Architetti d’Italia. Luigi Figini e Gino Pollini, i metafisici
Amato e criticato, il duo di architetti composto da Luigi Figini e Gino Pollini è al centro del nuovo episodio della rubrica di Luigi Prestinenza Puglisi sui progettisti italiani.
In un Paese settario, fazioso e partigiano come il nostro, Luigi Figini e Gino Pollini sono stati due architetti al di sopra delle parti. Sono piaciuti a Vittorio Gregotti e a Bruno Zevi, a Manfredo Tafuri e a Giancarlo De Carlo, a Fulvio Irace e a Cesare De Seta. Ma, poi, come capita a coloro che sono universalmente amati, sono stati un po’ trascurati da tutti. Li si ricorda nelle storie dell’architettura quasi di sfuggita per aver realizzato i numerosi edifici per Adriano Olivetti. E, inoltre, gli storici li ricordano per essere stati due dei giovanissimi architetti del Gruppo 7, insieme con Giuseppe Terragni, Guido Frette, Sebastiano Larco Silva, Carlo Enrico Rava e Giuseppe Castagnoli. Rappresentanti cioè di quella avanguardia che introdusse in Italia già dal 1926 l’esigenza dell’architettura moderna o, come si diceva, del razionalismo. In controtendenza c’è però un giudizio di Persico, duro e tagliente. Si trova in un articolo che il critico napoletano scrive il 6 agosto 1933 per L’Italia Letteraria.
Il testo innanzitutto stronca il Gruppo 7. Lo accusa di “posizioni dilettantesche” e di “europeismo da salotto”. Il motivo è che ha generato “soltanto aspirazioni confuse come quella della contemporaneità e della moralità, senza aderenza a problemi reali e senza nessun vero contenuto”. Andando avanti, Persico affronta una opera appena inaugurata del duo Figini e Pollini: la villa-studio per un artista realizzata in occasione della mostra della Triennale di Milano del 1933. Nota che la costruzione è un passo indietro rispetto alle precedenti, per la sua velleità di essere una affermazione di classicismo e di mediterraneità. Persico vedeva, infatti, come il fumo negli occhi tutta la retorica fascista sull’argomento. Gli sembrava un alibi per sfuggire dal compito di dare vita a un’arte autenticamente europea, in sintonia con le tendenze più intense, più vive e più feconde della cultura contemporanea. Notiamo, per inciso, che il mito della mediterraneità e della classicità sarà un refrain ricorrente dell’architettura italiana. Presente pure ai giorni nostri, tirato fuori da chi propone ricette tradizionaliste o reazionarie e lo usa per vantare caratteri autoctoni che contrasterebbero con i veleni formali provenienti da oltralpe.
LA POLEMICA CON PERSICO
Il fatto strano della polemica di Persico del 1933 è però che si fa fatica a intravedere nella villa-studio di Figini e Pollini caratteri classici o mediterranei. Anzi, si tratta di un’opera interessante dal punto di vista dell’articolazione degli spazi, con volumi limpidi e moderni, tanto che potrebbe essere una delle tante case presentate dagli architetti di oltralpe alla mostra del Weissenhof di Stoccarda del 1927. Bruno Zevi, un critico che contro la mediterraneità e la classicità non ci andava leggero, ha dato, per esempio, un diverso giudizio su questa villa-studio, definendola prima “deliziosa” e poi, nel 1984 e nel 1991, “splendida” e “stupenda”. Viene da pensare a questo punto che il giudizio di Persico fosse offuscato da rancore. La cronaca ci suggerisce un motivo. Nel 1933 il fronte dell’architettura razionalista si era spezzato definitivamente a causa della pubblicazione della rivista Quadrante diretta da Pietro Maria Bardi e Massimo Bontempelli. Nella rivista confluiranno Figini e Pollini, oltre a Terragni, Bottoni, Sartoris, BBPR e altri. Ne sarà escluso Persico, che in un primo momento era stato indicato come il possibile direttore e in un secondo come caporedattore, ma poi fatto fuori per pregresse divergenze con Bardi, maturate probabilmente nel periodo in cui il primo aveva collaborato alla galleria d’arte di quest’ultimo. Persico proprio nel 1933 aveva trovato posto a Casabella insieme a Giuseppe Pagano che in quell’anno viene nominato direttore.
