Storia e usi della Realtà Virtuale. Dai videogiochi allo smart working
Un vero e proprio boom della Realtà Virtuale non c’è mai stato, nonostante le premesse facessero pensare il contrario. Eppure, in epoca di pandemia, la Realtà Virtuale potrebbe essere una preziosa risorsa.
Nel 1938 Antonin Artaud definì l’illusione teatrale come una “realtà virtuale” (“réalité virtuelle”). L’espressione, ripresa in seguita dalla letteratura fantascientifica, è diventata oggetto di una ricerca che va avanti almeno dagli Anni Cinquanta (ma che potremmo far cominciare con il trompe-l’œil). La ricerca di un modo per immergere tutti i sensi di una persona in un’esperienza, di creare una realtà altra ma che sia avvertita come reale. E poi di poter arrivare anche a fondere questa realtà con la nostra in quelle che si chiamano “Augmented Reality” e “Mixed Reality”.
Un dispositivo per la Realtà Virtuale (o “VR”, dall’inglese “Virtual Reality”) consiste principalmente in un visore che, indossato, mostra ambienti tridimensionali e stereoscopici seguendo i nostri movimenti. A questo visore possono essere aggiunte una o due periferiche di controllo, “controller” che simulano nel mondo virtuale i gesti delle mani e permettono di richiamare menù e interagire con l’ambiente. L’entusiasmo per queste tecnologie negli Anni Ottanta e Novanta non riuscì a tradursi in un successo commerciale su larga scala, e persino Nintendo subì una delle sue più terribili sconfitte quando provò a sviluppare una piattaforma per il videogioco in Realtà Virtuale, il Virtual Boy. Ma il sogno di realizzare dispositivi per la Realtà Virtuale per il grande pubblicò continuò, e così, dopo il 2010, Palmer Luckey e il programmatore di videogiochi John Carmack progettarono il visore VR Oculus Rift, in parte sfruttando il lavoro fatto da Carmack in id Software (il complicato rapporto tra la nascita di Oculus e le tecnologie di ZeniMax, proprietari di id Software, è finito anche in tribunale).
L’era d’oro della Realtà Virtuale sembrava finalmente iniziata. Nel 2014 Facebook acquisì Oculus per 3 miliardi di dollari e Google iniziò a distribuire il Google Cardboard, un visore VR di cartone che funziona infilando al suo interno uno smartphone. Nel 2015 il TIME mise in copertina Luckey spiegando che la VR “sta per cambiare il mondo” e Oculus lanciò il Gear VR, un visore realizzato in collaborazione con Samsung e progettato per usare come schermo un Samsung Galaxy inserito al suo interno. Nel 2016, quando Oculus lanciò la prima versione per consumatori di Oculus Rift, arrivarono anche HTC Vive di HTC e Valve, principale rivale di Oculus Rift, e PlayStation VR, visore per la Realtà Virtuale di Sony per la sua console PlayStation 4. Ormai quasi tutte le grandi compagnie (Amazon, Apple, Microsoft…) erano impegnate nel settore, ma già l’anno successivo la Realtà Virtuale veniva descritta come una bolla pronta a scoppiare e come una tecnologia destinata a raggiungere al massimo una nicchia di appassionati. Intanto, Luckey veniva allontanato da Oculus; l’ultima volta che ne abbiamo avuto notizia stava collaborando con l’amministrazione Trump per realizzare una versione virtuale, a base di droni e sensori, del famoso muro con il Messico.
POTENZIALITÀ E FALLIMENTO DELLA REALTÀ VIRTUALE
“Erano dispositivi inadatti, ma c’è stato anche un fallimento nella capacità di comprendere cosa potessero fare quei dispositivi”, ci ha spiegato Fabio Mosca, cofondatore e direttore tecnico di AnotheReality, compagnia specializzata nello sviluppo di software VR per altre aziende. “Le persone si lanciavano sulla VR a caso perché faceva figo, le agenzie prendevano lavori senza sapere di cosa stessero parlando. [Per esempio] nel 2015 tutti volevano fare le montagne russe in VR per pubblicizzare i loro prodotti. Non era particolarmente utile: le persone tornavano con la nausea e si ricordavano le montagne russe e non i prodotti che c’erano dentro”.
