Messaggi dalla quarantena #7. Il risveglio della natura
Sei artisti raccontano la loro esperienza della quarantena focalizzandosi sul ruolo, sempre più bistrattato, della natura nella vita dell’uomo.
Da quando stiamo chiusi in casa, gli animali hanno ripreso molti degli spazi che avevamo sottratto loro. Gli alberi respirano meglio e i fiumi tornano a scorrere trasparenti verso i mari. Tanti artisti hanno denunciato l’irresponsabilità dell’uomo nella questione climatica, gli stessi o altri hanno sublimato la natura nelle loro opere. Noi ne abbiamo scelti alcuni, per continuare a parlare di ecologia politica, di educazione ambientale, di sguardi nuovi sui virus che, molto prima di questo, ci ammorbavano già da tempo. Un albero è un’esplosione lentissima di un seme, aveva scritto Bruno Munari. Perciò continuiamo a seminare. Oggi con Alice Grassi, Giulio Catelli, Carmen Cardillo, Filippo Leonardi, Gosia Turzeniecka, Filippo Armellin.
‒ Mercedes Auteri
LE PUNTATE PRECEDENTI
Messaggi artistici dalla quarantena #1. Paesaggio senza figura
Messaggi artistici dalla quarantena #2. Il trauma, il lutto, il dolore
Messaggi dalla quarantena #3. Oggetti inanimati e natura morta
Messaggi dalla quarantena #4. Noi e gli altri, il desiderio dell’altro lontano, la nostalgia
Messaggi dalla quarantena # 5. Il cambiamento, lo spirituale, il mondo che verrà
Messaggi dalla quarantena #6. La casa, gli interni, la comfort zone
ALICE GRASSI
Il mio ultimo progetto, adesso interrotto a causa del virus, nasce in Canada, dove vivo da alcuni anni. È un lavoro ancora in via di sviluppo, si tratta di una ricerca sul rapporto uomo-natura nel territorio della costa ovest, dove sto indagando sulle piante e il loro utilizzo. Alcuni di questi luoghi, oggetto del mio studio, sono di millenaria importanza. Impregnati di cultura e tradizione dei popoli nativi americani, sono l’esempio di un rapporto equilibrato tra uomo e ambiente, basato sul rispetto per la natura, ritenuta divina. Il luogo della foto che ho scelto per anticipare questo mio progetto appartiene tuttora ai nativi americani.
Il secondo, invece, nasce in Sicilia. A seguito di scambi commerciali internazionali nel nostro Paese, l’importazione incontrollata di piante ha diffuso un pericoloso insetto: il Punteruolo rosso. In Sicilia, esso, dopo una fase silente iniziata nel 2004, ha evidenziato la sua dannosità, causando la scomparsa di numerosi esemplari secolari di Phoenix Canariensis. Il paesaggio delle aree mediterranee è cambiato rapidamente a causa della morte di numerosissime palme, piante che hanno caratterizzato da secoli la tipicità del paesaggio mediterraneo. La natura muta con il cambiamento delle abitudini e dei comportamenti dell’uomo e la scomparsa dallo sguardo di un elemento essenziale della cultura mediterranea, la palma, un importante riferimento mitologico, simbolo di rinascita e dell’equilibrio tra la vita e la morte. Ciò che è accaduto allora alle palme, oggi accade a noi esseri umani, in tutto il mondo, attaccati da un nemico invisibile e ancora abbastanza sconosciuto. Ci siamo chiusi dentro le nostre case per difenderci, fuori tutto si è fermato, spazi urbani e naturali svuotati dalla presenza umana. Ma questi luoghi non sono vuoti, si stanno velocemente riempiendo e ripopolando di piante e animali. Qualcuno parla del restringimento del buco dell’ozono, qualcun altro della ripopolazione dei pesci; grazie anche alla primavera, sembra che quello che è per noi una tragedia, sia per il resto del pianeta un risveglio della natura.
