Giovani artisti e quarantena. Parola ad Antonio Della Guardia
Su cosa stanno lavorando da casa i giovani artisti, in questa fase di transizione? La crisi al tempo della crisi, tra comunicazione, curatela e follower. Questa volta è il turno di Antonio Della Guardia.
Durante questi mesi di lockdown abbiamo conosciuto uno degli esempi più nobili ed efficaci della comunicazione digitale, come quello di Radio GAMeC e di altre iniziative social realizzate da musei, fondazioni, riviste e gallerie.
Nella corsa compulsiva alle dirette o a questo o a quell’altro evento, promosso anche da chi, in questi mesi si è affacciato per la prima volta all’universo dei social media, il mondo della comunicazione dell’arte ha trovato delle riflessioni e degli spunti di condivisione, che hanno arricchito l’offerta culturale dell’ultimo periodo, come nel caso di 2 minuti di MAMbo e I Speak Contemporary della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. In un’epoca in cui l’estetica della comunicazione ha il sopravvento sulle dinamiche dell’arte, siamo consapevoli che la crisi del contemporaneo è attribuita anche all’assenza di massa critica, e all’oramai consolidata e frivola tendenza curatoriale che premia in numeri di follower, like e riduce la ricerca artistica e curatoriale a una mera operazione pubblicitaria e propagandistica. Insomma sembra che il peggio di quel mondo patinato che eravamo abituati a vedere e intravedere durante gli opening, grazie al COVID abbia trovato una stabile collocazione esclusivamente virtuale. Prima di ripartire e provare a ricercare quel sostegno critico che manca alla nostra generazione, dovremmo ritrovare il rispetto per la disciplina, sporcarci le mani, credere nel lavoro degli artisti emergenti e imparare quanto più possibile dai 5 comandamenti di Germano Celant, pubblicati nell’intensa testimonianza di Francesca Cattoi proprio qualche giorno fa su Artribune.
DA SALERNO ANTONIO DELLA GUARDIA
Antonio Della Guardia (Salerno, 1990) spiega: “Passo le prime ore della giornata a chiamare amici e amiche per mantenere in allenamento i pensieri e riflettere su come umanamente si possa fronteggiare l’ennesima crisi. Le restanti, invece, le impiego nel portare avanti delle ricerche iniziate nel 2019 a Kiev, durante la mostra ‘The corrosion of charachter, l’uomo flessibile’, curata da Alessandra Troncone e Kateryna Filyuk alla Fondazione Izolyatsia. Gli studi partono dall’analisi di alcune operazioni motorie teorizzate da William Horatio Bates e che accuratamente sto riformulando per definirle ‘tecniche di evasioni’. Delle forme di processualità che mirano ad aprire delle parentesi temporali di emancipazione, in cui la vista, essendo quotidianamente in tensione a causa dalla routine lavorativa dei dispositivi digitali, si riappropria della sua vera natura di guardare a lunghe distanze. Il progetto doveva concretizzarsi il mese scorso, in una mostra personale curata da Vasco Forconi all’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma e attualmente è in attesa di una nuova data”.
In questo periodo qual è il valore dell’arte contemporanea?
La pandemia, nel nostro Paese, ha decretato che i lavoratori e le lavoratrici dell’arte contemporanea sono soltanto delle presenze fantasma che si dimenano in un recinto culturale ritenuto altrettanto evanescente. L’improvviso stacco ha portato alla luce i tanti problemi che precedentemente si trascinavano e che molte volte si cercava di nascondere. Di risposta a questa avvilente situazione, ora che i piedistalli sono momentaneamente caduti e tutti toccano la terra arida dell’estinzione, sembra emergere la cognizione di un’effettiva tutela. Le intenzioni, nate, lo si auspica, da una esigenza comune, si stanno mostrando più che mai direzionate ad avere dei diritti a un’esistenza riconosciuta e non più astratta. Il crescente mobilitarsi di diversi gruppi attivi da anni e l’ultimo nato AWI (Art Workers Italia) lo testimoniano, per questo spero che lo spirito di determinazione continui e si concretizzi presto nelle trame della realtà.
Quando ritorneremo alla normalità, la comunità riuscirà a fare tesoro delle difficoltà del momento?
Vivere il periodo di pausa non è per niente uguale per tutti, ma credo che in fondo le preoccupazioni sulla fragilità dell’esistenza umana e naturale al momento vengono avvertite dalla maggior parte della gente. Questo pensiero mi sprona a convincermi che la consapevolezza della situazione attuale e futura non sarà soltanto volta a dei continui scopi individuali, ma all’apertura di una volontà collettiva di responsabilità, da tempo svanita. Non so questo “comune” animo quanto durerà, ma so di certo che in questo momento bisogna a piccoli passi ritornare a lavorare su se stessi per lavorare sul mondo, cercando di rompere l’opprimente linearità dei tempi passati.
‒ Giuseppe Amedeo Arnesano
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