Rumori – Radiodrammi 2.0. Un progetto che nasce dal sottofondo della quarantena
Un collettivo di artisti capeggiati dalla regista e attrice Martina Badiluzzi ha dato vita a un progetto ibrido che unisce teatro, narrazione, immagini e musica. Il primo capitolo della serie è appena uscito e Margherita Bordino ha intervistato l'autrice.
Rumori – Radiodrammi 2.0 è un esperimento artistico che parte dal suono e dal sottofondo del periodo di quarantena che stiamo vivendo. Un esempio di come l’arte della narrazione si adatti perfettamente e in ogni momento. A guidare il progetto è Martina Badiluzzi, regista e attrice. Con lei abbiamo dialogato sul primo capitolo della serie, Elettrostatica, e più in generale su questo lavoro collettivo. Rumori – Radiodrammi 2.0 si struttura intorno a quattro racconti, scritti dalla stessa Badiluzzi, pubblicati con un intervallo di circa un mese l’uno dall’altro, interpretati da attori professionisti, e arricchiti dall’ambiente sonoro originale di Samuele Cestola (in arte Samovar) e dai video onirici della visual artist Alessandra Bianchi.
“Rumori – Radiorammi 2.0” è un esperimento artistico molto interessante. Come nasce la combinazione di suoni, rumori e immagini al suo interno?
Rumori è stata la naturale risposta a ciò che ci stava succedendo. Era un progetto inizialmente pensato per la carta, una raccolta di racconti brevi che in quarantena si è totalmente trasformata. I protagonisti dei racconti sono gli stessi rumori, una collezione di anime imprigionate, il sottofondo musicale della mia quarantena.
In questo periodo mi sono ritrovata a dare dei nomi ai miei dirimpettai, li sento, mi sembra di conoscerli e sono diventati i protagonisti delle mie storie. Di fronte a me abita una signora che assomiglia ad Elfiede Jelinek da giovane, credo sia lei la protagonista di Elettrostatica. Mentre scrivevo la sua storia immaginavo il volto della donna bionda del quinto piano. Ho pensato alla magnifica voce di Federica Rosellini per la protagonista ed è stato naturale, per me, condividere il lavoro con Samuele Cestola che sta scrivendo le musiche per The Making of Anastasia, spettacolo con la mia regia prodotto dalla Biennale di Venezia che debutterà a metà settembre. In una seconda fase ho coinvolto Alessandra Bianchi, artista visuale straordinaria, che ha dato forma alle fantasie allucinate della protagonista. Una moltiplicazione.
Quattro racconti video. Ti piacerebbe un domani adattarli in uno spettacolo dal vivo?
La possibilità che questo progetto potesse incontrare il pubblico è stato il primo pensiero. Questo ha permesso una riflessione nuova sugli strumenti digitali e ci ha traghettati verso un esperimento pieno di vita che potrebbe trovare spazio su un palcoscenico con la stessa efficacia. Per il momento il progetto è totalmente auto-prodotto. Inutile dire che non vediamo l’ora di rientrare in teatro e poterci assembrare. Riqualificare la parola assembramento, scioglierla dall’accezione negativa! Stare insieme è un’esigenza, partecipare al rito del teatro, della musica live faceva parte della nostra quotidianità e mai come ora ci rendiamo conto di quanto ci manca. Appena sarà possibile Rumori incontrerà il pubblico, ne sono certa, un concerto per parole.
Si dice che la massima creazione artistica avviene in un momento di sofferenza. In questo momento di dolore collettivo, l’arte può essere un farmaco consolatore, quantomeno per il pubblico?
Ho sviluppato una strana avversione per i termini medici. L’emergenza sanitaria ha farcito i nostri discorsi di termini clinici trasformando il nostro rapporto con la realtà, offuscando la zona grigia di ogni ragionamento. Libertà e quarantena, salute e malattia, assembramento e distanziamento. Chi può lavorare perché risulta indispensabile e chi non lo è e può essere dimenticato. I lavoratori dello spettacolo continuano a essere ignorati dai decreti ministeriali. Chi ci governa sembra non rendersi conto dell’importanza sociale che gli artisti hanno svolto in questo periodo di quarantena. Il cinema, le serie tv, la letteratura, i podcast hanno riempito il silenzio delle istituzioni e sottovalutare il valore dell’arte nella vita quotidiana delle persone è uno smacco che, sinceramente, comincia a diventare insopportabile. Vivo a Roma, posso solamente immaginare la sofferenza di chi ha vissuto sulla propria pelle la tragedia della malattia e mi sono spesso interrogata sull’utilità dell’arte in un momento come questo. Non ho una risposta ma sono certa di non essere un farmaco, né di utilizzare l’arte come una medicina. Il virus è un nemico, questa è una guerra, l’arte è un farmaco. Anche le parole chiedono vendetta, i nostri discorsi, i nostri corpi chiedono vendetta. Come sempre, l’umanità riesce a riflettere sul valore della libertà e dei diritti solo nel momento in cui se ne sente privata. La morte è il tema ricorrente del mio lavoro ma osservarla agire per mano di un virus così violento, cattivo e insidioso è spaventoso, prosciuga ogni buon discorso perciò non mi resta che guardare alla vita, a domani, al nuovo spirito che i sopravvissuti, perché è questo che saremo, dei sopravvissuti, sapranno reinvestire nell’immaginare il futuro.
– Margherita Bordino
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