L’artista Shaun Leonardo accusa di censura il Museum of Contemporary Art di Cleveland
Nel giorno dei funerali di George Floyd emerge anche un caso di censura: lo scorso marzo il Museum of Contemporary Art di Cleveland aveva infatti cancellato una mostra che denunciava i comportamenti brutali della polizia americana. Avrebbe dovuto aprirsi il 6 giugno. E adesso arrivano le scuse
La questione sulla violenza ad opera delle forze dell’ordine negli Stati Uniti è nota da tempo ed è al centro di un dibattito che non è nato certo nelle scorse settimane. A incastrarsi in questa incandescente situazione è il tema del razzismo che ancora oggi affligge la società americana, nonostante le stringenti maglie, spesso un po’ ipocrite, del politically correct. Il risultato sono le proteste che in questi giorni stanno imperversando in tutto il mondo occidentale dopo gli ormai arcinoti fatti di Minneapolis e l’omicidio di George Floyd: secondo i manifestanti la violenza della polizia si sfogherebbe maggiormente sulle persone di colore che sui bianchi. Una tematica che l’arte cerca di affrontare, ma incontrando una certa difficoltà.
BLACK LIVES MATTER: LA MOSTRA DI SHAUN LEONARDO
Avrebbe dovuto aprirsi il 6 giugno al Museum of Contemporary Art di Cleveland, The Breath of Empty Space, la personale di Shaun Leonardo (New York, 1983) curata da John Chaich. Leonardo è da tempo impegnato nella lotta alla violenza e al razzismo.Il titolo della mostra è un richiamo non soltanto allo “spazio vuoto” di Nietzsche, ma anche e soprattutto al respiro che mancò a Eric Garner, ucciso a New York nel 2014, durante l’arresto da parte della polizia. Uno dei tanti casi di quella scia di sangue che è arrivata fino a George Floyd. L’agente che lo uccise, David Pantaleo, se la cavò con il solo licenziamento, comminatogli 5 anni dopo (ma sta ancora lottando per vie legali per ottenere il reintegro). L’indignazione che ne seguì scosse anche la comunità artistica e intellettuale di New York, e Leonardo avviò un lavoro di ricerca su casi simili, per contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica. È nata così The Breath of Empty Space, incentrata su una serie di disegni a carboncino e di video che oltre a quello di Garner, raccontano, fra gli altri, i casi di Walter Scott, Freddy Pereira, Freddie Gray e Rodney King. Una mostra scomoda, di strettissima attualità, ma già a marzo, quando ancora non era scoppiato il “caso Floyd”, la direttrice Jill Snyder, in una nota pubblicata sul sito del museo, aveva spiegato come la mostra fosse stata cancellata a seguito, a suo dire, di osservazioni negative giunte da esponenti della comunità locale, convinti che una mostra del genere avrebbe potuto “creare turbamento”. Pertanto, concludeva la direttrice, si era dovuto prendere atto di come la città non fosse “preparata a impegnarsi in una riflessione sulle esperienze di trauma e dolore che le opere di Leonardo evocano”. Pur prendendo atto della decisione, l’artista non è rimasto in silenzio, e il 6 giugno, giorno dell’apertura mancata, ha diffuso un comunicato che terminava con queste parole: “Se ciò che testimoniamo nel rivelare la violenza sistemica contro i cittadini neri ci ricorda qualcosa, è che come paese dobbiamo ancora fare i conti con il razzismo radicato nella mente delle persone”. E a seguito del dibattito scatenatosi dopo il caso Floyd, la mostra sembra essere ancora più attuale e necessaria. E il 7 giugno Snyder ha risposto pubblicamente a Leonardo: “Siamo spiacenti. Come è stato chiarito nelle scorse settimane, è giunto il momento di affrontare il razzismo con sincera onestà. Combattere il razzismo implica l’assunzione di responsabilità e la disponibilità a rischiare. Non l’abbiamo fatto. Abbiamo sbagliato. Ma stiamo imparando. Non potremo cancellare la vergogna di questo errore. Siamo decisi a fare meglio e ad assumerci la responsabilità di fare meglio”. Tuttavia, ad oggi non è chiaro se la mostra si farà o meno.
BLACK LIVES MATTER: IL MONDO DELLA CULTURA NON SI SCHIERA
Prima della vicenda di Cleveland, la mostra era stata ospitata dal Maryland Institute College of Art di Baltimora, dove nell’aprile 2015, Freddie Carlos Gray, un 25enne nero, era stato ucciso dalla polizia; l’ondata di sdegno scatenò sia una serie di violenti disordini, fino a saccheggi e incendi, ma anche proteste pacifiche e sit-in organizzati dalla comunità nera. Ma a livello mediatico furono i saccheggi a giungere agli onori della cronaca; la protesta pacifica fu lasciata deliberatamente nell’ombra, impedendole di accreditarsi presso l’opinione pubblica e far sì che la problematica venisse affrontata. Per questa ragione Baltimora è stata la città da cui il progetto è partito, e ha ricevuto una buona recensione apparsa sul magazine The Brooklyn Rail. Baltimora è stata però una mosca bianca, perché anche a seguito dell’assassinio di Floyd, la reazione del mondo culturale statunitense è stata blanda, con poche generiche frasi pubblicate sulle pagine social dei musei e di altre istituzioni, ad esempio del Getty Museum e del San Francisco Museum of Modern Art (Maurita Cardone e Johanne Affricot hanno analizzato la situazione per Artribune). È mancata quindi una decisa presa di posizione dopo i fatti di Minneapolis. E soltanto adesso qualcosa comincia a muoversi.
– Niccolò Lucarelli
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