancora ad una fiera prettamente digitale, l’iterazione fisica e la presenza fisica dell’arte sono elementi irrinunciabili. Una fiera d’arte è per essa stessa network. Crea il tessuto. Se la fiera d’arte diventa digitale, non è più una fiera d’arte, non è più la piazza del suo mercato, almeno così come lo conoscevamo. Il lavoro da fare in questo senso è tanto.
Come cambierà a tuo parere il sistema dell’arte in seguito a questa emergenza? Quali strategie secondo te si possono attivare per fare fronte comune?
Il sistema dell’arte è già cambiato, o meglio il vortice del cambiamento non si è arrestato. Credo fermamente nel cercarci e lavorare come comunità e lo sto sperimentando con molti miei colleghi.
E in che modo i settori pubblico e privato possono lavorare insieme?
Annosa domanda, sempre attuale ed importante. Quando parlo di comunità intendo anche questo. Certo che forse i tempi del pubblico mai come ora sono diversi dai nostri, connotati e determinati dall’urgenza.
– Santa Nastro
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