La demolizione del Teatro Nazionale di Tirana secondo l’architetto Ledian Bregasi
Architetto attivo in Albania, Ledian Bregasi fa il punto sulla demolizione del Teatro Nazionale di Tirana, avvenuta lo scorso 17 maggio.
Alle prime luci dell’alba di domenica 17 maggio i colpi delle ruspe si sono abbattuti inesorabili sul Teatro Nazionale di Tirana, l’edificio intorno al quale negli ultimi anni si sono concentrati alcuni dei maggiori dibattiti che hanno visto coinvolta la comunità degli architetti albanesi. Inaugurato nel 1938 e progettato dall’ingegner Giulio Bertè per la ditta Pater-Costruzioni Edili Speciali di Milano, il teatro, oltre a essere il simbolo di una Albania che voleva distaccarsi da una società prettamente rurale per abbracciare il sogno della modernità, era ancora uno degli spazi pubblici più vitali della capitale albanese anche grazie al suo originale cortile che riusciva a catalizzarne i flussi e le energie.
Anche in Italia si è parlato molto dell’evento, ma raramente è stato chiesto ai diretti interessati, gli architetti albanesi, quale fosse il loro pensiero sulla questione. Per questo motivo abbiamo raggiunto il professor Ledian Bregasi, architetto e dottore di ricerca alla Sapienza di Roma, e attualmente Dean della facoltà di architettura alla POLIS University di Tirana e direttore dell’AUA (l’Unione Albanese degli Architetti), per avere il punto di vista di chi in Albania opera professionalmente e accademicamente.
L’INTERVISTA A LEDIAN BREGASI
In Italia negli ultimi giorni si è parlato molto della distruzione del Teatro Nazionale di Tirana. Da quello che è sembrato di capire, la sua scomparsa è solamente l’epifania di una vicenda lunga e complessa. Potrebbe riassumere alcuni dei momenti fondamentali che hanno condotto fino agli eventi di domenica notte?
La vicenda è in realtà complessa e ogni semplificazione rischia di tralasciare fatti importanti. L’edificio del Teatro Nazionale ha avuto seri problemi di manutenzione durante gli ultimi vent’anni, con momenti memorabili come l’apertura di una sala bingo al suo interno. Le condizioni di lavoro che peggioravano di anno in anno hanno portato una parte degli artisti a chiedere il restauro e il miglioramento degli spazi dell’edificio. Intanto, il Teatro Nazionale occupa uno dei terreni più costosi del centro di Tirana, quindi un imprenditore locale fa alle autorità un’offerta non richiesta di partnership pubblica e privata dove propone di costruire un teatro nuovo, con condizioni migliori di quello vecchio e che occupa meno spazio del prezioso terreno. In cambio vuole il permesso per costruire nella stessa area sette torri di abitazioni, uffici e spazi commerciali (il numero esatto non ci è dato saperlo visto che il progetto non è mai stato pubblicato). Il progetto viene redatto e presentato in persona da Bjarke Ingels.
Cosa successe poi?
A questo punto la narrazione dell’autorità evita ogni questione complessa come il bene pubblico o l’importanza della memoria in una città che perde ogni giorno pezzi di eredità culturale, diventando semplicista e proponendo solo due semplici posizioni: o si è per il progresso, il bello, il nuovo, l’opera dell’archistar che tutto il mondo ci invidierà e quindi si è per la demolizione del Teatro Nazionale, altrimenti si è un arretrato, un provinciale che comunque cambierà idea appena vedrà il nuovo teatro. La situazione rimane in stallo per due anni, durante i quali l’autorità emana una serie di leggi speciali e provvedimenti ad hoc per aggirare ogni ostacolo legale alla demolizione e un gruppo di artisti e attivisti occupa il teatro, fino alle quattro del mattino del 17 maggio.
Una cospicua parte degli architetti albanesi reclama a gran voce la ricostruzione del Teatro “com’era, dov’era”, seguendo la teoria del restauro di Cesare Brandi che riconosceva questa possibilità nel caso di edifici che rispondessero non solamente a una istanza storica o estetica ma soprattutto a una psicologica. Cosa pensa di questa eventualità e quanto in questo modo sarebbe possibile ridare alla città di Tirana ciò che ha recentemente perduto?
Il Teatro Nazionale non è stato distrutto dall’intervento di fattori naturali o imprevedibili, ma è stato demolito deliberatamente anche se l’opera d’arte era riconosciuta come tale nella coscienza collettiva. Quindi, anche se la ricostruzione “com’era, dov’era” è possibile, anzi auspicabile, rimane poco probabile se non si prende coscienza che l’attuale modello di sviluppo della città, basato solo sul consumo dello spazio, del tempo e della stessa architettura, edulcorato dalla firma di grandi archistar, paradossalmente porterà a un appiattimento culturale che renderà Tirana meno vivibile per i suoi cittadini e meno rilevante in un contesto internazionale.
La distruzione del Teatro sembra un fattore inspiegabile se guardato quale caso isolato, ma quanto tutto ciò è parte di un piano di trasformazione che sembra negare al tempo stesso l’immagine originale della città?
Negli ultimi anni abbiamo perso anche lo storico Stadio Nazionale seguendo le stesse modalità usate nel caso del Teatro Nazionale. Al suo posto oggi abbiamo un nuovissimo centro commerciale e una torre di uffici costruiti in partnership pubblico privato e firmati da un noto architetto italiano, intorno a un campo da calcio. La federazione risponde alle lamentele sui rincari dei biglietti dichiarando che il calcio non è un gioco per poveracci, mentre il nome dello stadio lo può decidere lo sponsor che fa l’offerta più alta. È quindi grazie all’attuale modello di sviluppo, apparentemente l’unico possibile, che anche la città e l’architettura diventano sempre di più oggetti di consumo.
Per un architetto come lei, operante in Albania, qual è una strada percorribile per il futuro sviluppo dell’architettura nel Paese? Ciò che traspare in questo momento dall’esterno è la presenza di una grande vitalità che però non riesce a reificarsi in maniera coerente ma tramite episodi puntuali e discordanti. Quale potrebbe essere una soluzione efficace per contrastare questa tendenza e il ruolo degli architetti albanesi in questo scenario?
La situazione attuale potrebbe essere considerata una iperrealtà dove l’individuo si sente incapace di comprendere la vera natura delle trasformazioni che subisce. Gli architetti possono quindi o diventare strumenti dell’unico modello vincente o ritirarsi a un attivismo senza sbocchi professionali. Nonostante ciò l’architettura ha anche saputo emancipare la società e gli architetti riescono a creare il futuro grazie al progetto. Tirana è una città complessa, dove quasi mai si è riusciti a imporre dall’alto l’ordine e la forma urbana che al contrario sono stati sempre il risultato di ripetuti conflitti e mediazioni. Ed è proprio in questo equilibrio instabile che risiede la resilienza che questa città dimostra di possedere quando affronta le innumerevoli crisi economiche e sociali del passato. E sono proprio queste qualità che emergono dalle realtà complesse gli strumenti che molti giovani architetti stanno costruendo e adoperando per offrire modelli alternativi alla banalità del consumo dell’archistar di turno.
‒ Valerio Perna
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