Messaggi dalla quarantena # 5. Il cambiamento, lo spirituale, il mondo che verrà
Anche stavolta un gruppo di artisti ‒ Lao Gabrielli, Giacomo Rizzo, Danilo Torre, Filippo La Vaccara e Daniele Cascone ‒ esprime le proprie opinioni sui temi e i sentimenti suscitati dalla quarantena.
Dopo un evento così sconvolgente, cosa succederà? Molto spesso in questi giorni ci si rivolge alla scienza, alla religione, a riflessioni individuali e collettive su quello che accadrà “dopo”. Noi ci appelliamo all’arte e la quinta puntata della nostra rubrica la dedichiamo al mondo che verrà. Tanti artisti hanno provato a immaginare il futuro prossimo, hanno ispirato ad altri una visione o un cambio di rotta, hanno affrontato il tema della rivoluzione, dell’evoluzione, dello spirituale nell’arte. Lao Gabrielli lo inscrive dentro ai suoi mandala e alle sue geometrie. Giacomo Rizzo lo cristallizza nelle sue sculture. Danilo Torre lo proietta come monito sulla città distopica. Filippo La Vaccara lo ascolta dentro alle sue creature animali. Daniele Cascone nella memoria dei nostri anziani ‒ che in questi giorni abbiamo visto cadere come foglie d’un autunno fuori stagione ‒ e di un ritorno a noi, alle origini, oltre la maschera, per una nuova evoluzione della specie.
‒ Mercedes Auteri
LE PUNTATE PRECEDENTI
Messaggi artistici dalla quarantena #1. Paesaggio senza figura
Messaggi artistici dalla quarantena #2. Il trauma, il lutto, il dolore
Messaggi dalla quarantena #3. Oggetti inanimati e natura morta
Messaggi dalla quarantena #4. Noi e gli altri, il desiderio dell’altro lontano, la nostalgia
LAO GABRIELLI
Questo periodo di quarantena in tutto il mondo ci regala un tempo congeniale all’introspezione, alla riflessione, alla pausa. Un tempo adatto a fermare e riordinare le nostre vite, i nostri valori e creare un mondo con maggiore consapevolezza, individuale e globale. Il pianeta in cui abitiamo appartiene a tutti noi e diventare consapevoli e generare cambiamenti positivi per il bene di tutti è qualcosa che dobbiamo riconoscere nelle nostre mani.
Nell’opera Escarapela, “coccarda”, ho scelto di lavorare su uno dei simboli nazionali del mio luogo di origine, l’Argentina. Il bicolore blu-azzurro e bianco è quello della bandiera. In questi giorni di nostalgia della mia terra, ha attirato la mia attenzione per la sua sintesi, per la semplicità dei suoi colori e la sua geometria essenziale dei cerchi. È un modo di essere vicina, presente, alla mia terra d’origine che ho lasciato molti anni fa per venire a vivere in Messico.
L’opera Juego de espejos invece è del 2020 e propone un gioco ottico. Lo spettro visibile è quello elettromagnetico spiegato da Newton e da Goethe nelle loro teorie dei colori. Utilizzo spesso rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco e viola dispersi e raggruppati sul piano bidimensionale, come fotoni di luce che si incrociano. I colori ci trasmettono alte vibrazioni ed energia, per questo è molto importante per me continuare a lavorare con il colore, la geometria e la loro influenza visiva sullo spettatore, sperando di generare benessere, gioia, equilibrio, pace e armonia, una connessione con un universo positivo, sano e puro, per trasmettere luce al nostro pianeta.
GIACOMO RIZZO
Il mio lavoro nasce spesso da una riflessione contro l’eccesso di edilizia e il cambiamento climatico. Un grido per la salvaguardia dell’ambiente, da cui dipendono la protezione e il futuro della nostra vita. Respiro, per esempio, è un’opera aperta che genera un movimento dialettico tra la scultura e lo spazio che la ospita, per dare vita a un concetto circolare ed emozionale dove tutti prendono atto e contribuiscono alla formazione di nuovi significati. Alzando lo sguardo su tutto, materia, figure, sinestesie, Respiro testimonia un paesaggio e un racconto in un determinato tempo che si fa memoria. Il luogo scelto come set è un luogo del cuore per l’artista, si tratta del Monte Pellegrino, la montagna sacra di Palermo, luogo che fu il rifugio della sua Patrona Santa Rosalia. Ho tentato di strappare una fetta di quella sacralità, per riconsegnarla sotto forma di scultura. Anche in Where is your nature? tramite un ribaltamento di percezione visiva e concettuale, immagino la forza del paesaggio che ha recuperato il suo spazio e generato il proprio equilibrio, creando forme frattali che si moltiplicano all’infinito. Simile al corallo o ai tentacoli, l’organico avvolge le geometrie delle città. Un paradosso pensare la natura come una sorta di virus di bellezza, che, moltiplicandosi, prenda campo, fino a riappropriarsi del mondo e generando a sua volta nuova vita.
DANILO TORRE
Quelle che abbiamo scelto sono due opere che hanno in comune molte cose. Entrambe affrontano il tema del tempo, della città e della distopia che fino a qualche giorno fa riempiva solo i film di fantascienza e ora ha riempito la realtà. Planet A è un’opera (videomapping) site specific realizzata per Gibellina Photoroad e ha come tema l’impossibilità di ricavare un pianeta B, un pianeta di riserva, anche se la sfera abside della Chiesa Madre di Quaroni ci suggerisce la creazione di un nuovo pianeta. Al momento però il pianeta è uno soltanto e le tecnologie non ci permettono di trovarne uno nuovo, come consiglia Stephen Hawking, quindi sarà meglio trattarlo bene prima che ci si rivolti contro. In The Backward Of Time, invece, con gli strumenti del documentario viaggio nella città di Milano in un tempo indefinito. Al centro del film c’è lo scorrere del tempo o meglio dello spaziotempo ondivago. Milano, la città che continua a costruire palazzi su un modello economico ormai tramontato, vive di uno splendore appariscente, la modernità abbaglia gli uomini ma sotto nasconde un pericolo. I sette palazzi celesti di Kiefer custoditi in un noto museo milanese, l’HangarBicocca, rappresentano in questo film un futuro possibile fatto di rovine, come se i sette palazzi fossero stati in un passato ipotetico i grattaceli della modernità.
FILIPPO LA VACCARA
Un gruppo di persone trova riparo sotto l’ombra di una mucca. Il dipinto nasce da suggestioni ricavate da viaggi in zone rurali dell’India. Se l’uomo rispetta e protegge la mucca, la mucca rispetterà e proteggerà l’uomo. Questa potrebbe essere la versione buffa di in un principio della millenaria cultura indiana (che buffo non è) secondo il quale “se l’uomo rispetta il Dharma (cioè pratica la corretta azione) il Dharma proteggerà l’uomo”. Nella cultura occidentale, invece, la mucca serve per soddisfare quella che è considerata una necessità alimentare, la creatura fa parte di un importante processo produttivo industrializzato che deve soddisfare le esigenze e le richieste del mercato fino all’eccesso, causando uno dei maggiori danni ambientali esistenti in termini anche d’inquinamento.
A me capita spesso di mettere su un piedistallo la figura di un animale, scultura o pittura che sia, lo pongo al centro di una questione che per me è morale, esistenziale. Nella scultura che propongo, questo grande uccello bianco ha gli occhi chiusi, il nostro sguardo non può penetrare la profondità del personaggio che si pone essenzialmente come un involucro. Noi siamo vigili dinanzi a lui e possiamo decidere di attaccare o di rimanere in pace con la figura che ci sta d’avanti. Gli occhi chiusi del soggetto (dorme?) imporrebbero, secondo l’etica, di non assalirlo mentre è indifeso. Gli occhi chiusi richiederebbero un’attesa da parte nostra. Un’attesa fatta di riflessione. Riteniamo un nostro diritto catturare, torturare e sopprimere gli animali per quelle che sono considerate esigenze primarie, ma credo che l’epidemia di questi giorni dovrebbe costringerci a rivedere molte abitudini, avendoci messo davanti a grandissimi disequilibri che noi stessi abbiamo generato.
DANIELE CASCONE
Due paia di mani, le prime appartenenti a una donna e le altre a un uomo, analizzano e dispongono delle fotografie di antenati su un tavolo. Una voce femminile pone delle domande sull’identità dei soggetti, un’altra maschile risponde in modo confuso, tentando di trovare una connessione tra quelle persone ormai dimenticate. A metà tra un flusso di coscienza e un ragionamento filosofico sulla memoria perduta, Chi sei? è soprattutto un corto sul ruolo che la fotografia ha nella costruzione della nostra storia provvisoria e su come abbia modificato, nell’uomo moderno, la percezione di sé e di chi è esistito prima.
Homo sapiens sapiens II è una foto realizzata anni fa, appartenente a una mini-serie. Come altre di quel periodo, è una fotografia ambientata in una stanza spoglia e dismessa, dove una figura anonima interagisce con degli oggetti che assumono il ruolo di simboli. I temi sono l’uomo, la sua esistenza, il subconscio.
Come altri che operano nel mondo della cultura, ho dovuto annullare diversi eventi espositivi, tuttavia la gravità della situazione ha fatto passare in secondo piano questi imprevisti. Nel mio isolamento ho la fortuna di avere vicini lo studio, nello stesso edificio in cui abito, e un piccolo orto privato. Così, pur segregato in casa, ho degli spazi dove poter passare le giornate. Le mie opere sono incentrate sulla figura umana, di conseguenza gran parte della mia produzione si è arrestata. Sono comunque riuscito a trovare, in questa reclusione forzata, degli aspetti positivi: l’isolamento mi ha portato un modo di vivere più rilassato; mai come ora ho fatto così tanto ordine, sia dal punto di vista materiale che mentale. Ho inoltre indirizzato il mio sguardo altrove, lavorando a serie minore di opere, che aspettavano da tempo di esser completate. Esploro tecniche diverse, elaboro nuove idee e progetto con calma ciò che dovrò realizzare. Nel mondo che verrà dovremo lasciare meno spazio all’improvvisazione e ponderare meglio ogni scelta.
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