Verso un nuovo welfare per comunità più dolci. La lettera aperta dell’architetto Andrea Boschetti
Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta dell’architetto Andrea Boschetti, che riflette sull’urgenza di una legge sull’architettura e sullo sviluppo sostenibile delle città e dei territori.
Forse la mia sarà una voce controcorrente, tuttavia in un periodo dove tutti fanno a gara per avanzare soluzioni tecniche e progettuali per immaginare il futuro “post COVID”, vorrei invece proporre una riflessione diversa. Sono convinto infatti che per il futuro prossimo più che immaginare nuove modalità di progetto per gli spazi collettivi e pubblici delle città, piuttosto che per gli uffici, per gli alberghi o per appartamenti privati, sia molto più importante riportare al centro della progettualità dei luoghi un ruolo etico e sociale del mestiere dell’architetto. Certo qualche cosa cambierà, nel breve e medio termine, nelle “forme” specifiche di tutti questi ambiti e funzioni, per diretta conseguenza del cosiddetto – quanto mai necessario ancora – “distanziamento sociale”. Non credo però che ciò determinerà una rivoluzione nei modi di abitare le città del futuro. Le già fragili relazioni tra le persone come diretta conseguenza di un concentrato di iperindividualismo culturale che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni di storia italiana ed europea in generale, è bene ricordarlo, sono state ulteriormente minate dalla pandemia. A volte avrei la tentazione di sottoscrivere la posizione di Michel Houellebecq il quale afferma che, semmai, “questa pandemia accelererà la distruzione già in corso delle relazioni umane”. L’intellettuale francese afferma poi che “nulla tornerà come prima perché tutto ciò che sta accadendo a livello globale, bene che vada, porterà comunque a una condizione peggiore di prima”. Dato però che mi sento una persona molto positiva e ottimista, voglio credere che la brutalità di pre-visioni come queste, un po’ come i drammatici spaccati di futuro che ci ha sempre regalato un lucido cronista di incubi come Ballard, servano invece per scuotere davvero le nostre coscienze e aiutarci a reagire in maniera decisa per scongiurare con tutte le nostre forze un futuro che ha così poco di positivo.
L’ITALIA E LA LEGGE SULL’ARCHITETTURA
È per questo che quando un giornalista o qualcuno che non si è mai occupato seriamente di come funzionano le città, poiché argomento ormai quasi solamente delegato a pratiche amministrative e politiche, pertanto quasi sempre impopolare, ti domanda come cambieranno le città dopo questa pandemia, mi arrabbio per molte risposte il più delle volte banali o estemporanee. Oggi tutti parlano di architettura e città, ma la riflessione sullo sviluppo e modernizzazione delle città non è argomento trattato con competenza scientifica, poiché negli ultimi anni è stato completamente sottratto alle riflessioni di architetti e urbanisti e affidato invece quasi sempre al solo dibattito amministrativo; non fa eccezione di certo il dibattito corrente. Ricordo che da ormai moltissimi anni, ad esempio in Italia, manca una legge sull’architettura e sull’urbanistica, necessaria come non mai in un Paese così fragile come il nostro. Un apparato normativo non uniforme e burocratizzato non può sostituirsi alle visioni e alla capacità di mettere in campo la complessità di riflessioni e ricerca vera che invece la città nel suo processo di modificazione richiede. Esattamente così come gli ordini professionali, senza un quadro normativo complessivo cui riferirsi, non possono sostituirsi a una legge seria e strutturale in materia di sviluppo dei territori. L’assenza di una legislazione complessiva in materia, dai concorsi (il modello francese per esempio sarebbe un punto di partenza) alle procedure degli appalti all’urbanistica alla manutenzione dei territori e relativi investimenti alle relazioni tra politica e strumenti attuativi e molto altro, appare sempre più come una necessità per preservare una rendita di posizione di alcuni e sempre meno un punto inderogabile da raggiungere. Sono state condotte in questi anni molte battaglie giuste anche dal Consiglio Nazionale, come per esempio quella sulla rigenerazione urbana sostenibile, ma rimangono enunciati vaghi, nulla più.
DOMANDE E RISPOSTE
È anche per questa ragione che le domande poste agli architetti sul futuro sono spesso imbarazzanti, non pertinenti alla reale complessità, in alcuni casi addirittura fuorvianti. La cosa grave è che spesso ridicolizzano il nostro mestiere e ne offendono il senso profondo, pur essendo spesso frutto dell’emotività del momento, e anche se talvolta tali istanze potrebbero rivelarsi utili come risoluzione di problemi tecnico-specifici puntuali, alla fine dei conti non appaiono mai sostanziali in relazione a un cambiamento complessivo atteso da anni e quanto mai necessario per invertire la rotta verso una deriva altrimenti sicura. Penso a ipotesi decisamente scongiurabili come, per citarne alcune, i tavoli suddivisi in microcabine di plexiglass individuali, o le spiagge lottizzate in stanzette, o i caschi protettivi per stare in collettività, le panchine extralarge e molte altre diavolerie che circolano in rete in questi tempi.
LA BATTAGLIA CRUCIALE NELLO SPAZIO PUBBLICO
A ciò si aggiunga, però, che spesso anche le risposte sulle idee di città per il futuro appaiono ovvie. La cosiddetta città in 15 minuti, ad esempio, che va benissimo, altro non è che uno slogan amministrativo, l’enunciazione di un approccio che dovrebbe essere principio ormai acquisito e normale (magari non ai non addetti ai lavori). Una soluzione invece disattesa sino a oggi nonostante i moniti di molti urbanisti e specialisti del settore per provare ad arginare la forbice delle diseguaglianze sociali, che sono sempre più la cifra delle nostre città contemporanee, così come anche la pandemia ha ben evidenziato in ambito generale. I cosiddetti quartieri autosufficienti, infatti, dovrebbero compensare nelle città la sperequazione, diffondendo in maniera diffusa, dalle periferie ai centri urbani, i servizi necessari e contrastare così le diseguaglianze. In questo contesto sono gli spazi pubblici l’ambito in cui si deve giocare la battaglia cruciale. Non sono novità ma condizioni necessarie per limitare inutili, insostenibili movimenti e sprechi. Io stesso, come alcuni sapranno, nel nuovo PGT di Milano ho voluto che venisse sostituita l’idea di una città suddivisa in ambiti amministrativi, con una città costituita da quartieri da dotare di tutti i servizi necessari. Esisteva anche un decalogo specifico per i cosiddetti NIL (Nuclei d’Identità Locali), come li avevamo chiamati, ma la realizzazione di un riequilibrio di tale natura implica strategie attuative di lungo corso e investimenti reali, oltreché una competenza e progettualità continua che contrasta con altri interessi, spesso di opportunità individuale, quasi sempre di natura politica, orientati per lo più al consenso ora e subito. Non credo, infatti, che la riscoperta del design e del progetto delle città passi quindi attraverso idee-spot per il web. Dico ciò come un invito positivo a cogliere la grande occasione che ci è offerta nella tragedia del COVID-19, e da questo periodo sospeso, per mettersi insieme e chiedere alla politica la possibilità di incominciare a erigere un impalcato di punti concreti per una vera e propria legge complessiva che possa guidare uno sviluppo qualitativo delle nostre città e dei nostri territori, al di là della temporaneità dei mandati politici dei singoli amministratori e offrendo un supporto, per di più, per amministrare meglio.
UN INVITO AGLI ARCHITETTI
Ai miei illustri colleghi, pertanto, e penso a tanti amici e professionisti stimati, chiedo di provare per una volta a remare insieme nella medesima direzione.
Un sogno? Se così non fosse dovremmo tutti abbandonare modalità talvolta di distinguo individuali, che portano solo ai titoli del giorno dopo, e provare uniti, attraverso le qualità di ciascuno, a raggiungere un traguardo che altri maestri hanno tentato in passato senza successo e con evidenti conseguenze. L’occasione oggi credo sia quella giusta e irripetibile. In questo fragile Paese, infatti, occorrono competenze vere per azioni necessarie continue, cumulative e strutturate nel tempo. Una responsabilità che se da una parte deve coinvolgere gli specialisti del mestiere, architetti, urbanisti e paesaggisti, che potranno tornare al centro di progetti veri smettendo di essere solo lontani consiglieri di una politica spesso analfabeta in materia, dall’altra deve poter estendersi a tutti coloro che sentono di poter agire, ora e subito, anche nel proprio piccolo quotidiano e mi riferisco alla società civile in tutte le sue sfaccettature. La rivoluzione sostenibile parte infatti da qui. Tutti noi stiamo infatti cambiando le nostre abitudini e non c’è ragione logica per tornare indietro a meno di non voler davvero tornare tutti allo stato di come eravamo prima.
Spero infatti non sia così. Ascoltando anche le persone con meno possibilità, in molti pensano che questa sia un’opportunità da non perdere per cambiare radicalmente le modalità che ci hanno preceduto e per riportare al centro degli interessi collettivi una nuova qualità della vita per tutti. Le abitudini e le convinzioni, dopotutto, sono forse le caratteristiche umane più complesse da modificare e sono le reali responsabili della “paura del cambiamento” perché si sviluppano attorno a comodità irrinunciabili, che ignorano i processi che le caratterizzano e che il più delle volte sono distantissime dall’interesse comune. In poche parole assolutamente non sostenibili. Ma per attuare tutto ciò è anche necessaria una legge che garantisca la possibilità che tutti questi processi siano nel tempo davvero attuabili.
PER UNA VERA RIVOLUZIONE
Per cui sposo e rilancio l’opportunità di città più aperte utilizzate come grandi dehor; urbanità meno vincolate da un uso privatistico o troppo regolamentato amministrativamente (penso all’utilizzo degli spazi pubblici); riportare razionalità entro cui alcuni brani di città andrebbero ridisegnati per rompere definitivamente la drammatica segregazione tra mondo delle auto private e spazi per il movimento lento e mezzi alternativi; la creazione di quartieri autosufficienti (capendo meglio cosa significa davvero); riconvertire la mobilità da sporca a pulita; forzare la mano per la re-introduzione di principi che riportino il verde e la natura in città; puntare tutto sulla qualità degli spazi d’aggregazione che costituiscono il luogo della democrazia e di rappresentanza di una comunità; riportare al centro dei pensieri progettuali la qualità degli spazi per l’istruzione, della salute e della casa, del lavoro. E molto altro. Tutti punti essenziali per immaginare un futuro migliore.
Perché tutto però non sia solo uno slogan ma una vera rivoluzione dovremmo essere consapevoli che saremo in grado di cambiare solo se saremo capaci di riprenderci le redini di una progettualità (con tutti gli errori che ciò potrebbe comportare) fatta di ricerca e di competenza e restituire invece a chi deve occuparsi di amministrare i processi la responsabilità e le condizioni per farlo davvero. In questo nuovo contesto anche il supporto prezioso della tecnologia, che spesso viene percepita come la panacea di tutte le disfunzioni etiche e sociali, tornerà a collaborare con visioni di città a portata di tutti. Senza la tecnologia e l’innovazione non c’è progresso, ma senza progresso culturale e umanistico la tecnologia non potrà mai sostituire le nostre disfunzioni strutturali.
LA NECESSITÀ DELLA LEGGE SULL’ARCHITETTURA
La città di domani ha necessità di una legge che riporti la responsabilità dove ci sono le idee. Personalmente credo in un nuovo welfare per comunità più dolci, accompagnato da una concreta “rivoluzione sostenibile” (nella professione e nel quotidiano). Questo passaggio consentirà di ridefinire nuovi modelli di relazione tra imprese e lavoro, tra politica e visioni, tra individuo e collettività con l’obiettivo prioritario di ridurre la forbice delle diseguaglianze sociali, di dare prospettiva evolutiva ai nostri ambienti di vita quotidiana portandovi nuova qualità per cambiare definitivamente stile di vita aprendoci a una nuova era.
‒ Andrea Boschetti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati