Lo street artist Tvboy in un libro. Stampato in Spagna
Un segno sui muri delle città, certo, ma anche in libreria. Ecco allora che lo street artist Tvoby, parlermitano che ha studiato a Milano e che vive a Barcellona, dà alle stampe un volume agile e accattivante che racconta la storia di un genere e di un artista.
Tvboy è lo pseudonimo di Salvatore Benintende (Palermo, 1980), cresciuto a Milano, dove ha studiato design al Politecnico e mosso i primi passi nel mondo dei graffiti, e trasferitosi da tempo a Barcellona, considerata la mecca della Street Art in Europa. Molti conoscono già la sua pop art urbana, acuta, provocatoria ma divertente, che si traduce spesso in baci appassionati tra rivali politici o sportivi, o nella rilettura contemporanea di personaggi della pittura classica. Il Bacio di Hayez della Pinacoteca di Brera, con mascherina in chiave Covid-19, è solo uno degli ultimi pop up firmati Tvboy a Milano, una riflessione sull’amore nella tragica attualità del nostro tempo. Tra i tanti fan dell’artista urbano ci sono lungimiranti amministratori pubblici, visionari ambasciatori e politici con un pizzico di autoironia, ma anche attori e cantanti, scrittori, giornalisti e personalità del mondo della cooperazione internazionale.
L’occasione per intervistarlo è rappresentata dall’uscita, ai primi di giugno, della monografia La calle es mi museo.
Nella percezione comune, i “graffitari” lavorano in clandestinità e preferiscono l’anonimato. Tu invece ti racconti in un libro…
Sentivo l’esigenza di lasciare una traccia, di documentare il mio percorso artistico. Il nostro lavoro è effimero, dura spesso poche ore, per effetto della censura o del vandalismo altrui. È il caso, per esempio, di quasi tutti i miei interventi a Roma negli ultimi anni, tranne WonderVirgin, sopravvissuta miracolosamente. Il libro pubblicato in Spagna anticipa di qualche tempo la mia prima mostra in un museo.
Dove e quando?
Nella primavera del 2021 in Italia. Non posso dire di più, ma probabilmente ci sarà anche un libro-catalogo in italiano.
Com’è strutturato il volume spagnolo?
I testi sono dello scrittore Joaquin Arías, a quattro mani con me. Il titolo La strada è il mio museo è una velata critica alle gallerie d’arte, oggi sempre più white cube, scatole vuote dove la gente non osa neppure entrare. Ultimamente ho cominciato a mettere le didascalie ai mie interventi urbani, come se fossero quadri esposti in un museo aperto a tutti.
Torniamo al libro.
La parte introduttiva è dedicata alla genesi di un’arte che molti ancora non riconoscono come tale. La Street Art ha radici non solo a New York negli Anni Settanta e Ottanta, ma anche nel movimento studentesco del ’68 a Parigi e nel Situazionismo.
Quindi non è meramente una monografia. Tu quando arrivi?
Il libro è strutturato intorno ai quattro filoni tematici che mi rappresentano: la politica, che si traduce spesso nei baci fra antagonisti; l’attivismo sociale, come la serie Clean Air Now, la violenza di genere, l’omofobia, l’immigrazione o il problema dei rifugiati; le celebrities, ovvero i personaggi famosi del nostro tempo; e infine gli hipster, ossia le figure della storia dell’arte reinterpretate in pose contemporanee. Un esempio, la Venere di Botticelli che beve un caffè di Starbucks o il Cavaliere con la mano sul petto di Velázquez che regge un iPhone.
Su cosa si basa la tua estetica?
La creazione per me è importante tanto quanto l’azione in un determinato contesto spaziale e temporale. Non nascondo i miei interventi nelle periferie urbane, scelgo luoghi in vista, nei quartieri più frequentati delle città. Mi esprimo attraverso i volti di personaggi noti, come i calciatori, che sono le icone del nostro tempo. Utilizzo la Street Art come memoria storica: spero che il mio messaggio giunga a tutti e che la gente si ricordi dei miei lavori che vede per strada.
E i segni distintivi del tuo linguaggio?
Dagli esordi a Milano, quando inventai il personaggio del pupazzo con la testa a forma di schermo (da cui il mio pseudonimo Tvboy) il mio stile è cambiato. Quel personaggio autoreferenziale e infantile ora è solo la mia firma: mi dedico a un’arte che parla del mio tempo, che racconta la realtà in cui viviamo. Come dice Philippe Daverio, anche l’Ultima cena di Leonardo è piena di riferimenti alla maniera di stare a tavola nel Quattrocento.
Come lavori?
Di solito preparo le carte per i poster in studio, con l’aiuto dei miei assistenti a Barcellona e a Milano; intervengo poi in maniera rapida sulle pareti in esterni, usando colle e pennellate d’acrilico. La mia tecnica è il paste-up, diversa per esempio da Banksy, che usa spray e stencil. Fra i miei ispiratori c’è il situazionista francese Ernest Pignon, che ha lavorato anche a Napoli e ha realizzato opere dedicate a Pasolini.
Come vive oggi uno street artist?
Lo stereotipo dell’artista urbano emarginato, che vive nelle periferie urbane lontano dalla cultura ufficiale, è cambiato. È vero che è difficile trovare un equilibrio che permetta di finanziare l’attività per le strade. Dopo anni di crisi, però, oggi per fortuna c’è una rete di collezionisti di alto livello che apprezza questo genere d’arte e compra pezzi unici su commissione. Esiste poi un mercato di serigrafie e di stampe e ci sono le collezioni su licenza, come felpe e t-shirt. Vengo dal mondo del design e ho lavorato a lungo nella grafica editoriale degli skateboard, affine ai graffiti. Le reti sociali sono poi uno strumento fantastico per la Street Art: grazie a Facebook, Instagram e Twitter, immagini destinate a scomparire in breve tempo hanno un potenziale immenso di diffusione.
E chi deturpa i monumenti?
Gli atti vandalici dei graffitari ci sono sempre stati, è una forma di protesta giovanile. Nell’ambito dell’arte urbana, però, esiste però anche un codice non scritto che induce a rispettare l’opera altrui. Non ha senso distruggere i segni della cultura del passato. Io stesso sono stato querelato di recente per aver deturpato un monumento storico con l’intervento dedicato al giudice Falcone. In realtà si trattava di un poster su una porta murata e che si poteva facilmente rimuovere senza danni.
Cosa pensi dell’iniziativa della Regione Puglia di stanziare 4 milioni di euro per la promozione e la diffusione della Street Art?
È un’ottima iniziativa, perfetta per rigenerare luoghi pubblici e periferie degradate realizzando murali che piacciono soprattutto ai giovani. La Street Art è un genere vivo, che fa pensare, riflettere sulla realtà del nostro tempo; pone domande ed è aperta all’interpretazione personale.
– Federica Lonati
Tvboy – La calle es mi museo
Libros Cúpula, Barcellona 2020
Pagg. 200, € 21,90
ISBN 9788448027162
www.lacupula.com
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