L’ultima raccolta dati di Steam (la principale piattaforma di distribuzione di videogiochi per computer, posseduta da Valve) mostra che a marzo 2020 solo l’1,29% degli utenti aveva un visore VR collegato al PC. Considerando che Steam ha 95 milioni di utenti attivi ogni mese, anche se marzo è stato un mese particolarmente trafficato a causa della diffusione di SARS-CoV-2, parliamo probabilmente di meno di 2 milioni di persone che oggi possiedono e usano visori VR per giocare al computer. “Nel 2016 ho lanciato un gioco che si chiama ‘Yon Paradox’, gioco in VR basato su paradossi temporali”, ci ha raccontato Mosca. “L’avevo preso come un traguardo personale, il primo gioco pubblicato, ma era anche un esperimento per vedere come andava un gioco VR. Era maggio 2016, il mese dopo il lancio dei primi visori commerciali (Oculus Rift e HTC Vive erano usciti tra marzo e aprile). Non mi sono sorpreso che ‘Yon Paradox’ non sia andato particolarmente bene. È andato bene per gli standard di allora, ma se ci vuoi mantenere un’azienda non è una strada percorribile se non hai grossi investimenti o non sei uno dei pochi grandi successi”.
Secondo Sony sarebbero stati venduti in tutto 5 milioni di PS VR, che è oggi uno dei visori più diffusi al mondo. Il Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, collaborando direttamente con Sony, lo ha anche sfruttato per realizzare esperienze espressamente pensate per le sue mostre. PS VR è un’ottima opzione per chi vuole giocare (per un po’ ha avuto l’unico grande videogioco completo e ad alto budget in VR, Resident Evil 7) e possiede già una PlayStation 4. Ma a parte usi un po’ impropri che permettano di collegarlo a un computer, è comunque una piattaforma completamente chiusa, dove è disponibile solo ciò che Sony approva nel suo negozio ufficiale. Ed è, in generale, un dispositivo pieno di limiti, collegato con un cavo alla console, con una bassa risoluzione dello schermo e con il tracciamento dei movimenti gestito da un’unica telecamera esterna. È un visore pensato sostanzialmente per essere usato guardando in un’unica direzione, con possibilità di muoversi e girarsi solo in modo molto limitato nello spazio.
UNA PICCOLA RIVOLUZIONE
Una piccola rivoluzione è però iniziata quando il nuovo visore Oculus Quest è stato lanciato a maggio 2019. I vantaggi dell’Oculus Quest rispetto agli altri dispositivi sono notevoli: è leggero, non deve essere collegato a un computer o a una console (è “standalone”), funziona perfettamente con la Realtà Virtuale “room scale,” cioè legge i nostri movimenti e permette di spostarci nello spazio virtuale mentre ci spostiamo in quello reale (senza che sia necessario alcun dispositivo esterno), ha due controller anch’essi tracciati nel loro movimento nello spazio e ha un costo relativamente contenuto. Il modello base di Oculus Quest costa 449 €, cioè quanto un Oculus Rift S, che però funziona solo se collegato a un computer, e decisamente meno dei 1079 € richiesti per un nuovissimo Valve Index, che l’Oculus Quest può però in gran parte ancora sostituire. Infatti, gli utenti più esperti possono installare sull’Oculus Quest software assente nel suo store ufficiale ed è possibile collegare il visore a un computer sfruttando la maggior potenza di calcolo dei PC e il più ampio catalogo di giochi ed esperienze disponibili. Con un solo acquisto abbiamo sia un comodo dispositivo portatile sia un visore ad alta risoluzione per chi vuole provare i videogiochi in Realtà Virtuale disponibili per esempio su Steam. Oculus Quest starebbe riuscendo ad allargare effettivamente il pubblico della Realtà Virtuale: secondo Facebook, il 90% degli Oculus Quest acquistati a Natale 2019 sono stati attivati da persone che non possedevano già un visore VR Oculus.
“A oggi, nel 2020, Oculus Quest la fa da padrone”, ci ha detto Mosca. “Prima, per avere un buon tracciamento [dei movimenti], [e quindi] una buona esperienza VR, dovevi usare un Vive o un Rift, ma dovevi avere un PC. Poi, esistono tanti progetti prima impossibili, come il nostro progetto di intrattenimento sui Frecciarossa realizzato con Trenitalia, che sono diventati possibili solo con Quest. È quasi un problema che non ci sia un rivale dell’Oculus Quest. Abbiamo usato anche l’HTC Vive Focus, che è lo standalone di Vive, però non regge il confronto. È uscito prima, funziona bene, ma costa molto di più e il tracciamento non è al livello del Quest”.
