This is the Room. La musica incontra l’arte alla Fondazione Sandretto di Torino

I tre compositori e musicisti Enrico Gabrielli, Stefano Pilia e Paolo Spaccamonti stanno realizzando altrettante performance musicali che dialogano con le opere di Berlinde De Bruyckere in mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Li abbiamo intervistati.

Tre performance musicali che dialogano con le opere della mostra Aletheia di Berlinde De Bruyckere. Tre dei più importanti compositori della scena italiana: Enrico Gabrielli (compositore, direttore d’orchestra, polistrumentista e arrangiatore), Stefano Pilia (compositore elettronico, chitarrista e contrabbassista) e Paolo Spaccamonti (compositore d’avanguardia e chitarrista). È il connubio che propone This is the Room presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino: tre incontri – dopo quella di giovedì 9 luglio, le performance del 16 e del 23 andranno in scena alle ore 21:00 e saranno trasmesse anche in streaming sulla pagina Facebook della Fondazione – durante i quali lo spazio espositivo rimane sospeso tra materia organica e sonora, così adibito a luogo simbolico di ispirazione e produzione. “Il progetto nasce dal desiderio di fare dialogare i tre musicisti con l’installazione ‘Aletheia On Vergeten’ di Berlinde De Bruyckere, che è presente in Fondazione da novembre 2019”, ci racconta la curatrice Francesca Togni. “Quando Paolo Spaccamonti è venuto a visitare la mostra, ci ha detto: ‘Questo spazio ha un potenziale enorme!’. Ha subito pensato al coinvolgimento di altri musicisti, e i nomi di Stefano Pilia e di Enrico Gabrielli sono immediatamente emersi. Spaccamonti perciò ha costituito il legame, relazionandosi con gli altri musicisti per creare un’esperienza che sarà diversa per ogni serata. A volte ci dimentichiamo che l’ascolto è un’esperienza totalmente pervasiva: non ascoltiamo solo con le orecchie, ma con tutto il corpo. Per la Fondazione questo è il valore aggiunto fondamentale, è la forza del progetto: l’attivazione dell’opera attraverso l’intervento di un altro linguaggio, quello del suono; l’incontro di visioni, di approcci e di pensieri. Da qui anche l’idea per il titolo del progetto, ‘This is the Room’ (che è anche un verso di Ian Curtis, dal brano ‘Day of the Lords’): la stanza da cui tutto parte, luogo simbolico di ispirazione e di produzione, luogo del pensiero e dell’immagine. Questa installazione, di solito estremamente silenziosa, verrà abitata dalla musica, dalle voci e dai rumori. ‘This is the room, the start of it all’”.
L’installazione di Berlinde De Bruyckere diventa il paesaggio mentale in cui la sensibilità dei musicisti è libera di costruire nuove architetture sonore: le fondamenta stratificate della chitarra di Spaccamonti; le raffinate impalcature sonore di Pilia; le arcate di synth e fiati di Gabrielli. Riflettere profondamente sulla produzione e sulla relazione del suono con lo spazio, in risposta alla superficie della Fondazione: questo l’obiettivo dei compositori invitati a partecipare. Chi ascolta sarà totalmente immerso, circondato dal suono e dall’energia sprigionata ed esaltata delle opere. Abbiamo chiesto ai compositori di raccontarci come è nato il progetto e come potrebbero incontrarsi musica e arte figurativa contemporanea.

Paolo Spaccamonti. Photo Vittorio Catti

Paolo Spaccamonti. Photo Vittorio Catti

PAROLA AI MUSICISTI

Come avete pensato di realizzare questa serie di concerti e come vi siete incontrati in nome di questa iniziativa?
Paolo Spaccamonti:Tutto è nato da una mia visita alla mostra  Aletheia di  Berlinde de Bruyckere.  Era la mia prima uscita post lockdown, dopo quasi tre mesi di isolamento casalingo. L’impatto è stato quindi doppiamente intenso e salvifico: tornavo finalmente a respirare. Immediatamente ho pensato a quanto sarebbe stato stimolante suonare dentro quegli spazi così maestosi e soprattutto “dentro” a quelle opere, dove temi come morte e sofferenza si fondevano del tutto naturalmente a temi come compassione e vita. Quelle pelli sovrapposte e accatastate, la ripetizione degli accumuli sui pallet come ad amplificare il perpetuarsi della crudeltà umana, mi hanno portato al desiderio di creare una connessione con esse, affiancandole quindi al mio stile fatto di stratificazione di suoni e/o di scheletrici droni di chitarra. Qualcosa di non ragionato e istantaneo che potesse rinforzare il discorso intrapreso dall’artista. Ne ho parlato con la Fondazione Sandretto e ho scoperto che proprio in quei giorni stavano discutendo su qualcosa di simile. Ci siamo confrontati e mi hanno quindi controproposto di coinvolgere due ospiti. Con Stefano Pilia collaboriamo da anni e abbiamo musicato diversi film insieme; l’ultimo,  Greed, a febbraio di quest’anno. Caso ha voluto che Enrico Gabrielli fosse presente al concerto e così ci siamo presentati. Da sempre sono suo fan; era da parecchio che cercavo di immaginare un progetto sensato da proporgli. Questa mi è sembrata l’occasione adatta e fortunatamente non sbagliavo: entrambi hanno accettato immediatamente e con entusiasmo.