Il motivo della critica sulla Fiera Letteraria al Gruppo 7 e a Figini e Pollini quindi può essere stato determinato da un risentimento personale, e difatti nello stesso articolo Persico, mentre attacca coloro che partecipano a Quadrante, elogia l’opera di Giuseppe Pagano, il suo nuovo direttore. Ma liquidare questa critica alla villa-studio sulla base di un semplice risentimento mi sembra ingeneroso. Quali sono i caratteri negativi che Persico individua nella villa-studio di Figini e Pollini? Probabilmente l’aspetto introverso, contrapposto al carattere estroverso della Casa Elettrica, sempre opera della coppia e realizzata per la IV Esposizione di architettura di Monza del 1930, e che Persico aveva, invece, elogiato a più riprese. Credo che soprattutto lo colpisca il modo in cui sono trattati i patii della villa-studio, pensati come piccoli ambienti tra loro interconnessi e caratterizzati da un deciso e suggestivo gioco delle luci e delle ombre. Netti contrasti che mettono plasticamente in risalto le opere d’arte in mostra all’interno della villa-studio: tra queste una statua femminile di Lucio Fontana, un cavaliere di Fausto Melotti e un murale con figure di Angelo Del Bon. Un approccio che genera effetti più vicini alla metafisica di de Chirico, se non alla corrente Novecento, e che è diverso da quello che punta alla impressionistica dissoluzione delle forme che affascina il critico napoletano. A rendere più grave l’operazione per Persico è ‒ immagino ‒ il fatto di avere coinvolto artisti, quali appunto Fontana, Melotti e Del Bon, a lui cari.
Adesso, se guardiamo bene, l’idea di frammentare lo spazio in scatole chiaroscurali, vicine alla poetica metafisica, costituirà uno dei motivi ricorrenti dell’architettura di Figini e Pollini e, in particolare, di Luigi Figini. Quest’ultimo infatti, come testimonia anche la sua segreta attività di pittore, è sempre in bilico tra aperture alla metafisica e alla magica e fiabesca spazialità del gotico internazionale.
LA CASA MILANESE DI FIGINI
La casa che Figini realizza in seguito, tra il 1933 e il 1935, per se stesso a Milano, al Villaggio dei giornalisti, sembra comprovare questo assunto. La casa è infatti solo in parte un progetto razionalista ripreso da Le Corbusier, come molti hanno sottolineato. Le opere del maestro svizzero sono, infatti, pensate per guardare il paesaggio attraverso continue finestre a nastro, mentre la casa di Figini è un susseguirsi di stanze alcune coperte e altre a cielo aperto. Ciascuna, come in un mondo incantato, con un suo segreto da svelare. Ce ne è una all’aperto per gli esercizi fisici, una con un paio di metri quadrati di lago o di mare, una in cui si trova l’albero osservando il quale ci mettiamo in relazione con l’intera natura.
Osserviamo la struttura dell’edificio: è composta da due case, una dentro l’altra. La prima, esterna, fa da guscio e sembra riprendere i cinque punti dell’architettura moderna di Le Corbusier; la seconda (la quale svetta leggermente in altezza) si trova all’interno di questo guscio relazionandosi con il quale genera le stanze incantate. Figini raccontava che quando era bambino viveva in una casa a Milano con una grande terrazza nella quale il padre aveva collocato vasche ciascuna delle quali era coltivata con specie diverse. La casa al Villaggio dei giornalisti non fa che riprendere il ricordo, colorandolo di poesia. D’altronde Figini è appassionato dalla natura e nel 1950 pubblicherà, per la editoriale Domus, un libro al quale lavora da una ventina di anni. Il titolo è: L’elemento verde e l’abitazione. Ma il modo che ha Figini di trattare il verde è pieno di riferimenti magici, inquietanti, metafisici.