OCULUS QUEST
Il catalogo dell’Oculus Quest va da giochi a film e documentari, tra cui segnaliamo almeno l’opera interattiva Notes on Blindness di Novelab, Atlas V e ARTE, tratta dagli audiodiari di John Hull, e Travelling While Black di Felix & Paul Studios, sulla lotta della comunità afroamericana per la libertà di movimento. Ma se documentari e film in Realtà Virtuale restano ancora troppo ancorati a modi tradizionali di scrivere e dirigere, sono i videogiochi in VR a mostrare le vere potenzialità di questa tecnologia. Beat Saber di Beat Games (ora parte di Facebook) ha ormai venduto più di 2 milioni di copie diventando il grande successo del mondo della Realtà Virtuale. Nel videogioco impugniamo due spade laser di due colori diversi e dobbiamo schivare ostacoli con tutto il corpo e tagliare una serie di cubi colorati che volano verso di noi seguendo il ritmo di una canzone. Il fatto che uno dei maggiori successi in VR sia un videogioco musicale basato sul muoversi nello spazio fa capire quanto potenzialmente sia rivoluzionaria la Realtà Virtuale, quanta freschezza possa portare a un mercato del videogioco ossessionato altrimenti da simulazioni di genocidio a cui viene appiccicata sopra una qualche trama rubata da altri media. Nel catalogo di Oculus Quest ci sono poi (citando solo alcuni titoli per noi particolarmente meritevoli) Pistol Whip di Cloudhead Games, un’esperienza che combina sparatorie e musica, Accounting+ di Crow Crows Crows, un videogioco folle e comico realizzato insieme a Justin Roiland della serie animata Rick and Morty, e Lies Beneath di Drifter e Oculus Studios, un nuovissimo videogioco dell’orrore con una grafica e una narrazione ispirate ai fumetti americani Anni Cinquanta della serie Tales from the Crypt.
SUPERHOT VR
Superhot VR necessita di un po’ più di spazio per essere spiegato. Superhot di Superhot Team nasce come videogioco tradizionale, ma Superhot VR è stato totalmente ripensato per la Realtà Virtuale. In Superhot ci troviamo di fronte a brevi livelli, graficamente molto stilizzati, in cui dobbiamo recuperare armi (soprattutto armi da fuoco) e sfruttarle per sconfiggere nemici ugualmente stilizzati. Ma lo scorrere del tempo va avanti solo quando muoviamo il nostro personaggio, e le missioni diventano quindi puzzle da risolvere con attenzione, mossa dopo mossa, schivando i proiettili. Superhot VR trasforma questa esperienza in qualcosa di fisico, dove ogni nostro movimento manda in avanti il tempo e dove bisogna spostarsi fisicamente nello spazio, nascondersi e sporgersi da dietro ripari. La sua trama, invece, parla di aspetti più oscuri della Realtà Virtuale, uno strumento con cui i designer possono controllare il nostro intero corpo.
Se il mercato dei videogiochi VR resta una nicchia, seppur in lenta crescita, alcuni sviluppatori stanno scommettendo sulla Realtà Virtuale come esperienza per sale giochi ed eventi. “Il location-based VR è diventato uno dei temi più importanti nel mondo dell’intrattenimento, con una crescita annua di almeno il 76%”, ci ha spiegato Andrea Antonelli, fondatore di Orwell VR, attualmente impegnato nello sviluppo di “cyber sport,” videogiochi a Realtà Virtuale e Realtà Aumentata in cui chi gioca “diventa un atleta”, come Antonelli afferma. Il loro Virtual Soccer Zone è un’esperienza di calcio virtuale nata inizialmente da una collaborazione con l’Associazione Sportiva Roma e Master Group Sport. “In Italia non sono così diffuse le sale giochi, ma in USA hanno una grande diffusione: tutti gli entertainment center hanno introdotto la Realtà Virtuale. Quello che abbiamo iniziato a discutere di recente è l’inserimento di arene VR, per far giocare quattro persone insieme, o far giocare cinque persone contro altre cinque”.
SIMULAZIONE E ADDESTRAMENTO IN AMBITO VIRTUALE
Ma a partire dagli Anni Settanta la Realtà Virtuale ha ottenuto successi soprattutto come strumento di simulazione e addestramento e in generale come strumento per l’impresa, settore in cui lavora AnotheReality di Fabio Mosca e su cui sta ora puntando anche Oculus con un nuovo programma “Oculus for Business.” Lidia Yatluk lavora come instructional designer per prodotti in Realtà Virtuale e Aumentata indirizzata all’educazione e all’impresa presso Modum Lab a San Pietroburgo. Il suo compito è trovare il modo più efficace, e più interessante, per insegnare e far passare contenuti attraverso la progettazione di sfide e compiti. Anche lei, tra l’altro, ci ha detto di apprezzare particolarmente l’Oculus Quest. “L’aspetto educativo può essere diviso in due parti”, ci ha spiegato Yatluk. “La nostra area principale è l’addestramento pratico, per insegnare ai dipendenti cosa fare, per esempio, in caso di un allarme d’incendio. È difficile fare questo in una fabbrica reale: non è sicuro, e quello che ne viene fuori è più un gioco. In Realtà Virtuale sei realmente immerso nel luogo e nella situazione: vedi fuoco, fumo, senti urla. Poi c’è l’uso della VR per educare all’uso di sistemi difficili o costosi. Per esempio, una compagnia che produce farmaci e ha bioreattori dove vengono coltivati microrganismi non può dare al nuovo personale l’opportunità di addestrarsi con un bioreattore reale”.
“Uno dei nostri progetti combina l’elaborazione del linguaggio con la Realtà Virtuale per creare simulazioni di dialogo”, ha continuato Yatluk. “Ti metti di fronte a un avatar e parli con lui/lei a proposito di specifici argomenti e l’avatar reagisce basandosi su come parli. Non sappiamo ancora creare avatar davvero realistici, ma la Realtà Virtuale è tanto immersiva che puoi sentire la presenza di un personaggio anche senza questo realismo”.
DALLA PROMOZIONE ALLO SMART WORKING
Un altro uso diffuso della Realtà Virtuale è la promozione e l’illustrazione di prodotti. “Usiamo la Realtà Virtuale per creare showroom VR, che sono incredibilmente popolari ovunque, soprattutto in Russia”, ci ha detto Yatluk. “Per esempio, usiamo la Realtà Virtuale per vendere case che non sono ancora state costruite. L’obiettivo è venderti emozioni, farti provare come staresti in un appartamento, e per questo gli sviluppatori usano la Realtà Virtuale come un sistema immersivo per creare specifiche narrazioni che evochino l’idea di casa. Oppure puoi vedere come sarà un mobile o un elettrodomestico, e con la Realtà Virtuale puoi avvertirne realmente la dimensione”.
Normalmente, la Realtà Virtuale viene descritta come “isolante,” come un’esperienza non sociale e non comune. Ancora a fine 2019, Phil Spencer, capo della divisione di Microsoft che si occupa della console Xbox, ha esplicitamente citato queste ragioni spiegando perché la prossima console della compagnia, Xbox Series X, non sarà dedicata alla VR. Oggi, durante la pandemia di COVID-19, la Realtà Virtuale potrebbe però dimostrarsi molto più sociale di come è stata raccontata in passato. “L’esperienza di gruppo all’interno della Realtà Virtuale è, a mio avviso, capace di portare molta più vicinanza ed empatia rispetto a quello che abbiamo con videochiamate e social network”, ci ha detto Antonelli. “La Realtà Virtuale non è capace di sostituire ancora completamente la presenza reale, ma in parte già ci riesce. Non è uno strumento che isola, isola solo se lo usi in un’esperienza che non ti mette in relazione con gli altri. Ma quando ti metto in relazione con gli altri ecco che è un’esperienza che ti dà tante cose che non possono darti i social network.”
“Ora è diventato un tema attuale quello dello smart working e della collaborazione remota”, ha aggiunto Mosca. “Noi avevamo lavorato a soluzioni di collaborazione remota, niente di nuovo per chi già conosce il settore: spazi in Realtà Virtuale in cui entri e in cui interagisci con altre persone quasi come tu fossi realmente con loro, hai il linguaggio del corpo e tutto il resto. Fino a mesi fa questa era una nicchia, improvvisamente c’è una grande richiesta di mercato. […] È facile che la Realtà Virtuale abbia un rilancio in questa situazione. Per gli eventi pianificati nel 2020 tutti stanno progettando alternative o in digitale o in Realtà Virtuale. La tecnologia c’era già, le soluzioni c’erano già, ma la crisi sta spingendo la società ad abbracciarle”.
‒ Matteo Lupetti
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