Il festival di Dro quest’anno è XL. Intervista alla direttrice Barbara Boninsegna
Nonostante le conseguenze e i limiti imposti dalla pandemia, Drodesera non demorde e si presenterà al pubblico in versione XL. Festeggiando il quarantesimo anno di attività.
Mentre la fase 3 riapre le porte di teatri e cinema, noi continuiamo la nostra indagine sulle modalità di adattamento dei festival estivi, centro dell’attività teatrale di questi mesi. Nell’intervista a seguire diamo la parola a Barbara Boninsegna, direttrice artistica del festival di Dro, che nonostante tutto non rinuncia al formato “XL” con il quale avrebbe dovuto festeggiare i suoi 40 anni. Quest’anno Drodesera è senza confini di tempo, numerose iniziative rientrano nel programma XL di questa edizione, a partire da marzo passato e fino a quest’inverno. Per quanto riguarda la parte estiva, curata da Barbara Boninsegna e Filippo Andreatta, sotto il nome di Hyperlocal, il programma si suddivide in quattro weekend, che ospitano artisti per lo più italiani ma anche qualche nome straniero, soprattutto per la parte dedicata alla performance attraverso il programma Lives Works.
I PROTAGONISTI DI DRODESERA
Dal 17 al 19 luglio i protagonisti saranno le compagnie MK e Anagoor e gli open studio dell’artista performativo Goksu Kunak e del duo Giulia Crispiani e Golrokh Nafisi.
Il weekend successivo accoglie il lavoro di Chiara Bersani, Mali Weil, Giorgia Ohanesian Nardin, e il progetto speciale di “performance onlife” Ascoltare Attraverso di Elena Biserna e Anna Raimondo a cura di Claudia D’Alonzo per INBTWN.
Dal 31 luglio ritroviamo Chiara Bersani, Jacopo Jenna e Alessandro Sciarroni, artisti cari al festival, e nell’ultimo weekend, il nuovo lavoro di CollettivO CineticO con Alessandro Sciarroni, Dialogo terzo: in a landscape, Marco D’Agostin (Dear N) e Sotterraneo (Europeana), con le loro ultime produzioni.
Durante tutto il periodo sarà aperta al pubblico la mostra Storia Notturna, a cura di Denis Isaia e Simone Frangi con lavori di Mercedes Azpilicueta, Chiara Camoni, Darius-Robin Dolatyari-Dolatdoust, Francesco Fonassi, Luca Frei, Raffaela Naldi Rossano, Anna Perach.
INTERVISTA A BARBARA BONINSEGNA
Sono i 40 anni del festival e i 20 di Centrale Fies e per voi sarebbe già dovuto essere un anno e un progetto speciale, un formato XL che rompe con la one shot estiva. Certo, lavorando alla programmazione non potevate immaginare che un virus venuto da chissà dove ci avrebbe costretti a rivedere equilibri e modalità di convivenza. Cosa avrebbe dovuto essere XL e da quali desideri è mosso?
XL non ha perso il senso di ciò che avrebbe dovuto essere, certo alcune forme dell’organizzazione e parte della programmazione sono state riprogettate o annullate come i grandi eventi delle compagnie straniere, ma cercando di tenere distante la parola “emergenza” e cercando con tutte le forze parole come “coraggio” e “opportunità”: di cambiare, di potenziare il desiderio, di accelerare la trasformazione di una formula che da troppi anni stava stretta a una creatura viva e mutante come Centrale Fies.
XL è un discorso aperto sulla complessità di un centro che da 20 anni non è solo festival, ma luogo di ospitalità, produzione, progettazione, educazione e divulgazione del contemporaneo, attivo tutto l’anno.
Quindi in questo periodo in cui si annulla, si cancella, si contrae, si rinuncia… voi riaffermate un formato “XL”. Che pieghe assume in questo nuovo contesto?
Il formato del festival vuole fondersi con l’esistente, e la sua narrazione non vuole più sottostare al conosciuto o alla punta dell’iceberg, ma tende a mostrare e rimarcare ogni cosa: la cura, il processo, le relazioni, lo studio, la ricerca, l’intrecciarsi delle discipline, fino ad arrivare a forme di apertura pubbliche alle quali si assisterà consci di una complessità di fondo che viene poco e niente rappresentata. Compito di ognuno di noi, nella quotidianità, è quello di rendersi più visibili anche a una sfera politica che continua a vedere e raccontare unicamente di prosa e grandi fasti del passato, scordandosi il contemporaneo.
La comunità è stato un elemento sempre importante nel disegno del vostro lavoro. Una comunità di artisti che trova accoglienza in modi diversi nei vostri spazi e attraverso l’accompagnamento che da sempre le dedicate, con cura e strategia. Comunità di spettatori, che durante il festival diventa un organismo vibrante all’unisono, in un paesaggio e tempo sospesi. Comunità di lavoratori, assidui e nuovi, in cui credete e a cui tenete come parte di una grande famiglia.Che valore ha la comunità in un periodo di distanziamento sociale? Che forme avrà all’interno di questo XL?
Dal primo giorno l’abbiamo definita distanza fisica, e mai sociale, potenziando ancora di più i rapporti e i legami con i lavoratori e le lavoratrici, con le artiste e gli artisti, con i curatori, le operatrici e i progettisti che collaborano con Centrale Fies.
In questi anni abbiamo allargato i confini cangianti di questa comunità, finanche chiedendoci cosa potessimo riversare sul territorio ‒ nell’immediato ‒ di tutto quel nutrimento e senso critico che il lavorare nell’arte contemporanea dona: abbiamo aperto il centro alle scuole elementari e a giovani operatori del mondo della comunicazione e del turismo, per sperimentare l’utilizzo di arte e cultura come fosse uno strumento per agire in ambiti differenti; abbiamo reso Centrale Fies sempre più inclusiva ma senza mai perdere di qualità, e dando una proposta che si potesse trovare unicamente qui – per non mettersi in competizione con altre realtà locali, e per soddisfare quella parte di comunità che cerca e desidera altro dal conosciuto.
All’interno di XL tutta questa cura e attenzione prenderà anche la forma di un nuovo rapporto col pubblico, per preservarlo dalle paure e mettendo in atto ogni regola preventiva richiesta. Per quattro fine settimana si entrerà a Centrale Fies come in un sogno: prenotando si avrà modo di avere il proprio posto per la visione di due performance e due mostre, e di sostare nel parco per aperitivo e cena, per non rinunciare alla parte di decompressione e confronto tra gli ospiti, ma in totale sicurezza.
Cosa ci lascia di positivo questo periodo ed esperienza? Oltre alle ferite del sistema, cosa dovremmo o vorreste portare con voi quando tutto sembrerà tornato alla normalità?
Ci piace pensare che lo sciogliersi accidentale per Covid dei parametri precedenti rimanga stabile per una programmazione che permetta davvero di restituire alla comunità tutto quello che avviene all’interno del centro, durante l’anno, con modalità ibride, e attivando sempre di più le connessioni con gli altri ambiti e le più diverse pratiche artistiche.
‒ Chiara Pirri
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