Parola ai designer #1. Giorgia Lupi, l’umanista dei dati
A lockdown terminato in Italia e in via di conclusione nella maggior parte dei paesi del mondo, abbiamo chiesto a una serie di progettisti impegnati in ambiti diversi le loro impressioni sull’esperienza che abbiamo vissuto e la loro visione - professionale, ma non solo - del mondo che verrà. Si parte con Giorgia Lupi, che di mestiere trasforma i dati in racconti visivi.
Per chi non la conoscesse ancora, Giorgia Lupi è una information designer da anni trapiantata a New York dove attualmente è partner di Pentagram, probabilmente la più importante agenzia creativa indipendente del pianeta. Italiana di nascita e architetto di formazione, nel 2011 ha co-fondato Accurat, acclamata società di ricerca, design e innovazione basata sui dati con sedi a Milano e New York. Con un portafoglio clienti incredibile, un’enorme quantità di premi ricevuti, menzioni, pubblicazioni internazionali, mostre e chi più ne ha più ne metta, Giorgia Lupi fa parte di quella generazione di designer che, sfidando l’impersonalità dei dati, progetta narrazioni visive coinvolgenti che ricollegano i numeri a ciò che rappresentano: storie, persone, idee. Il suo discorso TED sull’approccio umanistico ai dati ha raccolto oltre un milione di visualizzazioni. Nominata una delle 100 persone più creative nel mondo nel 2018 e recentemente entrata al MIT Media Lab come Director’s Fellow, è membro del Global Future Council on New Metrics del World Economic Forum. Il suo lavoro fa parte della collezione permanente del MoMa ed è stato esposto al Design Museum, al Science Museum e alla Somerset House di Londra; al Centre Pompidou di Parigi; allo Storefront for Art and Architecture a New York; al Triennale Design Museum e alla Design Week di Milano; e al Petach Tikva Museum of Art in Israele, tra gli altri. L’abbiamo intervistata da remoto per avere il suo punto di vista su come il design abbia reagito al lockdown, e su quale ruolo avrà il lavoro dei progettisti nella tanto agognata – e appena cominciata per lo meno nel nostro paese – Fase 2.
Tre parole/aggettivi per descrivere il tuo lavoro di designer, prima, durante e dopo la Pandemia
Umano, umano, umano.
Che cosa ti resterà di questo lockdown? Cosa butti e cosa tieni?
La prima parte del lockdown l’ho passata in osservazione. Ho guardato e ascoltato, ma non sentivo di avere molto da dire. Invece, nelle ultime settimane, mi è venuta voglia di creare, di mettere su progetti “speculativi” positivi, privi di una committenza. Stiamo capendo soltanto ora come digeriremo questo periodo appena trascorso e in che modo i dati impatteranno sul nostro nuovo approccio alle cose, staremo a vedere. Butto il senso di isolamento, tengo la connessione forte che si è creata comunque.
Pensi che dopo questo momento sospeso il tuo lavoro subirà variazioni (nei tempi, nell’approccio, nei contenuti) o ritornerà identico a prima?
Credo sia già cambiato, almeno nelle sue modalità. D’ora in avanti spero ci concentreremo tutti di più su progetti che hanno un impatto importante, non so come dire, meno frivoli. Io personalmente percepisco un bisogno di ritorno all’essenzialità del progetto, alla sua eleganza primigenia. Con un focus: la natura umana. (E comunque qui da Pentagram io e il mio team non ci siamo mai fermati!)
I designer hanno l’opportunità di riacquistare un ruolo centrale per la società nel post Covid, mettendosi al servizio dei tavoli di dibattito che guidano le strategie per il rilancio. Quali sono gli strumenti secondo più utili per ripensare i sistemi relazionali e culturali da questo momento in poi?
Innanzitutto, il farsi le giuste domande per poi utilizzare i giusti strumenti. Non so esattamente cosa ne uscirà fuori. Ma partiamo da un presupposto: il design apre opportunità, non risolve solo problemi. Ti offre la possibilità di vedere le cose in modo diverso, probabilmente prima degli altri. Ecco qual è il suo principale contributo, creare nuove di opportunità, aprire lo sguardo su nuovi orizzonti.
Su cosa indirizzerai – o vorresti indirizzare – la tua ricerca futura?
Da tanti anni ormai mi occupo di umanesimo dei dati. Credo che questo lockdown sia stato importante sul fronte dell’alfabetizzazione delle persone nei confronti dei dati. Non entro nel merito di come poi sono stati comunicati ma l’information design è stato fondamentale per aiutare a comprendere cosa stava accadendo. Attenzione, poi, a un altro aspetto: i dati non sono la realtà esatta, sono la sua manipolazione messa a sistema (nel senso che vengono trattati per essere comprensibili quindi esprimono sì la realtà, ma una realtà analiticamente organizzata).
L’amatissima NY, la tua città d’adozione, tornerà presto a correre come solo lei sa fare. In che modo pensi cambieranno le dinamiche legate al lavoro, agli eventi e alla fruizione collettiva?
Credo cambierà la densità. Di NY mi manca soprattutto l’energia, la quantità di eventi quotidiani. In fondo, NY è le persone che la vivono. Ma si, torneremo a correre, la città ha superato ferite ancor più dolorose.
La prima cosa che farai tornando alla “normalità”?
Non credo si tornerà alla normalità, almeno non come era prima, come è stata finora. Ma siamo speranzosi che cambiando le cose miglioreranno, no?
–Giulia Mura
http://www.pentagram.com
http://www.accurat.it
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