Quale ripartenza per i musei italiani? Analisi e strategie di Abbonamento Musei
L’associazione, attiva sul territorio di Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, ha messo a punto una strategia per affiancare le nuove sfide che si pongono per i musei in questa fase delicata. L’intervista alla direttrice Simona Ricci.
Il 18 maggio è la data fissata (se tutto andrà bene) per la riapertura dei musei. Tuttavia, sappiamo che non basta “riaprire” per cancellare tutte le criticità causate da questi mesi di lockdown. I musei, a partire dai prossimi mesi in particolare, dovranno affrontare ristrettezze, difficoltà economiche, modalità di gestione da rivedere in toto. In questa direzione sta lavorando anche l’associazione Abbonamento Musei – che ha da poco compiuto 25 anni – il network di istituzioni culturali che agisce sui territori di Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, con centinaia di migliaia di abbonati che possono accedere gratuitamente a quasi 500 musei in tutto. Se prima la fidelizzazione del pubblico era una strategia molto favorevole per i musei, quali sono i vantaggi che si possono trarre anche in questa situazione emergenziale? Abbiamo chiacchierato con la direttrice di Abbonamento Musei Simona Ricci, che ha analizzato la situazione presente e ci ha parlato delle strategie messe in atto dall’associazione per affiancare i musei in questo delicatissimo periodo.
Qual è il punto di partenza da cui avete iniziato a ragionare?
È stato il nostro pubblico, che conta 160 mila persone totali nelle tre regioni, con altissimi tassi di fidelizzazione. È un pubblico appassionato, che siamo convinti possa essere uno dei primi a ripartire quando ci saranno le condizioni adatte.
Qual è stata l’attività di Abbonamento Musei durante queste settimane di chiusura totale dei musei?
Abbiamo lavorato per tenere costante la comunicazione con gli abbonati, raccontando loro tutte le iniziative digitali dei musei ma anche sperimentando visite guidate virtuali vere e proprie.
Ovvero?
Abbiamo creato dei gruppi di abbonati che si collegano a queste piattaforme di condivisione con una guida, facendo un percorso di visita attraverso Google Arts & Culture. Ha funzionato! L’abbiamo fatto al Poldi Pezzoli, HangarBicocca, Reggia di Venaria, lo faremo con il Museo Diocesano e con la GAM di Torino.
Qual è, secondo voi, la prima strategia da applicare riguardo alla ripartenza dei musei?
Immaginando che questa ripartenza possa avvenire nella tarda primavera, vorremmo puntare inizialmente su tutti quei musei che hanno spazi all’aperto, che sono tanti. Parliamo di siti che già da prima erano integrati nella nostra offerta, come giardini, residenze con parchi attorno, siti archeologici all’aperto. Dal Parco delle Incisioni Rupestri in Val Camonica alla Villa Reale di Monza al giardino della Triennale di Milano (che sta pensando già a delle attività ad hoc per sfruttare questa potenzialità).
È un bel punto di (ri)partenza. Unire l’attività culturale a uno spazio aperto può essere di grande aiuto anche sul piano psicologico, dopo mesi di isolamento e quarantena.
Esatto. Naturalmente nessuno di noi si immagina che il giorno della riapertura sia il momento in cui si torna alla vita normale, ma neanche come predisposizione psicologica. Le persone avranno bisogno di tempo per metabolizzare una modalità di vita pubblica diversa. L’importante è cominciare a muoverci, un passo per volta.
C’è qualcosa che cambierà nel vostro modo di far fruire il patrimonio artistico?
Ad esempio, avevamo iniziato già dall’anno scorso a fare visite itineranti sul territorio per gli abbonati, compresi di pullman e guida. Oggi, non sapendo quando questa modalità sarà di nuovo praticabile, vogliamo dare l’opportunità di fare in autonomia questi percorsi e sostituire la guida con dei podcast che gli abbonati potranno scaricare e ascoltare liberamente durante la visita. Ad ogni modo, quello che vogliamo è non farci trovare impreparati nel momento in cui i musei saranno riaperti, offrendo delle alternative valide.
Veniamo alla questione musei. Come vi state confrontando con loro sul tema della riapertura?
Continueremo a supportarli soprattutto sul piano della comunicazione. Quello che cercheremo di fare è metterci al servizio nella raccolta di informazioni che serviranno al pubblico per fruire degli spazi.
Ad esempio?
Questo può comprendere cambiamenti sulle modalità di accesso (come le entrate modificate, l’accesso contingentato), o sui servizi erogati. Informeremo i visitatori attraverso delle schede preparate ad hoc per ogni museo e accessibili sul nostro sito. Un lavoro di sistema che non è nuovo per noi, ma va esattamente nel solco della mission dell’associazione e si adatta alle esigenze del presente.
Esistono però anche tante criticità. A spaventare i musei è, ad esempio, il tema della sostenibilità, oppure quello dei visitatori. Basterà il pubblico “locale” a far tornare le istituzioni al tenore di una volta?
Sicuramente è una preoccupazione molto forte e diffusa. Soprattutto per quei musei che erano posizionati molto bene sul fronte turistico o sul target scuole. “Ripiegare” su un pubblico locale non è un problema di tipo qualitativo, poiché è un pubblico che può dare grandissime soddisfazioni, ma certo in termini quantitativi riduce drasticamente gli accessi.
Quindi, che fare?
Sicuramente le mostre rispetto alle collezioni permanenti dei musei presentano delle criticità in più, poiché hanno dei costi che devono essere ottimizzati e massimizzati in un lasso di tempo definito. Da quello che abbiamo visto in questi mesi, chi poteva annullare le mostre lo ha fatto; anche solo il fatto di sapere che la riapertura comporterà capienze dimezzate o fortemente ridotte significa che tutti i budget, i bilanci e il calcolo dei costi saltano. È un problema molto complesso. Anche per questo, dato che molti dei nostri musei hanno grandi e meravigliose collezioni permanenti, ne faranno un punto di partenza fondamentale.
Gli effetti della crisi sui musei si avvertiranno forse più concretamente a partire dai prossimi mesi?
Sappiamo tutti che questi mesi persi sono i più importanti dal punto di vista dell’affluenza. Pensiamo ai flussi turistici legati alla stagionalità dei ponti della primavera, che coinvolge soprattutto le città. Le mostre di solito vengono aperte a marzo e si chiudono a giugno, questa è la stagionalità del primo semestre. Fisiologicamente, il periodo verso cui andiamo è di minore affluenza di visitatori, e c’è la consapevolezza da parte di tutti che non si potranno recuperare i mesi persi. Magari, però, questo sarà il momento di approfittarne per controllare l’andamento e “aggiustare il tiro”, per riorganizzare in modo ottimale le attività culturali.
– Giulia Ronchi
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