Possiamo avere qualche anticipazione su cosa effettivamente suonerete?
Paolo Spaccamonti: Nella serata del 16 luglio, con Stefano faremo un set in duo dove  io suonerò la chitarra e lui lavorerà sul mio suono manipolandolo e diffondendolo nello spazio. Con Enrico infine ci sarà una sua prima parte in solo, con partiture scritte per l’occasione; nella seconda parte, invece, mi unirò a lui per un set totalmente d’improvvisazione.  Per il resto, non so cos’altro aggiungere se non che entrambi sono musicisti fuori dal comune, che fanno della ricerca musicale (e non solo) uno stile di vita oltre che un atto politico, e che non si siedono mai sugli allori. Un esempio di rigore e di disciplina invidiabile. Non potevo che coinvolgere loro due.

Enrico Gabrielli, photo Antonio Viscido, 2018

Enrico Gabrielli, photo Antonio Viscido, 2018

Quale rapporto vi lega all’arte figurativa? In quale modo congiungete l’arte contemporanea con lo spazio espositivo – in particolare, quello della Sandretto – nella vostra musica?
Enrico Gabrielli:A mio modestissimo avviso, l’accostamento musica/immagini è un terreno sempre spinoso. Non dissimile da quello musica/parola. È tutta una questione di tempo di azione. L’evidenza di un’immagine e l’istante in cui ne si assume il senso (qualsiasi esso possa essere) son di gran lunga più rapidi di qualsiasi arco sonoro. La musica nel suo percorso temporale delinea la sua forma; la forma di un gesto visivo è contenuta nel suo spazio. Non serve aggiungere altro che già non sia contenuto in un qualsiasi manuale di estetica dell’arte. Ma più passa il tempo e più crescono dentro di me le problematiche connesse alle cose, piuttosto che le loro soluzioni. Nello specifico della performance This is the Room: come imbastire il tentativo di una relazione sonora con un’opera già carica di semantica come quella di Berlinde De Bruyckere? Come aggiungere senso narrativo senza cancellarlo, oscurarlo, depotenziarlo all’origine? Come gestire la materia “tempo” in una concezione dello “spazio” di per sé completa? Un tempo a queste domande non avrei dato risposta alcuna e, utilizzando il mio strumento come medium (una specie di salvifica protesi) avrei esorcizzato il “tempo” suonando lo “spazio” in totale libertà e senza  pruderie concettuale.  In una sola parola: improvvisando. Adesso però a qualcuna di quelle domande vorrei dare risposta; o perlomeno lasciare che il tarlo della coscienza agisca un minimo sulla direzione da prendere. Siamo stati tutti molto (troppo?) a casa nostra negli ultimi mesi. Il dualismo di liberarsi dai vincoli e di farne invece tesoro è una lotta viva dentro ognuno di noi. Che questa frizione sia una chiave di lettura ulteriore? Mi dispiace dirlo, ma al momento ho solo domande. Ancora nessuna risposta. Vedremo dopo le performance. O addirittura durante la performance in atto. Grazie a Paolo di avermi coinvolto. Sarà un onore e un piacere.
Stefano Pilia: Mi pare che in questo momento più che sulla relazione tra arte figurativa e suono ci sia una necessità ancora più urgente di ragionare e di ripensare i luoghi e i contesti in cui le arti possano essere presentate, proposte, condivise e queste stesse arti possano coabitare. Non perché il rapporto tra suono e visione di per se non sia continuamente da indagare, da riattualizzare  o semplicemente da tutelare, ma piuttosto perché credo che in un momento come questo ci siano aspetti di natura sociale che hanno necessità di nutrirsi di un certo tipo di contenuti e di azioni. In questi termini il luogo diventa determinante per agevolare quelle che sono le funzioni trascendenti dell’arte. Lo spazio sacro di una chiesa; oppure, come nel nostro caso, l’opera installativa in uno spazio museale possono agevolare tali funzioni.

Berlinde de Bruyckere, Aletheia, on vergeten. Installation view at Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino 2019. Photo © Mirjam Devriendt

Berlinde de Bruyckere, Aletheia, on vergeten. Installation view at Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino 2019. Photo © Mirjam Devriendt

Come pensate che negli spazi potrebbero nascere nuovi percorsi che facciano congiungere arte figurativa contemporanea e musica? Quale potrebbe essere il riscontro sociale di tale unione?
Stefano Pilia: Da compositore e musicista, sento e avverto la necessità di maggiori luoghi, situazioni e contesti in cui il discorso sonoro e musicale possa essere vissuto e inteso non solo nei termini di intrattenimento, ma anche e soprattutto come sfera di indagine e di ascolto – “ascolto” inteso come azione attiva, riflessiva e trasformativa. Un tipo di chiamata all’ascolto che trovo ad esempio risonante e in azione nell’opera di Berlinde, dove gli archetipi di Eros e Thanatos riverberano il senso dell’ascoltare. È centrale, a mio avviso, il tentativo di relazionarsi in termini di azione sonora con il senso dell’opera, con i suoi aspetti poetici e semiotici; ma credo soprattutto che ci sia, anche in termini politici, un valore che sento forse ancora più significativo in questo momento, ovvero il valore dell’agire per chiamare in causa una sensibilità attiva sia sul visivo sia sul sonoro. Una coabitazione di sguardo e ascolto a partire da una comunione di intenti. Ed è proprio a partire da certi “luoghi” che tale chiamata può essere messa in atto.

Federica Maria Giallombardo

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Federica Maria Giallombardo

Federica Maria Giallombardo

Federica Maria Giallombardo nasce nel 1993. Consegue il diploma presso il Liceo Scientifico Tradizionale “A. Avogadro” (2012) e partecipa agli stage presso l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Biella (2009-2012). Frequenta la Facoltà di Lettere Moderne presso l’Università degli Studi…

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