GIULIO CATELLI
La mia pittura nasce come un diario visuale e si è rodata attraverso la pratica “en plein air”. La natura mi sorprende sempre. Le immagini che dipingo continuano ad avere una relazione strettissima in base ai luoghi e agli incontri: al vissuto. Un giorno, andando a Civita Castellana, da una curva mirabolante sulla via Flaminia fuoriusciva un paesaggio che ha finito per ossessionarmi. Ha agito la memoria dell’esempio di Corot e dei suoi viaggi per quelle stesse terre, così ho ripreso la pittura sul motivo. Il tufo, le macchie di verde sono ancora come li aveva dipinti il grande francese.
In queste settimane di quarantena sono riuscito a riprendere la pittura solo da pochi giorni. Con le belle giornate di sole, il rammarico di non poter uscire a dipingere all’aperto mi ha spinto a fissare una tavola sul bordo della finestra. Così riesco a sporgermi oltre il parapetto, a vedere la fine e l’inizio della strada vuota, le persone dalle finestre, il viale alberato, il volo degli uccelli.
In questi ultimi anni ho messo su una piccola serie di uccellini. Li dipingo talvolta in rapide soste o in volo, lanciati nello spazio. Non c’è creatura che mi affascini più dei volatili. Oggi dipingerli vuol dire avvicinarmi allo stato di grazia che a sprazzi il mondo ci espone. Sono forse frammenti di una decorazione parietale come li dipingevano i romani nella Villa di Livia, ma soprattutto stanno a significare un’aspirazione più profonda nella mia pratica di pittore, quella alla leggerezza e alla ricerca del vero spontaneo.
CARMEN CARDILLO
Il progetto Calamite pone l’attenzione sulla bellezza sublime della Betulla, come essere vivente, corpo naturale, simbolo della resilienza alle calamità naturali. Il titolo sottintende la tensione tra forze magnetiche. Chi abita vicino al vulcano avverte due forze, una di attrazione e l’altra di fuga.
Le betulle si trovano lì fin dalla notte dei tempi, la Sicilia rappresentò per la betulla un’area di rifugio durante l’ultima glaciazione, successivamente, mutate le condizioni climatiche, rimase confinata solo sull’Etna. Sembrano scrutarci, osservarci, bisbigliare, come guardiane del vulcano, radicate nella lava ma rivolte con i rami verso il cielo, creature che conciliano l’alto dei cieli con le profondità della terra. Negli ultimi tre anni ho assistito incredula alla moria di una grande parte del bosco. Aver visto e fotografato questa morte silenziosa, sin dal 2016, mi ha spinto a chiedere spiegazioni al Parco dell’Etna, che si sta impegnando a risalire a possibili cause mediante il contributo dell’università di Palermo e di Reggio Calabria. Ci sono diverse concause, tra cui il cambiamento climatico, dei funghi che le hanno attaccate, per cui periodicamente bisognerebbe potarle per rinvigorirle, il fatto che le betulle sono delle piante “pioniere” e stanno lasciando il posto ai pini, che per me le hanno soffocate. Momentaneamente non posso continuare il progetto per le limitazioni, ma sarà la prima cosa che farò non appena tutto questo sarà passato: riabbracciare la betulla.
FILIPPO LEONARDI
Si può essere vivi senza avere la consapevolezza di esistere, ed essere competenti senza esser intelligenti (raziocinio), il mondo vegetale ne è l’esempio evidente. Tutte le forme di vita che popolano il pianeta, a prescindere dal fatto che possiedano o meno una coscienza, vanno accettate e rispettate per quello che sono, e non per quello a cui sono utili. Non bisogna dimenticare che il 99% della biomassa terreste è abitata da piante e che da queste dipende la vita sul pianeta. Nel corso di miliardi di anni, su una sfera particolare, il caso ha modellato un sottile strato di vita; complesso, improbabile, meraviglioso, fragile. All’improvviso noi esseri umani siamo aumentati di numero, affinando la tecnologie e l’intelligenza fino a ottenere una posizione di terrificante potere: ora siamo noi a modellare lo strato. Un giorno, probabilmente, quel sottile arcaico strato di vita tornerà a essere modellato dal caso.
