La cultura nel Piano Colao. Qualche riflessione critica sul documento di rilancio

Al di là dell’essere contrari o favorevoli “a priori”, esiste un approccio critico all’attualità che va salvaguardato. Ecco quindi la riflessione di Stefano Monti sui contenuti del cosiddetto Piano Colao.

Come prevedibile, il cosiddetto Piano Colao sta suscitando reazioni opposte: da un lato i “sostenitori”, vale a dire coloro che ritengono che il piano, pur con tutte le criticità del caso, presenti spunti interessanti che, se implementati, potrebbero aiutare (e non poco) la condizione del nostro Paese; dall’altro, invece, i “contrari”, vale a dire coloro che ritengono che il piano, in realtà, sia uno strumento “calato dall’alto”, non contestualizzato nella realtà nazionale e che pertanto, pur presentando spunti anche interessanti, assomiglia più a un esercizio di stile che a una proposta concreta.
Tra questi due fuochi manca però una riflessione “alla base”, legata alle “aspettative” che, complici anche molti strumenti di informazione, sono state proiettate su questo documento.
Tali aspettative, più che funzionali per tenere alti i mercati in un momento di estrema delicatezza, hanno però condizionato la risposta dei cittadini, che in tale documento avevano riposto una fiducia forse non del tutto proporzionata.
A leggerlo, infatti, il Rapporto per il Presidente del Consiglio dei Ministri: Iniziative per il rilancio “Italia 2020 – 2022” assolve bene al proprio compito che è, ricordiamolo, fornire un parere consultivo che possa servire al Governo come elemento da tenere in considerazione nell’elaborazione di una strategia politica ed economica per il nostro Paese.
Le principali critiche al documento sono tanto legittime quanto ovvie. È ovvio che il documento non possa presentare un piano già operativo. Così come è ovvio che molte delle indicazioni siano “note”: il lavoro del Comitato non era quello di sorprendere, ma quello di indicare delle priorità di azione. Questa tipologia di critica, che riassume, pur semplificando, la maggior parte delle critiche mosse al documento, non è nient’altro che chiacchiericcio da bar: potevano essere scritte prima di leggere il documento.

PIANO COLAO: UN DOCUMENTO TECNICO

Il problema, direbbe McLuhan è nel medium. Cosa si potrebbe mai scrivere, di diverso, in un documento? È ovvio che sono piani calati dall’alto, che non tengono conto della complessità del nostro Paese, ed è altrettanto ovvio che il documento presenti (e debba presentare) un difetto strutturale: se l’Italia fosse in grado di adottare, da subito, le indicazioni presenti nel documento, allora forse non ci sarebbe stata necessità del documento in sé.
Un documento tecnico non può e non deve sostituirsi alla politica, malgrado a volte, sentendo il livello qualitativo del dibattito, speriamo tutti ciò accada. Un documento tecnico nasce con un proprio specifico obiettivo: fornire una visione (tecnica, appunto) che indichi priorità di intervento, azioni da implementare e obiettivi da raggiungere. L’uso più proprio che se ne possa fare, dunque, oltre che “leggerlo prima di criticarlo”, è cercare di comprendere in che misura si condividano obiettivi e in che misura le azioni proposte si ritiene possano garantire il raggiungimento degli stessi.

Molto spazio è stato dato al turismo mentre per la cultura in senso stretto non sono state fornite troppe visioni”.

In questo senso, come critica costruttiva, e vale a dire come livello di confronto, è possibile affermare che, probabilmente, le azioni principali legate alla cultura avrebbero potuto essere più numerose e coraggiose: molto spazio è stato dato al turismo mentre per la cultura in senso stretto non sono state fornite troppe visioni. Nel dettaglio, la Voce XII: Valorizzare il patrimonio artistico e culturale, attraendo capitali privati e competenze per migliorarne accessibilità e fruibilità si compone di 4 macro-azioni: attrazione capitali privati; riforma modelli di gestione enti artistici e culturali; potenziamento competenze museali; potenziamento competenze di artigianato specialistico. Sarebbe forse stato opportuno inserire un riferimento diretto a tutto il mondo dell’imprenditoria culturale e una visione d’insieme legata al comparto delle industrie culturali e creative, promuovendo principi manageriali e misure specifiche per favorire il consumo culturale, proporre strumenti alternativi per la gestione delle risorse umane all’interno del sistema culturale nel suo complesso, indicare specifiche indicazioni di natura fiscale (approfondendo il generico richiamo a una generale riforma fiscale inserito all’inizio del testo) o, infine, essere più incisivi e dare un set di indicazioni più approfondite per favorire l’evoluzione dei modelli di gestione degli enti artistici e culturali, fornendo anche passaggi “intermedi”, che potessero essere più facilmente adottati dal Governo nell’attuale assetto amministrativo e organizzativo. Queste critiche, tuttavia, riflettono punti di vista. Possono essere giuste e, insieme, sbagliate.
Il punto è comprendere che la funzione di questo documento non era quella di scrivere un manuale operativo di gestione di un Paese per portarlo via da una crisi (chi accetterebbe un incarico simile in così poco tempo?), ma quello di assolvere a un’altra funzione, altrettanto fondamentale, che sta a noi implementare: rendere il documento una matrice di confronto, indicando “proposte alternative” e non semplici critiche. Perché chi non offre alternative non partecipa alla conversazione. Certo, non sbaglia, ma di sicuro non costruisce.

Stefano Monti

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Stefano Monti

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Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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