Parola ai designer #6. Antonio Aricò, il poeta
Proseguono le nostre conversazioni con illustri esponenti del mondo del design, a cui chiediamo di raccontarci il loro punto di vista su professione, futuro, made in Italy. Questa volta abbiamo “interrogato” un designer umanista, portatore di una visione che fonde locale e internazionale, artigianato e industria.
Ospite del format ContamiNation curato da Emanuele Cappelli (che durante il lockdown non si è fermato, ma è andato avanti da remoto con appuntamenti live su Facebook) Antonio Aricò, classe 1983, è un artista, un poliedrico designer e un direttore creativo. Originario di Reggio Calabria, ha girato l’Europa e il mondo – studiando Design della Moda e del Prodotto a Milano, del Gioiello in Scozia, Filosofia del Design in Australia e Arredamento in Andalusia – prima di rientrare in patria, e aprire il suo studio a Milano nel 2011. Qui, ha all’attivo collaborazioni con grandi marchi italiani come Barilla, Seletti, Alessi, Bitossi, Editamateria, Altreforme, Noberasco, Texturae, nonché Bialetti per cui ha anche seguito la direzione artistica nel 2017. “Devo vivere nei due luoghi estremi della mia vita. Questi luoghi rappresentano due culture della mia ‘italianità’. Nord e Sud, rispettivamente il mondo della moda e del consumismo arricchito da splendidi stimoli culturali e il mondo rilassato e arretrato dipinto da genuinità e semplicità”.
LE CONTAMINAZIONI DI ANTONIO ARICÒ
Radicato in ambiente umanistico, Aricò è noto come precursore di un approccio che mette in parallelo l’artigianato e l’autoproduzione con il design industriale, preferendo concentrarsi sul romantico, sul fantastico e sull’archetipico piuttosto che sul solo funzionale. L’interesse verso le tecniche produttive artigianali intimamente legate al territorio, l’affezione per le edizioni limitate e l’attenzione per i dettagli e le qualità dei materiali utilizzati, sono diventate nel tempo la sua firma riconoscibile. La sua produzione è infatti il risultato di incontri, memorie e ricerca, un’esperienza personale racchiusa in artefatti unici che guidano l’utente nel mondo emozionale di Aricò. La sua storia e i suoi lavori sono stati presentati alla Triennale di Milano, al Museo di Holon di Tel Aviv, all’NGV di Melbourne, nella sede dell’Ambasciatore Italiano a Copenaghen e presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Tre parole/aggettivi per descrivere il tuo lavoro di designer
Identitario (mediterraneo), emozionale, materico.
Raccontaci meglio la tua poetica e le tue opere emotive, in bilico tra artigianato e design industriale, tra nord e sud, tra pezzo unico e prodotto.
Tutto prende corpo dalla mia storia familiare, dalle mie radici, dalle mie origini calabresi. Ma anche da una forte onestà progettuale, oltre che intellettuale. All’omologazione estetica di certi ambienti ho sempre preferito l’idea di ready-made, di oggetto caro e vernacolare. Riflettendoci, oggi la mia poetica è una dichiarazione d’intenti strategica: voglio distinguermi, lavorare oltre i trend, facendo tesoro della mia personale narrazione, di questo sapore di artigianalità e italianità del progetto.
Parliamo degli scarabocchi e di come abbiano rappresentato un potente mezzo di espressione creativa per te in questo momento. In particolare raccontaci di Bicchiocolo che ha vinto il contest bandito da Claudia Pignatale, owner della galleria di design Secondome, a Roma.
Ho sempre utilizzato il disegno come strumento di progetto. Un mezzo di espressione personale, al limite del naif. Per me gli scarabocchi sono segno e racconto. Durante la quarantena però ho investigato maggiormente il tema del disegno, producendo moltissimo materiale grafico che diventerà prodotto per diversi brand (etichette, carte da parati, ceramiche…). Quello che mi preme è fondere l’aspetto narrativo con quello illustrativo, creare disegni “di pancia”, veloci, istintuali, imperfetti, lontani dalla maniacalità del fotoritocco e capaci di esprimere la riconoscibilità di uno stile, lo stile Aricò. Bicchiocolo per esempio nasce cosi, da un sogno: dopo aver ricevuto il brief da Claudia che mi chiedeva un oggetto multifunzionale, ho immaginato due vecchietti sul balcone intenti a bere un bicchiere di vino che sentivano l’esigenza di osservare l’intorno con un cannocchiale. Da qui Bicchiocolo, bicchiere+binocolo.
Milano, patria del design, degli eventi e della produzione ha subito una battuta d’arresto profonda in questo primo semestre del 2020. Come sta reagendo la tua città d’adozione? Quali, secondo te, le strategie di rilancio del comparto?
Credo che le aziende più sensibili, dotate di intelligenza emotiva, enfatizzeranno il tema dell’autenticità e dell’analogico, indirizzandosi verso scelte più consapevoli ed eventi meno dispendiosi. L’ottica è rallentare, come ha anche detto Giorgio Armani, rallentare i ritmi di produzione per tornare a progetti più sentiti. Io, dal canto mio, tenterò un’ibridazione, a ottobre, quando dal 2 al 4 andrà in scena la 5° edizione del Materia Design Festival, a Catanzaro di cui sono direttore artistico. Il titolo di quest’anno è Materia SOSPESA: utilizzeremo i canali digitali per raccontare storie antiche, mondi lontani anni luce, attraverso performances che andranno live in streaming e su Instagram.
Sappiamo che hai all’attivo numerose collaborazioni importanti, sia con brand che con altri designer che con istituzioni. Quali sono ad oggi le tue fonti di ispirazione?
La mia ricerca è continua. Mi sono reso conto, però, che non guardo molto designer di prodotto, piuttosto attingo il mio immaginario da moda e interior. Quello a cui mi ispiro non sono oggetti, bensì mondi di riferimento. A fare la differenza sono sensibilità, personalità e carisma: le persone che osano vanno sempre premiate. Attualmente guardo molto al lavoro di Sara Ricciardi, per esempio, o condivido l’eclettismo di Elena Salmistraro, con cui ho fatto l’università.
Ci sono nella nuova generazione di progettisti, nomi su cui proprio scommetteresti?
Nuovi nomi? Ti dirò i fiorentini TIPstudio (Imma Matera e Tommaso Lucarini) vincitori l’anno scorso del Materia Design Festival con la collezione Apollineo – Frammenti del Mediterraneo.
Hai un progetto dei sogni nel cassetto?
Si! Il mio progetto dei sogni si chiama Holiday Working, un’ulteriore evoluzione dello smartworking. Da un anno e mezzo ormai, quindi da molto prima del lockdown, sto cercando un terreno immerso nella natura, che guardi il mare, sullo stretto di Messina. Mi piacerebbe costruire lì il mio studio, un luogo lontano dal centro urbano e dalle sue dinamiche convulse, in cui apprezzare la semplicità della vita, i suoi ritmi, e la ricchezza del lavoro. Quello che vorrei è organizzare residenze per giovani designer da ospitare.
-Giulia Mura
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