La natura in verità si risveglia ogni giorno, ma noi siamo ormai incapaci di vederlo, accecati dal nostro antropocentrismo e dall’errato modo di porci nei suoi confronti. L’uomo civilizzato si chiede per quale motivo le cose accadono, cerca una ragione, ed è proprio qui che nasce il problema tra la natura e l’uomo. Perché tutto ciò che riguarda la natura non risponde a una ragione, ma a uno stratificato, ciclico processo, guidato da una differente intelligenza. La domanda che dovremmo porci per relazionarci in modo coerente con essa è come mai le cose accadono, per quale processo. Finché non impareremo ad avere una reale considerazione per la natura e a porci in maniera diversa, continueremo a non vedere il suo risveglio che inesorabile si manifesta davanti ai nostri occhi.
GOSIA TURZENIECKA
Non ho mai apprezzato il posto dove vivo, nella campagna astigiana, come in queste settimane. Viviamo isolati da anni e questo adesso è un gran bene, soprattutto per i bambini che possono correre e giocare sui prati. Qui coltivo il mio orto e vedo le piccole piante crescere ogni giorno. Ne seguo i cambiamenti, come con i figli, “scattando” degli acquerelli in formato polaroid che poi riunisco. Ho scritto solo pochi versi per accompagnare queste opere che ti mando. Non saprei cos’altro aggiungere. “La terra, una goccia d’acqua, la luce… le devi volere bene. / Un seme non ha bisogno di nient’altro per germogliare e crescere. / Ti ricambia con la sua bellezza giorno per giorno, una foglia nuova. / La ammiro, perché ha bisogno di così poco per essere bella”.
FILIPPO ARMELLIN
Non potendo incontrare facilmente i luoghi che desidero fotografare mi sono deciso a cercare di crearli da me. Ho iniziato a costruire dei piccoli mondi del mio studio, a dipingere cieli e a inventarmi delle soluzioni per le stelle e altri elementi. Affinando le tecniche sono riuscito creare delle immagini fotografiche di ciò che immaginavo e desideravo restituire allo spettatore, nel modo più semplice e chiaro possibile. Non è facile ottenere quest’effetto percettivo con immagini fotografiche di paesaggi terrestri e reali, però ciò che è ambiguo desta una forte attenzione percettiva e questa è certamente una strategia funzionale all’opera. Questo, in ogni caso, non è il punto centrale del mio lavoro. Per me, lo spunto più pregnante è la relazione con la realtà e che quest’ultima non sia opposta alla categoria di “finzione”. Le mie fotografie sono reali, in quanto ciò che rappresentano è stato veramente di fronte all’obiettivo fotografico. Ma la rappresentazione che producono rimanda a qualcosa di irreale, pur avendo origine da elementi materici. Penso che lo spazio sia ciò che nella percezione contemporanea ci manchi maggiormente, mai come in questi giorni, e che la cultura industriale (o ciò che viene chiamato progresso) abbia profondamente deformato il nostro rapporto con esso. A tal punto da rompere le simbologie più antiche. La terra oggi è infatti considerata meramente come risorsa da sfruttare e in termini quantitativi. E in quest’ottica, diciamo economica, la relazione con il tutto è spinta sempre lontana, come un ostacolo. Di questa rivoluzione si parla già da tempo e oggi ne viviamo le conseguenze. Motivo per cui la mia ricerca è fin dal suo inizio centrata attorno a questo elemento. Attraverso il processo creativo che metto in atto penso di riuscire a ottenere delle immagini dove lo spazio riprende vita e forza fin dal primo sguardo.
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati