Era il 1999 quando Mónica Manzutto e José Kuri decisero di aprire uno spazio che accogliesse la generazione di artisti messicani, capeggiata da Gabriel Orozco, che a quel tempo popolava Città del Messico. Al principio fu proprio la città. L’inaugurazione avvenne nel Mercato di Medellín, dove le opere si vendevano al chilo, come i pomodori. In due posti affittati a fianco di Don Ceferino, il venditore di frutta, vennero esposti pezzi realizzati con materiali dello stesso mercato. Prezzo massimo: dieci euro.
Un esperimento che dimostrava il potenziale delle nuove strategie di promozione dell’arte, mentre José a quel tempo dichiarava: “Non siamo uno spazio alternativo e non siamo nati come spazio per artisti. Ci concepiamo come una galleria commerciale in cui stabiliremo regole chiare e rispettose con i produttori in modo che possano vivere del loro lavoro. Lavoreremo per gli artisti”.
In questa mostra-mercato, qualche fortunato si accaparrò per pochi euro un mixiote sospeso con una palla all’interno, frutto del genio di Gabriel Orozco. Vent’anni dopo fu lo stesso Orozco, uno degli artisti più emblematici del Paese, a espandere l’esperimento di Economía de mercado nel mondo globale, aprendo nella galleria un OXXO, il nostro Lidl, dove tra le lattine di fagioli si trovavano le sue opere, e invitando gli spettatori a comprarle.
Nel 2008 si iniziò a sentire il bisogno di un punto di gravità, racconta José, e fu allora che trovarono in questa falegnameria della San Miguel Chapultepec una nuova stabilità geografica.
GUERRILLA ARTISTICA
Il modello della guerrilla artistica però non viene abbandonato e la capitale messicana continua a essere protagonista e scenario di numerosi interventi: uno fra tutti, i billboard che per due anni svettarono sulle strade cittadine con le opere degli artisti della galleria.
Da sempre è il dialogo con gli artisti il motore di Kurimanzutto e Città del Messico è il posto dove si può effettivamente sperimentare con le idee: “Gli affitti non sono quelli di New York e la burocrazia è meno rigida”, racconta José, ricordando che New York è una seconda casa della galleria. Parte di quella che Jose definisce “un’ecologia sana dell’arte” è l’elettricità che si genera al confronto con gli altri spazi artistici: una competizione positiva, per “creare un mondo dove vivono molti mondi”. Per José l’arte è uno strumento di trasformazione politica e sociale, ed è per questo che Kurimanzutto continua a ravvivare il fuoco inquieto della ricerca.
“Come si può re-immaginare Kurimanzutto a vent’anni dalla sua nascita?”. A partire da questa domanda la programmazione del 2020 prende il titolo di Siembra, ‘semina’, con “un ritmo che riflette la cadenza del raccolto enfatizzando la biodiversità, la permeabilità dei tempi di crescita e l’importanza della varietà, necessaria per la permacultura: uso intelligente e rispettoso del suolo a beneficio di tutti. L’esperimento in galleria dà la priorità alla particolarità dei processi creativi di ciascun artista che partecipa a questo ecosistema di lunga durata”. E così, proprio come diverse specie si completano a vicenda condividendo lo stesso suolo e alimentandolo, le mostre all’interno di Siembra convivono con la galleria e rispondono al contesto in cui si sviluppano. Il progetto propone una biodiversità in cui tempi diversi convergono e si nutrono della porosità delle idee, senza risultati prestabiliti. La galleria è divisa in sette sale indipendenti e interconnesse in cui sono esposte singole mostre degli artisti che verranno aggiunte al programma. Ogni proposta avrà una durata diversa.
UN COMPLEANNO DA RICORDARE
“Per celebrare il nostro compleanno vogliamo trasformarci ancora, non so quanto durerà questa nuova logistica, ma l’intenzione è quella di non darle una scadenza. L’idea è di accogliere sette artisti diversi ogni volta, non necessariamente in contemporanea. Uno spazio si chiude mentre un altro continua, tutto in una rotazione silenziosa”.
Il progetto di Siembra permette di mostrare al pubblico non solo gli artisti affermati che la galleria rappresenta, ma anche i nuovi talenti, senza per forza dover investire tutto lo spazio della galleria e una curatela ad hoc. “In un’epoca globalizzata in cui le gallerie cercano tutte gli stessi grandi nomi, è importante non perdere la ricchezza della diversità”, sottolinea José. La lotta al capitalismo selvaggio per una società più giusta passa anche per il mercato – dell’arte, certo.
‒ Virginia Negro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #54
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