Laboratorio illustratori. Walter Larteri
Parola a Walter Larteri, interessato a combinare le dinamiche dell’architettura con quelle della illustrazione.
31enne genovese, Walter Larteri è il nuovo protagonista della rubrica di illustrazione. Amante dello studio e dei viaggi, si identifica con la figura romantica dell’architetto e dei suoi ideali umanistici. Simmetria, rigorosa sintesi e inquadrature cinematografiche, unite a una sorta di decorativismo dal gusto antico, sono congeniali a riflettere sul ruolo dell’architetto all’interno della società e a indagare in quale modo l’architettura viene percepita dai più. Con l’obiettivo di una linea grafica che lo accosti a quella dei taccuini di viaggio d’altri tempi.
Descriviti con tre aggettivi.
Introverso, testardo, lunatico.
Qual è la tua formazione?
Accademicamente ho frequentato l’Università degli studi di Genova, laurea magistrale in Architettura. Lavorativamente, dopo la laurea sentivo il bisogno di nuovi stimoli e punti di vista: ho iniziato così un periodo di spostamenti che è durato quattro anni, durante i quali ho avuto la possibilità di lavorare a Parigi, Innsbruck e Lisbona.
E i modelli di riferimento?
Sono molti e in un certo senso disparati. La base è sempre riferita all’architettura, in cui mi sento molto vicino alla “poetica” di Aires Mateus, Peter Zumthor e Barozzi/Veiga. La loro “monumentalità sentimentale”, intesa come una condizione di “equilibrio tra la specificità di un luogo e l’autonomia della forma” architettonica, mi ha sempre affascinato. Per quanto riguarda le illustrazioni, cerco anche riferimenti dal cinema che ha fatto della simmetria uno dei suoi principali fondamenti, così come l’architettura. Chi riesce a combinare perfettamente questi due elementi è Wes Anderson. La sua ossessione per la simmetria con il tentativo di ricercare inquadrature perfette dove il personaggio o l’oggetto si colloca esattamente al centro, il tutto incorniciato dalla bellezza decorativa di un tempo, è sicuramente uno dei riferimenti più forti per me, e senza dubbio per la nuova generazione di architetti.
Definisci il processo creativo di una tua illustrazione.
Le illustrazioni rispecchiano due aspetti per me molto cari: il viaggio e lo studio. Mi piace organizzare i miei viaggi in funzione di quello che posso vedere, di conseguenza molte delle illustrazioni sono “appunti” di viaggio o, in alcuni casi, programmi per il futuro. Quando procedo con le illustrazioni, cerco di capire le proporzioni tra i vari elementi, come la luce colpisce le superfici, il rapporto tra pieni e nuovi. Evidentemente non sono aspetti nuovi, ma il tentativo di capire l’edificio che ho davanti mi aiuta a sintetizzarne le forme, i tratti e la palette da utilizzare.
In che modo l’architettura influenza l’ambito illustrativo?
Il concetto di contaminazione fra architettura e arti plastiche e figurative è molto antico. Molti sono gli esempi del passato che ci presentano figure di architetto-artista, un esempio fra tutti Michelangelo, come peraltro non è nuovo, per l’artista puro, cimentarsi nella progettazione dello spazio architettonico o urbano, o per l’architetto essere coinvolto dalle indagini della ricerca artistica a lui contemporanea, dalla quale trarre suggestioni culturali. Le rappresentazioni dei linguaggi visivi sono il frutto di contaminazioni che avvengono su diversi livelli e in più direzioni. Spesso le ricerche artistiche più significative hanno anticipato o influenzato il mondo del design, dell’architettura, della comunicazione.
Qual è il ruolo precipuo dell’architettura in questo scenario?
Oggi l’architettura moderna è estremamente attenta alle relazioni con il contesto mediatico e sociale, mediando da essa graduali e significative modificazioni nell’approccio alla progettazione, la quale, se da un lato è sempre più spesso transdisciplinare e ibrida, dall’altro è sempre meno coerente, almeno nelle apparenze, e sempre meno definita sia nella forma che nelle funzioni. Grazie a questa mediazione, l’architettura è diventata così lo specchio di una società culturalmente e socialmente diversificata, dove il divenire compulso delle immagini del quotidiano ha condotto le forme espressive verso il provvisorio, introducendo, come naturale conseguenza, l’idea che per architettura si intenda non solo il costruito e l’abitato, ma anche il temporaneo, il precario, l’instabile, l’effimero.
L’ultimo libro letto e l’ultimo film visto.
Chi manda le onde di Fabio Genovesi e Jojo Rabbit di Taika Waititi.
Cosa ti piacerebbe illustrare?
Sarebbe emozionante illustrare la copertina di Domus e del New Yorker.
Da dove trae origine la tua ricerca e in quale direzione si orienta?
Tutto nasce da una consapevolezza: l’architettura non interessa più a nessuno. L’enorme disinformazione in Italia, e sempre più spesso in Europa, che esiste nei confronti di questa disciplina genera architetti disorientati, spinti a coltivare una pura professionalità, a saper corrispondere alle esigenze del committente, oppure ad avere una formazione figurativa stravagante e capace di essere attraente. Legato alla figura romantica dell’architetto capace di rispecchiare quei valori umanistici che lo hanno caratterizzato per secoli, cerco di raccontare a modo mio questa figura di architetto e il suo ruolo chiave nella società.
A cosa lavori in questo frangente e quali sono i progetti per il futuro?
Il percorso che sto seguendo è quello di calibrare questa espressività legata al progetto di architettura. Sinteticamente, sto cercando di tradurre la comunicazione dei progetti che sviluppo con questo tipo di linea grafica. Per il futuro ho in programma di sviluppare degli itinerari di architettura: un focus su una città o su un architetto con un percorso ideale, allegando a una mappa le illustrazioni. L’obiettivo è raccontare l’architettura non solo a chi se ne occupa, ma anche a chi la vive tutti giorni senza rendersene conto.
‒ Roberta Vanali
Versione estesa dell’articolo pubblicato su Artribune Magazine #54
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