Le Muse Inquiete: storia della Biennale di Venezia attraverso tutte le sue arti. La mostra
Coordinata da Cecilia Alemani, per la prima volta la Biennale ripercorre la sua storia a partire dagli anni ’30 attraverso tutti i suoi settori: Arte, Architettura, Cinema, Danza, Musica, Teatro. Dal 29 agosto all’8 dicembre 2020 al Padiglione Centrale della Biennale.
Il 2020 segna il 125esimo anniversario dalla nascita della Biennale di Venezia. Un’istituzione storica dedicata alle arti tra le più importanti al mondo che sarà celebrata attraverso la mostra Le Muse Inquiete: la Biennale di fronte alla storia, coordinata da Cecilia Alemani, per la prima volta realizzata attraverso la partecipazione di tutti e sei i direttori delle diverse manifestazioni: Cecilia Alemani (Direttrice del settore Arti Visive), Alberto Barbera (Direttore del settore Cinema), Marie Chouinard (Direttrice del settore Danza), Ivan Fedele (Direttore del settore Musica), Antonio Latella (Direttore del settore Teatro) e Hashim Sarkis (Direttore del settore Architettura). Un evento unico nella vicenda della Biennale di Venezia che intende mettere in luce il profondo legame tra l’istituzione e gli eventi storici, i cambiamenti sociali, culturali e geopolitici intercorsi in quel secolo inquieto che è stato il Novecento. “Vorremmo che quest’anno non fosse ricordato solo per la pandemia, ma anche per questa data importante che, a mio avviso, dovrebbe iniziare un percorso molto più motivato di dialogo tra le nostre arti, e che deve portare a una attività permanente che veda Venezia come il contenitore di eccellenze e il vero centro di ricerca nel campo delle arti contemporanee”, ha affermato Roberto Cicutto, Presidente della Biennale di Venezia recentemente eletto, durante la conferenza stampa nella quale la mostra è stata presentata da tutti i direttori delle differenti sezioni. Dopo l’apertura della mostra, ci saranno le inaugurazioni di Biennale Cinema (il 2 settembre), Biennale Teatro (il 14 settembre) e Biennale Musica (il 25 settembre), dando il via a un calendario che si preannuncia molto corposo per i prossimi mesi.
LE MUSE INQUIETE: LA MOSTRA DELLA BIENNALE DI VENEZIA
Questa mostra antologica e corale si svolge dal 29 agosto all’8 dicembre 2020 nel Padiglione Centrale della Biennale. È intitolata Le Muse Inquiete: la Biennale di fronte alla storia, con riferimento alle diverse discipline artistiche coinvolte – le “muse”, divinità dell’antica Grecia – e ai loro incontri e scontri con le vicende storiche (in cui la politica ha giocato quasi sempre un ruolo primario). Ma è anche un’espressione mutuata dal celebre dipinto di Giorgio de Chirico, Le Muse Inquietanti, esposto in Biennale nel 1948, che guardavano allo scenario del dopoguerra e al mondo da ricostruire. “Questa mostra è un segnale di entusiasmo e risposta collettiva a un momento eccezionale nel quale abbiamo pensato fosse importante dimostrare come le arti e l’arte continuino anche nei momenti d maggiore avversità, come la storia stessa della Biennale ci ricorda. Per la prima volta le diverse discipline vengono messe in dialogo raccontando una storia corale dell’istituzione”, ha ricordato Cecilia Alemani. La mostra è il frutto di tutti i direttori e direttrici della Biennale assieme all’Archivio Storico della Biennale – ASAC e propone un viaggio nella storia di questa manifestazione ripercorrendo alcuni momenti fondamentali del Novecento in cui la Biennale ha intersecato le vicende italiane e globali, analizzando momenti di forte trasformazione come crisi, guerre, conflitti sociali e cambiamenti generazionali. Le due guerre mondiali, la Guerra Fredda, la caduta del muro di Berlino e la globalizzazione sono solo alcuni degli eventi di cui la Biennale si è resa testimone, registrando come un sismografo i sussulti della storia.
LA MOSTRA DEL 2020 ALLA BIENNALE DI VENEZIA: LE SEZIONI
Le Muse Inquietanti si divide in sei capitoli che rappresentano sei momenti storici, ognuno analizzato dal punto di vista di una specifica disciplina: si parte dagli Anni ’30, a cura di Alberto Barbera, che indaga il modo in cui i totalitarismi si siano fatti via via – con il finire del decennio – più invasivi nei confronti di una Biennale, prima libera e aperta a differenti posizioni. Fu nel ’38 che il premio assegnato al film tedesco di propaganda del regime nazista, Olympia, fece infuriare talmente tanto il ministro francese per la cultura, Jean Zay, da decidere di lasciare la manifestazione per fondare un nuovo festival. Fu così che, anni più tardi, nacque il Festival di Cannes. Dal clima prebellico si passa al periodo della Guerra Fredda, raccontata dal direttore della sezione Musica Ivan Fedele: erano gli anni in cui Renato Guttuso realizzava le scenografie per un sensazionale Lady Macbeth del 1945, Peggy Guggenheim ospitava i rappresentanti dei padiglioni vacanti nei suoi giardini (facendo approdare anche i primi minimalisti americani); gli stessi anni in cui la stessa contrapposizione tra astrattismo e figurativo era il terreno di scontro su cui si giocava la battaglia tra Occidente e Regime sovietico, ognuno con le proprie idee filtrate attraverso le opere degli artisti. La terza sezione è caratterizzata dal ’68 e analizzata da Marie Chouinard, direttrice della Biennale Danza. Una scelta curiosa poiché la Biennale Danza nasce solo nel ’99 su decisione di Paolo Baratta; prima d’allora, le esibizioni legate alla danza trovavano posto a Venezia solo attraverso gli inviti delle sezioni Musica e soprattutto Teatro. Quello che la Chouinard punta a mettere in luce, quindi, è la innata capacità di questa disciplina a mettersi in comunicazione con linguaggi differenti. Il ’68, per di più, fu uno spartiacque del Novecento in cui nel campo dell’arte fiorì la performance, in parallelo a grandi stravolgimenti sociali. Da lì si passa agli Anni Settanta, caratterizzati dall’arrivo in Laguna di Carlo Ripa di Meana, Presidente dal ’74 al ’78 e artefice di tanti importanti cambiamenti all’interno dell’istituzione, che nel frattempo si articola in un calendario espanso e diffuso per tante sedi della città. Un imperativo corre in questi anni: la Biennale è una manifestazione fortemente antifascista. A raccontare tutto questo è il Direttore del Teatro Antonio Latella, presentando emblematici personaggi come l’attore e regista teatrale Luca Ronconi, che tentò di abbattere il muro di separazione tra palcoscenico e spettatore, trasformando quest’ultimo in un soggetto attivo. La penultima sezione è Anni 80: il Postmoderno e la nascita della Biennale di Architettura, che fino a quel momento era stata una disciplina relegata alle digressioni delle Arti Visive. Tra le novità di questo periodo c’è la creazione della Sezione Giovani, curata da Achille Bonito Oliva, mentre per la prima volta vengono utilizzate le Corderie dell’Arsenale come spazio espositivo. Il tutto, ovviamente raccontato da Hashim Sarkis, curatore della Biennale Architettura. La parte finale è lasciata alla curatela di Cecilia Alemani e si intitola Anni ’90: inizio Globalizzazione. Dentro ci sono diversi cambiamenti epocali: la fine della Guerra Fredda, la caduta del Muro di Berlino, l’apertura a nuove culture e, soprattutto, la fine dello stato-nazione, concetto su cui si era fondata la Biennale stessa intraprendendo il suo percorso nel primo Novecento.
COME SARANNO LA BIENNALE ARCHITETTURA 2021 E LA BIENNALE ARTE 2022?
Come rapportarsi di fronte a un mondo in repentino cambiamento? Come una Biennale possa leggere e contestualizzare gli eventi presenti e futuri? È la domanda che abbiamo fatto ai direttori della Biennale Arte, rimandata al 2022 e alla Biennale di Architettura, che avrà luogo nel 2021. “Sono stati sei mesi molto intensi. Sono stata nominata a gennaio e stavo iniziando a pensare a una mostra. La pandemia è esplosa a marzo e già da quel momento ho cominciato a premere pausa e ricontestualizzare il mio pensiero. Adesso, con lo slittamento della Biennale Arte al 2022 c’è un nuovo gradino da scalare”, racconta Alemani a Artribune, svelandoci quale sarà il suo modo di lavorare in vista della manifestazione del 2022. “Quello che sto facendo, e che penso sia importante, è ascoltare e assorbire questo momento storico e culturale molto complesso, sia in America dove vivo che nel resto del mondo. Visto che ho un po’ più di tempo rispetto ad altri direttori e direttrici, lo voglio usare per comprendere ciò che sta succedendo anche con l’esercizio di questa mostra che aprirà quest’estate. Guardare alla storia in generale e alla storia della Biennale aiuta a mettere le cose in prospettiva. Viviamo in un mondo che va velocissimo, permeato dall’informazione… per me l’insegnamento più grande della ricerca di questa mostra è guardare le cose da una prospettiva storica. Stiamo vivendo un periodo molto complicato, ma la Biennale è passata attraverso due guerre mondiali e altri momenti molto duri. È importante, quindi, vedere come questa istituzione, tutt’ora molto attiva, ha affrontato queste difficoltà”. E passa la parola a Hashim Sarkis, che ci racconta: “è stata molto dura vedere la Biennale di Architettura posticipata in un momento in cui stavamo portando avanti il nostro lavoro. Crediamo fortemente in Venezia come una piattaforma in cui l’architettura possa manifestarsi con una sinergia e realizzarsi fisicamente. Quella attuale è una situazione molto dolorosa, siamo preoccupati per la situazione della salute delle persone. Ma pensiamo anche che il tema già annunciato in precedenza How will we live together? rimanga una questione molto importante e valida anche per il futuro prossimo”.
ROBERTO CICUTTO SULLA NECESSITÀ DI RINVIARE LE BIENNALI
Ancora a proposito del rinvio delle due Biennali di Arte e Architettura ai prossimi anni, abbiamo interrogato il Presidente Roberto Cicutto, chiedendogli come mai non puntare su delle manifestazioni più ristrette senza far slittare l’intero calendario, una volta che si è verificata la possibilità di organizzare un evento in presenza. “Non abbiamo certo rinviato Architettura per far spazio alla mostra, bensì abbiamo allargato la mostra perché purtroppo era rimasto uno spazio libero. Ad ogni modo, Le Muse Inquiete non è una sostituzione di alcuna Biennale”, risponde Cicutto, puntualizzando sul fatto che una mostra sulla storia dell’istituzione veneziana era già nella mente dei suoi organizzatori ancor prima che si decidesse dello spostamento della Biennale di Architettura. “La mostra sarebbe nata comunque, ma la contingenza ci ha portato a investire di più nel lavoro, soprattutto da parte dei curatori, occupando uno spazio che altrimenti sarebbe rimasto vuoto. Le ragioni dei rinvii sono ormai note a tutti: sarebbe stato impossibile avere una Biennale di Architettura rappresentativa del grande lavoro fatto dal curatore e dai suoi collaboratori e dai Padiglioni Nazionali. Sarebbe stato un surrogato che non avrebbe accontentato nessuno e non avrebbe fatto bene né alla Biennale, né alla città di Venezia né alla cultura in generale. Malgrado gli sforzi che avremmo potuto fare, sarebbe stata molto deficitaria e noi pensiamo che le proposte, le idee e le realizzazioni che i curatori compiono debbano essere prima di tutto rispettate. Le conseguenze non sono trascurabili, ma così è andata. Penso che l’offerta che la Biennale farà quest’anno – che comunque riempie oltre tre mesi di continue proposte – sia comunque un’offerta molto importante”. E chiude l’intervento ancora Cecilia Alemani, che aggiunge: “penso che sarà un’opportunità davvero unica di visitare il Padiglione Centrale con una mostra totalmente diversa da quelle che ci siamo abituati a vedere in quello spazio. Io lo trovo un esercizio incredibile per me stessa, ma penso che anche per lo spettatore sarà molto interessante vedere questo luogo trasformato in display”. Durante Le Muse Inquiete, infine, si svolgeranno dei tour a tutti i Padiglioni Nazionali dei Giardini. Un modo ulteriore per vedere la Biennale sotto occhi diversi, puntando l’attenzione sul “contenitore” – ovvero sull’architettura di questi spazi, ognuno con la sua peculiare storia – piuttosto che sul contenuto.
-Giulia Ronchi
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