L’architetto dentro e oltre il tempo. Giambattista Piranesi a Bassano del Grappa
A più di due mesi dalla data inizialmente prevista, inaugura ai Musei Civici di Bassano del Grappa una ricca retrospettiva del grande incisore veneto Giambattista Piranesi in occasione del terzo centenario dalla nascita. Una mostra che unisce allo straordinario patrimonio bassanese la serie completa delle “Carceri d’invenzione” della Fondazione Cini di Venezia.
Giambattista Piranesi (Mogliano Veneto, 1720 ‒ Roma, 1778) è stato molte cose insieme. Abilissimo disegnatore, straordinario incisore dalla sensibilità marcatamente pittorica, antiquario e architetto – come amava definirsi – non tanto per la chiesa di Santa Maria del Priorato a Roma, unico edificio di cui seguì il restauro, ma soprattutto per le sorprendenti composizioni architettoniche che popolano i suoi capolavori, risultato dell’incontro fra uno studio accuratissimo delle rovine antiche e un poderoso slancio immaginativo, fra le norme classiche di ordine e rigore e l’elusione, l’inapplicabilità delle stesse alla fluida molteplicità del contemporaneo. Figura misteriosa, almeno quanto i suoi lavori; proverbialmente irascibile, romano d’adozione ma veneziano in molte scelte iconografiche e stilistiche, la sua ricerca ha influenzato e continua a influenzare artisti, scrittori, registi e architetti. Non ultimo Peter Eisenman, che portò alla Biennale di Architettura del 2012 Piranesi Variations, un’elaborazione 3D dell’incisione Campo Marzio nell’Antica Roma del 1762.
La mostra – a cura di Chiara Casarin e Pierluigi Panza – raccoglie ed espone per la prima volta l’intero corpus delle incisioni piranesiane conservate negli archivi storici della Biblioteca civica e nel gabinetto dei disegni e delle stampe del museo, recuperando e valorizzando un patrimonio immenso e prezioso rimasto troppo a lungo lontano dagli occhi del pubblico. Le più celebri Vedute di Roma e i tomi delle Antichità Romane dialogano con la serie completa di 16 tavole delle Carceri d’invenzione, concessa in prestito dalla Fondazione Cini di Venezia.
PIRANESI IN MOSTRA
La consapevolezza dello scorrere del tempo, angosciante e liberatoria insieme, determina in Piranesi la costruzione dello spazio architettonico. La fame insaziabile del dio che divora i propri figli consuma le rovine: architetture imponenti e ieratiche che rivelano la propria contingenza nella degradazione, nel crollo, nello sgretolamento. Destinate fin dall’origine alla distruzione e all’oblio, spetta all’artista e alla sua opera perpetuarle, non come giganti ideali che schiacciano il presente, ma come spunti per l’immaginazione, come metafore di una vita che si rinnova, che a nascita fa seguire corruzione e viceversa.
Non a caso la mostra si apre con il colophon delle Lettere di Giustificazioni – pamphlet polemico che Piranesi indirizza a Milord Charlemont, infido mecenate che si rifiuta di pagarlo – raffigurante gli strumenti dell’architetto disposti in un quadrato inscritto in un uroboros, il serpente che morde la propria coda, simbolo in questo caso non dell’eternità statica e senza via d’uscita del ritorno dell’uguale ma del perpetuo divenire, del mutamento incalzante dell’esistente, che l’artista, pur essendovi sottoposto, dilata ai limiti della sovversione.
Le incisioni di Piranesi manifestano dunque una contraddizione apparentemente irriducibile: da un lato il tempo inteso come linea che divora, nel cammino verso il progresso, tutto ciò che incontra; dall’altro la sua concezione circolare, ripetitiva. Questa duplicità viene ripresa e ulteriormente complicata negli scenari infernali, disturbanti delle Carceri. Spazi a un primo sguardo costruiti in maniera razionale, rigorosa, si rivelano all’occhio più attento intricati labirinti, percorsi funambolici che non portano da nessuna parte. Quest’impressione diventa certezza nel film del 2010 realizzato da Grégoire Dupond per Factum Arte, che dà profondità spaziale agli ambienti delle tavole ricostruendoli in tre dimensioni e offrendo al visitatore la possibilità di percorrerli. Come sottolinea Marguerite Yourcenar – che a Piranesi dedicò un libro – “dalla molteplicità di calcoli che si sanno esatti” si arriva “a proporzioni che si sanno sbagliate“; gli ambienti delle Carceri, prendendo congedo tanto dalla prospettiva gerarchica degli antichi quanto da quella rinascimentale, (de)costruiscono una dimensione spazio-temporale assolutamente innovativa per l’epoca, quasi profetica, in cui il mondo si scopre “privo di centro” e direzione e “nello stesso tempo perpetuamente espandibile“. Quasi anticipando la teoria della relatività di Einstein, Piranesi costruisce una realtà – visione o intima struttura – in cui il tempo non è concepibile né come progresso, né come ripetizione, ma piuttosto come costellazione, come rete elastica in continua espansione.
L’OPERA DI LUCA PIGNATELLI
Un’espansione che arriva a toccare la contemporaneità nell’opera di Luca Pignatelli (Milano, 1962) che accoglie il visitatore all’ingresso. Icons Unplugged. Veduta del Castello dell’Acqua Felice è il lavoro realizzato dall’artista milanese appositamente per la mostra: una rappresentazione stratificata e al contempo simultanea del tempo e del suo fluire, che contrappone all’immortalità dell’opera incisoria la caducità del supporto su cui è stampata, dei pannelli di masonite recuperati dal rivestimento di un ristorante in riva al mare, che recano traccia del tempo e degli agenti atmosferici che li hanno corrosi. Un monito sottolineato anche dai tanti, piccoli orologi incastonati in quelli che potrebbero essere altrettanti punti di incontro fra coordinate, centri di alta densità eventuale, in cui – un po’ per caso e un po’ per volontà – si annida già il futuro. Ed è alla fine questa permeabilità, quest’osmosi fra piani temporali diversi a caratterizzare non solo l’opera ma l’intera vicenda personale di Piranesi: la lungimiranza della sua ricerca venne compresa solo dopo, influenzando intellettuali e artisti dell’Ottocento e del Novecento fino ad arrivare ai giorni nostri. Perché del resto questo slittamento del passato nel presente e viceversa appartiene all’arte in genere, che proprio come una lente – d’ingrandimento o a colori, in ogni caso rivelativa – ci consente (quasi) sempre di osservare con occhio critico la contemporaneità attraverso la storia, e la storia attraverso la contemporaneità, a volte addirittura permettendoci di cogliere i segni di quello che verrà.
‒ Irene Bagnara
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