È interessante notare che l’idea dell’edificio formato da una doppia scatola ritorni nelle opere dei due architetti, anche quando l’elemento verde, come negli edifici progettati per la Olivetti o i fabbricati residenziali disegnati nel dopoguerra, è scarsamente rilevante. La facciata non è mai una piatta superficie bidimensionale ma un dispositivo volumetrico che determina giochi chiaroscurali, dando sempre la sensazione che non esista uno stacco netto tra lo spazio esterno e interno della costruzione. Da qui la realizzazione di trame geometriche (il così detto “scozzese” di Figini e Pollini) che rendono riconoscibili le opere realizzate dalla coppia nel corso degli anni.
GLI SBANDAMENTI DI FIGINI E POLLINI
Figini e Pollini sono molto di più, però, di questi progetti. Nel corso della loro opera, i due mostrano straordinari sbandamenti: per esempio con lo splendido progetto per l’Accademia di Brera con Terragni e Lingeri del 1935 e con l’aereo concorso per il Palazzo del Littorio, disegnato con BBPR nel 1934. Si tratta di due testimonianze insuperate del razionalismo italiano che avrebbero raccontato di un’Italia diversa da quella della retorica fascista: inquieta e vibrante, forse come la avrebbe amata Persico, che difatti considera il loro progetto del Palazzo Littorio come uno dei pochi meritevoli di segnalazione. E poi ci sono i progetti delle chiese del dopoguerra. Tra queste la Chiesa della Madonna dei Poveri a Milano (1952-54). Opera in cui i due architetti, che avevano dato prova di essere tra i più raffinati del panorama italiano, puntano sulla semplicità e la povertà senza paura di cadere nel brutto, provando a riscattarlo solo con la poetica della luce, questa volta giocata con volontà espressiva. Mostrandosi per certi versi più radicali dello stesso Michelucci (con il quale Figini intraprende uno scambio epistolare). Infine non si può tacere che Pollini, morto Figini nel 1984, sarà coinvolto con Vittorio Gregotti e Franco Purini nella realizzazione di progetti a mio avviso poco felici per l’università di Palermo. Segno che forse Figini e Pollini occorrerebbe toglierli dal tranquillizzante empireo in cui sono stati cacciati, per esaminarli con più attenzione, nella loro evoluzione storica e nelle loro diversità personali, anche a costo di renderli meno universalmente accettati.
‒ Luigi Prestinenza Puglisi
LE PUNTATE PRECEDENTI
Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Architetti d’Italia #24 ‒ Massimo Pica Ciamarra
Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
Architetti d’Italia #27 ‒ Sergio Bianchi
Architetti d’Italia #28 ‒ Bruno Zevi
Architetti d’Italia #29 ‒ Stefano Pujatti
Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
Architetti d’Italia #34 ‒ Francesco Dal Co
Architetti d’Italia #35 ‒ Marcello Guido
Architetti d’Italia #36 ‒ Manfredo Tafuri
Architetti d’Italia #37 ‒ Aldo Loris Rossi
Architetti d’Italia #38 ‒ Giacomo Leone
Architetti d’Italia #39 ‒ Gae Aulenti
Architetti d’Italia #40 ‒ Andrea Bartoli
Architetti d’Italia#41 ‒ Giancarlo De Carlo
Architetti d’Italia #42 ‒ Leonardo Ricci
Architetti d’Italia #43 ‒ Sergio Musmeci
Architetti d’Italia #44 ‒ Carlo Scarpa
Architetti d’Italia #45 ‒ Alessandro Anselmi
Architetti d’Italia #46 ‒ Orazio La Monaca
Architetti d’Italia #47 ‒ Luigi Moretti
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Architetti d’Italia #49 ‒ Maurizio Carta
Architetti d’Italia #50 ‒ Gio Ponti
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